Vengeful Guardian: Moonrider rappresenta un ritorno al passato, al tempo in cui gli action platform 2D, dopo essere stati genere dominante nei tardi ‘80 e nei primissimi anni ‘90, stanno godendo di una seconda giovinezza, grazie anche alla rinnovata popolarità di svariati metroidvania, come l’attesissimo Hollow Knight: Silksong, a breve in arrivo su game pass. Pur con le loro peculiari differenze dal genere di partenza, questi ultimi hanno avuto il merito di mettere nuovamente sotto la luce dei riflettori un genere che, anche a causa della diametrale evoluzione (o, meglio, involuzione) dell’universo gaming tutto, era quasi sparito dai radar.
L’ultimo nato in casa Joymasher, sotto l’egida dei ragazzi di Dot Emu, già protagonisti di continui balzi temporali, grazie alle attualizzazioni di capolavori come Windjammers, Streets of Rage 4 e Teenage Mutant Ninja Turtles rappresenta infatti un atto d’amore verso i classici del genere, Shinobi e Turrican in primis, il primo per il gameplay, il secondo per una tara stilistica palesemente derivativa dal classico Rainbow Arts (datato 1990), riportandoci all’anno domini 2023 e alla fascinazione di un platform action bidimensionale in pura salsa pixel art. Vediamo dunque se siamo davanti all’ennesima “operazione nostalgia” o se, per davvero, l’ultimo nato in casa Joymasher possa dire la sua.
Dal passato con amore
Come da tradizione di genere, la trama di Vengeful Guardian: Moonrider non brilla per originalità, rappresentando solo un mero pretesto per brasare in modo più o meno violento, qualsiasi cosa vada a frapporsi tra noi ed la fine dello stage. Ed è così che un organismo cibernetico demandato alla sicurezza pubblica si ribella ai suoi stessi creatori, rei di aver instaurato uno stato di polizia nell’esercizio delle loro mansioni, dedicandosi ad eradicarli dalle loro posizioni di potere, in ben otto livelli – architettati in modo sublime – per stuzzicare in modo subdolo (ma dannatamente pieno di contenuti) il nostro senso di nostalgia.
Ciò vien fatto, non solo facendo riferimenti indiretti ai due sopraccitati illustri antesignani, ma riproponendo tout-court, tanto per tipologia di livelli quanto per palette cromatica utilizzata nella realizzazione degli sprite, ambientazioni già viste nel secondo capitolo di Turrican e, sempre in modo infidamente ammiccante, molte animazioni della saga Shinobi: ma non ravviso difetti in tutto ciò…
Potremo dunque farci strada, dopo aver intrapreso un breve e spartano tutorial, a suon di spadate contro nemici nostri pari, affrontabili anche eludendo i loro attacchi e saltando su di loro, Mario Bros Style, per aver ragione sui loro sistemi di difesa. Avremo inoltre a disposizione – ennesima citazione a Turrican – una serie di attacchi energetici speciali, attivabili mediante la raccolta di chip specifici in alcune aree segrete dei livelli, che ci faciliteranno il compito, salvo scaricarsi dopo qualche utilizzo.
Tanto old-school quanto attuale
Se a ciò aggiungiamo la possibilità di correre per i livelli, saltare sui muri e concatenare piccole combo, volanti o meno, ci renderemo conto che la DeLorean accesa dai ragazzi di Joymasher ci abbia riportati, di diritto, nel bel mezzo di una epopea a 16 bit. Ogni elemento, infatti, funge da crogiolo per la composizione di un prodotto così tanto autoreferenziale ed old-school da fare il giro e diventare idoneo all’epoca attuale, pur con tutti i suoi endemici limiti strutturali.
Parte fondante della esperienza di gioco sarà la “velocità” delle proprie azioni, mai al livello di frenetismo visto in alcuni metroidvania, di cui Hades è il perfetto rappresentante, ma che ci porterà, comunque, a dover conoscere approfonditamente, e a dover coordinare, i movimenti del nostro beneamato moonrider.
L’oramai conosciuto schema “try, fail, repeat – try again, fail better, repeat” scopriremo una caratteristica capace di creare una vera dipendenza, procrastinando sempre “al prossimo tentativo” la dismissione della sessione di gioco attuale, fino al superamento del livello o del boss di turno.
Il continuo citazionismo a classici del genere, come Turrican II e Mega Man, impreziosisce ulteriormente un gameplay che fa del perfezionamento ossessivo di dinamiche old-school il suo punto di forza principale. Parimenti a quanto succedeva nei sopraccitati titoli, sarà possibile affrontare liberamente i vari stage, senza seguire un ordine prefissato, al fine di variare il gameplay ed evitare l’insorgere di ripetitività.
Cacciatore di livelli
Va detto comunque che, a seconda del livello di progressione, il coefficente di difficoltà, mai bassissimo, salirà gradualmente, per tenere alto il livello complessivo della esperienza di gioco. Andando avanti nella storyline, potremo sbloccare un sempre maggior numero di potenziamenti, equipaggiabili massimo un paio alla volta. Dovremo fare comunque attenzione perché, in guisa dei suoi illustri predecessori/padri spirituali, alcuni di questi potenziamenti rappresenteranno dei veri e propri trabocchetti, capaci di portarti malus, invece che benefici nella progressione del nostro playthrough.
Un plauso ulteriore va fatto ai ragazzi di Joymasher per la qualità realizzativa dei livelli, sempre ispirati e mai ripetitivi, con pochissimo utilizzo di asset ridondanti. L’incedere tra livello e livello, verrà inoltre interrotto da sezioni “motociclistiche” in cui il nostro moonrider dovrà far piazza pulita, riproponendo uno schema già visto nel coin-op di Robocop 2, di tutti quelli che si frapporranno nel tragitto tra uno stage e l’altro.
Ogni livello verrà inframmezzato e concluso con delle bossfight, non molto difficili in realtà, ma spettacolari soprattutto per la caratterizzazione grafico-stilistica dei nostri antagonisti. Ci vorrà però poco per comprendere il pattern di attacco dei boss e da li, la via per la vittoria sarà spianata.
Una dichiarazione di amore verso i classici del genere
C’è però da dire che, parimenti ai suoi illustri modelli/predecessori, anche Vengeful Guardian: Moonrider è caratterizzato da una difficoltà di accesso medio-alta, senza possibilità di scegliere livelli di difficoltà bassi o intermedi, al fine di fornire, comunque, una esperienza di gioco di tutto rispetto ed in linea con la concezione originaria del team di sviluppo.
Il rovescio della medaglia consiste, però, in una “auto-ghettizzazione” che, se da una parte contribuisce ad aumentare il rispetto nei confronti della software house (per l’integralistico rispetto della tipologia di gioco), dall’altro vede questo pur eccelso prodotto relegarsi ad una nicchia autoimposta.
Nostalgici e gamer piuttosto datati saranno dunque la platea di riferimento, non potendo, giocoforza, puntare ad una diffusione di massa, mettendosi in scia a quanto successo, ad esempio, in occasione di The Cowabunga Collection.
Questa scelta, pare abbastanza singolare, vista la supervisione di Dot Emu che, pur nella rispettosa attualizzazione di glorie del passato (i già citati Streets of Rage 4, Teenage Mutant Ninja Turtles: Shredder’s Revenge e l’immenso Windjammers 2), è riuscita comunque, a dispetto della acclarata età anagrafica dei rispettivi capitoli di riferimento, nell’arduo compito di raggiungere una platea ben maggiore di quella di effettivo riferimento dei titoli originali.
Come detto precedentemente, Vengeful Guardian: Moonrider non fa nulla per scendere a patti con i giocatori di oggi, rimanendo cristallizzato in una bolla estetico-temporale strettamente legata al mondo delle console a 16 bit. Non aspettatevi dunque effetti di luce dinamici o ray-tracing di ultima generazione ma, esattamente all’opposto, un prodotto che fa della pixel art la sua tara distintiva, per riallacciarsi, anche e non solo, dal punto di vista grafico ai suoi illustri modelli o antesignani, riuscendoci appieno.
Alla stessa maniera, il comparto sonoro sembra uscito di sana pianta dal compianto chip audio del megadrive, innescando un effetto nostalgia tanto malandrino quanto funzionale, al punto da poter essere apprezzato persino da coloro che non vissero in prima persona la golden age degli action platform 2D: sovente mi son trovato, infatti, a fischiettare gli ipnotici motivetti ascoltati durante il playthrough.
La recensione in breve
Vengeful Guardian Moonrider rappresenta una gemma tenuta volutamente grezza dal team di sviluppo, un palese ed evidente tributo a classici del genere come Turrican II, Mega Man e Shinobi, di cui l’ultimo prodotto Joymasher rappresenta un debito erede spirituale.
Fascinazione, grafica e gameplay old-school sono talmente perfezionati da risultare al passo con i tempi, portando alla nostra attenzione un prodotto si spartano ma dannatamente ben realizzato. Vengeful Guardian Moonrider non fa nulla per uscire dalla sua nicchia, riuscendo però a brillare di luce propria anche da quell’anfratto: un piccolo capolavoro da giocare senza sé e senza ma.
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Voto Game-Experience