La vita ai vivi, la morte ai morti. Sentierete spesso e (mal) volentieri questa frase in Banishers: Ghosts of New Eden, il motto dei purificatori di anime. Il loro compito è quello di dare la pace agli spiriti erranti, coloro che hanno smarrito la via dell’ascensione (sempre se meritata) a causa di qualche conto ancora in sospeso con le loro vite terrene. Sarà compito di Antea Duarte and Red mac Raith individuare quelli che sono i legami e la loro natura e comprendere in che modo allietare le entità ultraterrene.
Colleghi e amanti, uniti nella loro missione come nella vita. Il destino li porta a New Eden, un piccola colonia nord americana in mano alle forze del male. Non è chiaro il chi e il cosa, ma è il come a terrorizzare questa piccola cittadina. Questa missione metterà a dura prova i due amanti, che si troveranno ad essere uniti negli intenti ma distanti dalle loro carni. Una caccia al maligno in perfetto stile Don’t Nod, ricordando i bei tempi di Vampyr e Life is Strange. Bene, vi lasciamo alla nostra recensione di Banishers: Ghosts of New Eden.
Il paradiso può attendere
Antea Duarte e Red mac Raith, purificatori di professione e amanti nella loro vita privata. I loro servizi sono richiesti a New Eden, una cittadina di coloni che si affaccia sul versante atlantico delle coste nord americane. Una vecchia conoscenza invoca loro un aiuto per comprendere la natura di alcuni fenomeni paranormali che si manifestano in questo piccola comunità. L’indagine si dimostra subito in salita, con gli abitanti di New Eden che sembrano tutti nascondere un segreto.
Destino vuole che Duarte, nel corso di questa serrata investigazione, transiti nel mondo degli spiriti (non è uno spoiler, non vi preoccupate), senza però mai abbandonare il suo amato Red. Le attività investigative riguarderanno non solo persone, ma anche lettere ed appunti manoscritti, ognuno in grado di celare indizi utili al disvelamento del mistero di New Eden. Tra streghe, magia ed esoterismo, le uniche cose che contano sono la fermezza e la forza di volontà.
Il contesto narrativo concepito da Don’t Nod, se visto sotto il profilo comparativo, guarda molto il suo passato. I ritmi sono assai lenti, con dialoghi ragionati e performati in un tenore emozionale. Le storie arrivano tutte prima allo stomaco e poi al cuore, per quanto la mimica facciale e le espressioni in genere non rendono giustizia al momento (Life is Strange, ahinoi, è un lontano ricordo). Per coerenza (non di contesto, ma di scelta narrativa), la vicinanza a Vampyr è quella che calza meglio in ottica comparativa, al punto che ci sentiamo di dar ragione al fatto che Banishers: Ghosts of New Eden sia da intendersi come un suo successore “spirituale”.
Per stessa ammissione degli sviluppatori la vicinanza tra i due titoli è voluta, non solo in relazione al tenore della narrazione ma anche sotto il profilo del gameplay, aspetto che approfondiremo a breve. Bene anche l’atmosfera generale che avvolge e coccola gli eventi e la storia, in grado di lasciare sempre “sul chi va là” in ogni occasione.
Un’altalena tra action e narrativa
Il gameplay di Banishers: Ghosts of New Eden oscilla, in maniera sistematica, tra due precisi comparti ludici, ossia quello action e narrativo. Per chi ha già avuto il piacere di entrare in contatto con il modus operandi degli sviluppatori francesi, questo aspetto non rappresenta un elemento di novità. Il loro credo è proprio questo, e nel tempo hanno lavorato per tentare di raggiungere un equilibrio ed evitare che l’uno prevalesse sull’altro. Di sicuro il miglioramento c’è stato, anche se la strada verso la perfezione è ancora lontana.
Entriamo nel vivo della nostra analisi del gameplay di Banishers: Ghosts of New Eden, iniziando dalle meccaniche action. Non vi aspettate combo e stylish fight (e i margini per inserirli erano anche perfettamente contestualizzati), ma solo un’alternanza tra l’utilizzo di armi bianche e da fuoco. Il tandem tra Antea Duarte e Red mac Raith vede la prima utilizzare armi spirituali, visto che il suo “status” cambia nel corso dell’avventura. Questa possibilità di “switchare” tra i due è un elemento che suscita interesse rispetto all’economia del gameplay sul lungo periodo, ma è di matrice derivativa se puntate la bussola dei ricordi verso Vampyr (l’alternanza tra dottore e vampiro). Una derivazione che, ci sentiamo di aggiungere, non ci fa urlare allo scandalo.
La dimensione action viaggia a braccetto con quella ruolistica, con uno skill-tree che consente di sviluppare il potenziale di entrambi i personaggi. Le capacità offensive dei purificatori crescono con l’avanzare dell’esperienza di gioco, e con esse anche il potenziale dei nemici. La struttura del gioco non consente di rushare per cui keep quiete and play. Ovviamente, toglietevi il “paraocchi” e date un’occhiata a quello che la mappa di gioco nasconde in bella vista. I percorsi obbligati sono ben evidenziati ma il potenziale distruttivo delle vostre armi è in grado di aprire delle interessanti deviazioni.
Ultima ma non per questo meno importante, la componente del gameplay che riguarda la dinamica delle scelte condizionali, un vero e proprio marchio di fabbrica dei titoli Don’t Nod. Banishers: Ghosts of New Eden ci mette davanti a dei dilemmi piuttosto pesanti, sia sotto il profilo delle responsabilità che delle conseguenze. Dopo aver raccolto un numero abbastanza congruo di evidenze rispetto alla nostra indagine, passiamo dalla parte del giudice per essere pronti ad emettere una pesante sentenza per l’anima che abbiamo di fronte: sacrificare, purificare o ascendere. A fronte di questa nostra scelta il finale inevitabilmente ne risentirà, indi per cui la ponderazione non va lasciata nel cassetto.
L’ombra di Vampyr e il lontano ricordo di Life is Strange
Torniamo a parlare di quel ombra derivativa che abbiamo intravisto in Banishers: Ghosts of New Eden, un qualcosa che ha origine nel passato dello studio francese ma che non deve necessariamente essere vista come una cosa negativa. Don’t Nod ha cambiato pelle diverse volte nel corso della sua ultra-decennale carriera. Voci non confermate la davano vicino alla bancarotta e la smentita è arrivata con due titoli già messi in calendario nel 2024, tra cui quello oggetto della nostra recensione.
Vogliamo, però, farvi riflettere su un aspetto silente e non apertamente dichiarato in questa ultima uscita sul campo, ma che è assolutamente in linea con il percorso fatto sinora dallo studio fondato da Hervé Bonin, Aleksi Briclot, Alain Damasio, Oskar Guilbert e Jean-Maxime Moris. In Banishers: Ghosts of New Eden troviamo il racconto dell’eredità dello studio di stanza a Parigi, un titolo in grado di mettere in mostra il repertorio delle loro best practice in termini di videoludici. Valori come la ricercatezza nello sviluppo di una storia (di primo acchito già vista), in un contesto già esplorato da altri, anche nel grande schermo. La bandierina la piazzano senza grossi problemi, con una trama in grado di mescolare morte e amore, seguendo uno spartito che alterna note di disperazione e speranza.
Si perde, sin da subito, il concetto di giusto e sbagliato, lasciando spazio alle necessità e al male minore. Vi confessiamo che mentre giocavamo in più di un occasione siamo caduti in parentesi di astrazione in completo stile “What if”. E se il gioco fosse già pronto per una serie Netflix? Il consiglio, nella speranza che questo possa accadere, è quello di dare fiducia ad una piacevole e bella sorpresa di questo 2024.
La recensione in breve
Una storia emozionante, un gameplay intrigante ed una dimensione artistica in grado di far egregiamente il suo dovere. Una bella sorpresa questo Banishers: Ghosts of New Eden, un titolo in grado di mettere in mostra le migliori doti dei francesi di Don't Nod. Siamo ancora lontani dalla perfezione, e vi sono alcuni aspetti che potevano sicuramente essere meglio esplorati. Resta il fatto che entrerete subito in sintonia con le vicende dei due amanti e terrete saldo il vostro posteriore sulla sedia sino alla fine delle indagini. Che la caccia abbia inizio!
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Voto Game-eXperience