Le 4 tartarughe ninja hanno deciso di non mollare il colpo, soprattutto quando le candele sulla torta sono 40. Teenage Mutant Ninja Turtles: Splintered Fate (siglabile TMNT: Splintered Fate) aiuta a toglierci l’amaro in bocca lasciato da Wrath of The Mutants, seppur il genere cambia completamente rispetto a quest’ultimo. Un roguelike “elementare” in tutte quelle componenti punitive, in grado di non spaventare nessuna new entry.
Il gioco arriva su Nintendo Switch dopo circa un anno dalla pubblicazione della versione mobile. Cambiamenti radicali non ce ne sono stati, ma il porting su console ha amplificato il godimento di tutti gli aspetti dell’esperienza originale. Premettendo che il passaggio dallo schermo del cellulare a quello della Switch non è nulla di che, quando poi si va in docked allora si che volano i Cawabonga come se non ci fosse un domani. Senza incedere nelle ciance, vi lasciamo alla nostra recensione di Teenage Mutant Ninja Turtles: Splintered Fate.
A spasso tra le dimensioni
Leonardo, Donatello, Raffaello e Michelangelo partono in una folle corsa contro il tempo alla ricerca del loro maestro Splinter. Egli sembra intrappolato in una sorta di prigione spazio/tempo e si rivolge ai loro discepoli per il tramite di una sua proiezione spirituale attraverso il piano astrale. Per i quattro guerrieri appare subito chiaro il coinvolgimento dello spietato Shredder e del clan del Piede Nero, ma il destino, per quanto articolato in portali e dimensioni, ha in serbo una verità ben più diversa dall’apparenza.
Insomma, nell’anno della celebrazione del 40esimo anniversario, torniamo ancora a parlare delle tartarughe mutanti, cambiando completamente genere rispetto alle ultime uscite. Passiamo dal beat’em up puro – visto in Shredder’s Revenge e Wrath of the Mutants – al roguelike dalla spiccata vena action. Quello approdato su Switch è un porting di un titolo apparso su mobile un anno fa, riconfezionato per essere fruito al meglio sia versione docked che portatile.
La potenza di calcolo maggiore sorride lato framerate, con dei granitici 60fps che non soffrono in alcun modo il numero di elementi a video, anche nelle situazioni dove gli scenari si fanno più articolati. Il mix 2D/3D di quest’ultimi ci ha convinto, dimostrandosi anche in linea con la lore e le avventure narrate in altri medium.
Quello che non ci ha convinto pienamente, ed ha ingenerato non poca confusione, è il fatto di dare per scontato tantissime “sfumature” lato narrativo. I personaggi – in particolare, comprimari e nemici – vengono lanciati nella mischia, dedicandogli un minimo di spazio di presentazioni per poi scomparire. Se voleva (e doveva) essere un modo per avvicinare un nuovo pubblico alle loro avventure, l’operazione, a nostro modesto avviso, non è riuscita nel migliore dei modi.
Profumo di Hades
I riferimenti a Hades, lato meccaniche di gameplay, sono chiari come la luce del sole. Non vogliamo nasconderci dietro un dito o girarci dall’altra parte di fronte a tale evidenza, ma siamo, però, nel contesto delle libere ispirazioni e non del copia&incolla. Ma dove insistono queste aderenze e in cosa, sempre che questo assunto sia vero, si distanzia? Iniziamo con il modello di somministrazione della trama, che vede il suo sviluppo sempre nel medesimo e identico posto, ovvero l’hub centrale (quello dove si approda ad ogni respawn). In questo preciso luogo ogni tassello della trama trova la sua giusta collocazione, dando un senso al maledetto loop del try&die.
I vari comprimari non fungono da mere statuine, e talvolta si lasciano andare a dei sani momenti di lore (quella che riguarda il mondo delle tartarughe ninja nella sua “interezza”). In Hades succede la medesima cosa, con Zagreb che viene deriso dal padre ed incitato (di nascosto) dalla madre, e nel mentre il passato del principe degli inferi emerge dalle profondità del Tartaro.
Archiviato il modello di sviluppo della trama, passiamo all’aspetto più tecnico del gameplay. Ebbene in questo preciso ambito notiamo che i punti di contatto si trovano agli estremi di un elastico che tanto si allunga quanto si accorcia in maniera assolutamente sistematica. Lo schema offensivo prevede due tipologie di attacco, uno semplice e due soggetti a cooldown (di cui uno speciale). Quello difensivo, invece, consta solo di una schivata. Vi sono poi delle abilità passive che differenziano i 4 personaggi e che aiutano a ravvivare – e non di poco – l’esperienza generale, ed è solo qui che troviamo il grande “distanziamento” rispetto al capolavoro di Super Giant Games, oltre che essere il vero (e solo) punto di forza di TMNT: Splintered Fate.
In verità ne dobbiamo anche mettere a verbale un altro, ovvero la presenza di attacchi elementali, peraltro potenziabili. Ma se pensate che le nostre tartarughe, per esigenze di copione, non hanno alcuna possibilità di cambiare arma, ecco che si va nuovamente 0 a 0 e palla al centro con Hades (dove si aveva la possibilità, invece, di cambiare arma, previa spendita di monete speciali).
Ci sono poi alcune scelte progettuali che non hanno incontrato il nostro palato, come il sistema di avanzamento tra i vari stage, che ci obbliga – sempre e solo – a compiere una sola scelta. L’apatia da ripetitività viene alimentata, e non di poco, da questo discutibile assett. Certo, la possibilità di ottenere e spendere della valuta in game – guadagnata a suon di “legnate” – presso il mercante presente nell’hub fornisce sempre uno stimolo in più per incedere nelle run. Acquistando potenziamenti si diventa sempre più forti e diventa sempre più facile progredire nel gioco.
Ed è in questa eccessiva facilità, alimentata anche da uno schema offensivo dei nemici che diventa (troppo presto) un libro aperto per chi giace dall’altra parte dello schermo, troviamo il rovescio della medaglia. Occorre, però, tener presente che l’obiettivo di Super Evil Megacorp è quello di non creare le classiche barriere all’ingresso erette dal genere. Della serie: “Si ok, è un roguelike, ma non prendeteci troppo sul serio. Cawabonga, sempre e comunque. “
La recensione in breve
40 anni festeggiati al ritmo di respawn. Il roguelike è lì che aspetta sempre nuove vittime da sacrificare, ma si presenta molto più accessibile rispetto agli ultimi interpreti del genere. Artisticamente ispirato, sul fronte gameplay vacilla un po' lato level design. L'eccesso di iteratività ha abbassato di tanto il nostro giudizio finale
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Voto Game-Experience