Boh, ma veramente si possono scattare le foto all’interno dei videogiochi come se avessimo tra le mani una macchina fotografica? Me lo aveste chiesto 2 anni e mezzo fa vi avrei mandato tranquillamente a quel paese. Ed invece eccomi qua, a raccontarvi quello che ho appreso sul mondo della In-Game Photography e come questa ha il potenziale per tirar fuori il meglio da ognuno di noi, anche chi di fotografia non ne capisce una beneamata mazza.
Iniziamo questo viaggio nel mondo della In-Game Photography
Inizio così questa mia avventura a bordo della nave di Game-eXperience, e come il nome del progetto editoriale suggerisce mi “tocca” mettere a nudo la mia esperienza. Lo faccio volentieri e non è un caso che ho scelto questo interessante argomento al mio D1 in redazione. Sarò costretto ad essere antipatico e sfatare alcune false credenze e luoghi comuni che evocano il mio dark side in ogni occasione. Lo faccio più per dovere che per piacere, anche perché l’ignoranza va combattuta sul terreno della conoscenza.
Non sarà una puntata di Super Quark, anche se il mio lato Pieroangeliano scalpita e reclama sempre un suo giusto tributo. Cercherò, invero, di raccontarvi come questo mondo stia con il tempo trovando un giusto e meritato riconoscimento, privo di dipendenze e legittimazioni de relato. Vi parlerò di alcune differenze sostanziali, con il rammarico di un’editoria videoludica nazionale (a parte Game Experience ovviamente, ndr) che non riserva un attenzione particolare alla scelta degli scatti da inserire all’interno di un elaborato testuale. Normale, basta che ci metti uno screenshot, che ci vuole
Andremo a sfiorare il bellissimo mondo dei social e capire come questi possono essere piegati al nostro volere quando si parla di In-Game Photography. Perché sì, avete bisogno di una galleria per mostrare i vostri lavori, altrimenti fate la fine di quelli che se la cantano e se la suonano.
Da screenshot a scatto, lottando contro il luogo comune
L’immaginario collettivo associa al concetto di “immagini di gioco” il termine screenshot. In inglese ogni parola “fa figo”, ma quando poi si passa alla traduzione in italiano arriva la prima dura verità: SCHERMATA. Sono tragico vero?! Lo so, a volte me ne rendo conto anche io, ma ho questo atteggiamento solo con le poche cose a cui tengo oltremodo. L’In-Game Photography è una di queste, per cui eccomi qui a combattere come Don Chisciotte con quella che sembra essere una battaglia “contro i mulini a vento”.
Sapete qual è la vera differenza tra una schermata e uno scatto? VOI. Siete solo VOI il l’unico e vero ago della bilancia che decide quando bussiamo alla porta del primo o del secondo. Uno screenshot è un gesto istintivo, senza nemmeno troppi ragionamenti dietro. Mi serve un po’ di colore da mettere nella mia recensione e non ho voglia di spendere la mia materia grigia per un’attività che reputo una perdita di tempo?! Anzi, sapete cosa vi dico. Vado su internet in cerca di qualche immagine di repertorio. Magari me le scelgo carine e non troppo “consumate”. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. So benissimo che lo fate anche voi quando siete nelle curve e dovete consegnare un pezzo con l’embargo dietro l’angolo.
Uno scatto è qualcosa di molto più profondo. Parte da dentro, dallo stomaco o dal cuore, è un qualcosa che senti di dover fare in un preciso momento, rispettando delle condizioni particolari. Quando arriva il momento mi blocco, il gameplay passa in secondo piano e inizia una sorta di “gioco nel gioco”. Il reale fa rima con virtuale, con il confine tra i due mondi che si assottiglia fino ad annullarsi. Il concetto di “IO” diventa relativo, con il mio alter-ego virtuale che aspetta solo il mio ingresso accanto a lui.
Ed ecco che avviene il miracolo. Prendo la mia inseparabile macchina fotografica virtuale e catturo l’istante, con la consapevolezza che questo sia irripetibile. Il momento, infatti, è dato da una seie di fattori endogeni ed esogeni. Le regole del gioco le stabiliamo noi, con i nostri pensieri ed emozioni, con il background del gamer che gioca un ruolo fondamentale nella scelta delle situazioni da costruire. Non troverete mai, a parità di gioco, uno scatto uguale ad un altro. Le esperienze sono uniche e personali.
Photo-mode, la modalità che accende i sogni
Ok, ho superato le 700 parole e se siete ancora qui con me vuol dire che il primo stage è superato. Entriamo, quindi, nella parte tecnica del mondo della In-Game Photography, affrontando l’argomento della photo-mode. Volendo trovare un sinonimo, per spiegare in modo semplice la peculiarità di questa modalità, mi viene in mente solo il termine “porta”. Di fatto è quello che è mi si materializzata nel mio cervello la prima volta che l’ho scoperta, mentre realizzavo – istante per istante – come stava cambiando la mia “normale” vita.
Succede, da qualche anno a questa parte, che gran parte dei titoli dotati di una componente artistica degna di nota (e non ho fatto alcuna distinzione voluta di classe, ndr) abbiano a bordo una modalità fotografica, accedibile separatamente rispetto al normale flusso del gameplay. Questa si comporta al pari di una normalissima macchina fotografica, con le stesse funzionalità e dinamiche. Avete la possibilità, infatti, di cambiare inquadratura, livello di zoom e fuoco, regolare luminosità e contrasto, sino ad aggiustare le varie componenti cromatiche.
Le più virtuose vi permettono di “entrare nella scena” scegliendo pose, espressioni e outfit dei personaggi. Ovviamente ci vuole un minimo di dimestichezza prima di prenderci la mano, ma la curva di apprendimento non è mai nulla che spaventa. Certo, alcune photo-mode presentano un livello di personalizzazione che rischia di farvi abbandonare le sessioni di gameplay per favorire quelle fotografiche. È un pericolo che dovete mettere in conto, anche se “la spesa vale l’impresa”.
Ricordo con piacere gli scatti fatti in Days Gone, con quella che ritengo la miglior photo-mode presente in circolazione nel mondo dell’In-Game Photography, anche a distanza di 3 anni dalla sua uscita. Il livello di gestione di colore, luminosità e contrasto ancora oggi non ha eguali. Marvel’s Spider-Man, The Last of Us Parte II e God of War tengono ancora oggi banco sui social, regalando degli scatti da paura. L’unica che rompe il continuum è Aloy con l’ultima avventura vissuta in Horizon Forbidden West, dove si raggiunge l’apoteosi del concetto di “open world”. Una menzione d’onore la dedico alla modalità fotografica presente in Senua’s Hellblade Sacrifice, la prima che ha avuto il coraggio di rompere le cut-scene e permettere di catturare scatti anche in queste occasioni.
I social: utili se sfruttati con intelligenza
Arriviamo a quello che definisco un argomento “spinoso”: la questione dei social network. Iniziamo con una doverosissima premessa, che non vuole essere un mettere le mani avanti ma solo un monito. I social network e affini sono indispensabili. Non esiste un modo migliore per far conoscere ed apprezzare i vostri scatti. Le logiche interazionali sono fondamentali per aumentare il volume di visualizzazione dei vostri post. Tradotto, più pubblicate e più avete l’opportunità di costruirvi un nome, sempre che lo vogliate.
Ma non è tutto oro quello che luccica. Esistono delle regole non scritte da rispettare per l’In-Game Photography e alcuni bocconi molto amari da ingoiare. Tutto inizia con la creazione di un profilo monotematico. I calderoni non attirano nessuno se non gli spammer che vi bombardano di commenti inutili. Ci vuole una direzione ben precisa sin dal D1, quando pubblicate il vostro primo scatto. Non vi aspettate un miliardo di like con il primo post, già è tanto se ne collezionerete una ventina. Studiate, invece, i profili dei più bravi e “rubate” loro alcuni hashtag. Non è facile scovare quelli che vi portano un’interazione sicura, per cui andate sempre per tentativi.
Instagram e Twitter sono i due palcoscenici più autorevoli dove mettere in mostra i vostri lavori di In-Game Photography. Inspiratevi ai lavori degli altri, dal modo di presentare un post sino alle tecniche di scatto e post-produzione. Prendere spunto non significa copiare ma solo confrontarsi con senso critico. Siate sempre severi con voi e diffidate da chi vi propone una crescita facile. La concorrenza, quando si parla di social network, non sempre segue delle logiche di “lealtà” per cui una volta trovate la vostra via seguitela sempre fino in fondo.
L’ultimo consiglio che voglio darvi, sempre riguardo il mondo dei social network, è quello di essere sempre costanti. Mettete in atto un ritmo produttivo gioco-scatto-pubblicazione in modo da avere contenuti sempre nuovi ed offrire, quindi, materiale sempre genuino. Una volta che abituate i follower a contenuti da “likeare” il ritmo di crescita diverrà continuo e costante. Per il resto, come diceva Lucio Battisti nel brano Con il nastro rosa, lo scopriremo solo vivendo.