La stagione della caccia ha riaperto i battenti, anche se questa volta sotto il segno di Wild Hearts. Il genere degli hunting game ha un nuove ospite, che, con enorme spavalderia, punta il dito verso nostro Signore Monster Hunter. D’altronde non ci aspettavamo altro da veterani del calibro di Koei Tecmo e (leggasi Team Ninja) i quali hanno supervisionato il lavoro del team Omega Force, sotto l’egida di Electronics Arts e del programma speciale EA Originals.
Trattandosi di un genere votato all’azione, gli sviluppatori giapponesi devono uscire fuori dal terreno dei souls, ricordando i bei tempi di Ninja Gaiden III, quello con la componente più action della trilogia. Ma al cuore non si comanda, e una piccola eredità dei souls è stata affidata anche a Wild Hearts. Niente di complesso, ma efficace a rendere sempre alto il livello di sfida.
L’ultima fatica di Koei Tecmo e Team Ninja è ambientata nel mondo di Azuma, una realtà in cui convivono uomini e mostri, i Kemono, in un equilbrio che sembra, ben presto, destinato a volgere al termine. Qualcosa spinge le creature ad assaltare i villaggi ed attaccare le persone. Motivo per cui entrate in gioco voi, ultimi cacciatori rimasti in circolazione.
Se da una parte la storia e la lore convincono – anche se non sorprendono – ci troviamo costretti ad essere sorpresi in negativo per quello che concerne il comparto grafico del gioco. Una seria marcia indietro per gli storici dev di Nioh e Ninja Gaiden, segno che forse le risorse siano state destinate altrove, magari a Wo Long: Fallen Dynasty. Non vi facciamo perdere altro tempo, e vi lasciamo alla nostra recensione di Wild Hearts, giocato nella sua versione per console PS5.
Il gameplay tra azione e strategia
Wild Hearts si presenta come un’alternativa all’inossidabile saga di Monster Hunter. Capcom ha ormai piantato le sue radici del genere, arrivando ad una vicinissima volgarizzazione del marchio. L’hunter’s like di Koei Tecmo e Team Ninja punta a creare un equilibrio tra azione e strategia, provando a metterli insieme senza che questi facciano “a cazzoti”. Non essendoci un sistema di classi, il personaggio deve imparare a menare le mani così come aumentare le sue doti costruttive.
Il mondo di gioco sembra piegarsi al nostro volere. L’impressione è che tutto sia farmabile o craftabile, basta solo progredire nello skill tree. Sebbene all’inizio si è quasi inondati da nozioni e tutorial – nulla di eccezionalmente complesso, ci mancherebbe – il grosso del gameplay di Wild Hearts ruota attorno a due assett principali: i Kemono ed i Karakuri. In qualità di cacciatori quello che ci fa portare a casa la pagnotta è la caccia, anche se questa non deve necessariamente coincidere con la morte della preda. Non che quest’ultimo aspetto influisca su qualche forma di ricompensa karmica o delinea un possibile finale alternativo, ma solo un modo per non avere la coscienza sporca.
I Kemono sono delle bestie che vivono in perfetta simbiosi ed armonia con la fauna di appartenenza. Il bioma si estende sulla pelle dell’animale, evidenziando l’interessante lavoro artistico svolto dagli sviluppatori giapponesi. Belli e pericolosi, visto che si finiamo nella loro linea di tiro è piuttosto facile finire al creatore anzitempo. Ed è qui che si delinea un primo punto di non contatto con la serie Monster Hunter in genere, lanciandosi in un timido rimando ai souls.
Ad elevare il lato strategico di Wild Hearts ci pensano i Karakuri, veri e propri manufatti di elevato spessore tecnologico, in grado ribaltare le sorti di uno scontro. Catapulte, balestre speciali e torri create dal nulla, diventano dei validissimi alleati quando si va caccia. La furia dei Kemono, ovviamente, non guarda in faccia a nessuno. Se usate una giusta dose di intelligenza e strategia – senza cadere nel tranello dello smashing button – la vostra soddisfazione diventerà il vostro miglior premio (una citazione che ci è sembrata come un assist a porta vuota).
Il “silente” lato Souls
Dietro lo sviluppo di Wild Hearts ci sono i genitori biologici della saga di Ninja Gaiden e Nioh, oltre che del futuro Wo Long: Fallen Dynasty. Tre titoli che hanno un grande punto in comune: un ostentazione del concetto di difficoltà. La radice del genere dei souls, dove per dimostrare di essere all’altezza occorre impegno e sacrificio. Per quanto siamo lontani dai quei livelli “punitivi”, anche in Wild Hearts vi sono delle timidi propagazioni del genere in questione.
Non parliamo di tratti “estremi”, ma solo delle leggere sfumature che rinnovano costantemente l’interesse per il gioco. Il mondo di gioco, conosciuto con il nome di Azuma, racchiude in sé una moltitudine di creature con i più disparati livelli di potenza. L’apice si tocca con i Kemono, che fungono da boss d’area giusto per intenderci. Questi, però, non sono gli unici mostri da temere, anche perché il “branco” attende sempre in agguato.
Ed ecco perché è importante fare del sano grinding prima di procedere verso una meta impegnativa. Lavorare sodo, come la traduzione letterale del termine suggerisce, ripaga sempre bene. Nuove abilità e nuove armi possono sempre essere utili e salvarci la pelle in situazioni che all’apparenza possono sembrare un gioco da ragazzi. La vena souls c’è, anche se silente, pertanto non vi costa nulla forgiare nella vostra fucina armi ed equipaggiamento. Stesso discorso vale per i Karakuri, anche se vi toccherà un po’ girare per la mappa in cerca di potenziamenti (e favori divini).
Idee originali, grafica superata
Di idee originali ce ne sono in Wild Hearts. Non a caso il progetto videoludico ha subito attratto l’interesse del colosso americano Electronics Arts, che ha dato fiducia al gioco affiliandolo all’interno dell’iniziativa EA Originals. Sulla carta, le premesse erano più che buone. Sfidare un mostro sacro come Monster Hunter non è da tutti, anche se Koei Tecmo e Team Ninja navigano il mondo dei videogiochi già da qualche anno.
L’ambientazione ci è piaciuta, così come l’idea di creare una lore dove flora e fauna fossero quasi un tutt’uno. Purtroppo, non bastano solo le idee per assicurare il successo di un progetto. Quelle idee devono essere declinate nel rispetto di un contesto che richiede ben più di una semplice idea. Graficamente parlando, Wild Hearts si è dimostrato estremamente deludente. In alcune occasioni, infatti, abbiamo avuto la costante sensazione di esserci perso qualche gen per strada e non essere su PS5.
Stesso discorso vale per tutte le feature dedicate, come il feedback aptico e i trigger adattivi, per non parlare poi del mancato sfruttamento dell’Audio 3D. Non te lo aspetti da sviluppatori con un certo pelo sullo stomaco, e l’impressione è quella di aver velocizzato alcune fasi di sviluppo per dedicarsi al big dell’anno, e vale a dire Wo Long: Fallen Dynasty. Supposizioni sì, ma fino ad un certo punto.
La recensione in breve
Wild Hearts lancia il guanto di sfida a Monster Hunter. Le idee messe in campo sono buone, anche se non vengono sfruttate nel migliore dei modi. Colpa di un comparto grafico che sembra essersi perso qualche gen per strada, oltre a non aver sfruttato a dovere le feature dedicate su PS5. Storia e lore che escono dal terreno del "già visto".
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Voto Game-Experience