Silenzio radio terminato, è tempo di raccontarvi il primo episodio della serie di The Last of Us in una recensione che tenterà di allontanare gli spettri degli spoiler. La collaborazione tra Craig Mazin (sceneggiatore della miniserie Chernobyl) e Neil Druckman (Game Director di The Last of Us Part I) ha dato vita a quella che, senza ulteriori indugi, è la miglior trasposizione filmica di un prodotto videoludico. In tanti ci hanno provato, dalla serie TV al cinema, e quasi tutti hanno fallito. C’è chi ci è andato vicino, chi ha deragliato in maniera platele.
La serie tv di The Last of Us tenta di seguire un approccio che che oserei definire “intelligente”, ovvero quello di completare e non contraddire il videogioco. Per un solo istante, per quanto difficile possa esserlo, scrollatevi di dosso il fanboyismo da gamer incalliti. Che cosa mancava al titolo di Naughty Dog? Ci sono state delle cose spiegate poco o date per scontate? Domande senza risposta? Atteggiamenti equivoci che ci hanno spinto a pensare “cose” che poi abbiamo solo ipotizzato non essere come tali?
Craig Mazin, partendo dal capolavoro del 2013 – e aiutato dalla presenza del remake di The Last of Us Parte I uscito nel 2022 – fissa alcuni punti chiave, identificati nei personaggi e nelle ambientazioni. Il contesto è quello che già conosciamo, aggiungendoci delle vicende che sono coerenti rispetto alla narrazione scelta. L’ansia da survival si sente, la paura di essere prede non molto. Non salto ad inutili conclusioni, anche perché mi sono sciroppato la prima ora e me ne restano ancora 8 da vedere (il resoconto completo lo trovare nella recensione della serie). Ma qualche “mostro” in più non sarebbe stato poi così male.
Detto questo, io non vado oltre con le premesse. Vi anticipo già che, in questa recensione della serie TV di The Last of Us, non mi butterò “a pesce” sugli spoiler per quanto acchiappa-click possano essere. Storia, personaggi, qualche chicca e spunti di riferimento con il videogioco. Il viaggio verso il destino ci attende.
Storie che raccontano i personaggi
La serie di The Last of Us inizia come il primo episodio del videogioco. L’antefatto che ci porta a scoprire le figure cardine della vita di Joel Miller (Pedro Pascal, Il talento di Mr. C e The Book of Boba Fett), il fratello più piccolo Tommy (Gabriel Isaac Luna, Terminator – Destino oscuro) e la figlia Sarah (Nico Parker, Dumbo). Di quest’ultima il titolo di Naughty Dog non rivelava molto ad onor del vero, lasciando la caratterizzazione del personaggio ad alcune parole e confessioni del padre nel corso dell’avventura.
Il regista americano crede che, invece, ci siano delle cose che è giusto spiegare, dedicando la prima parte della puntata all’esplorazione di questa figura emblematica nella vita di Joel. Interessante lo “spiegotto” sulla differenza tra un virus “normale” e uno della famiglia dei funghi, con delle frasi profetiche che mi hanno riportato indietro all’11 marzo 2020, quando l’OMS dichiarava l’epidemia da COVID come Pandemia. Ditemi quello che volete, ma ci ho visto più un riferimento alla nostra realtà che a quella della serie.
Si passa dal 2003 al 2013, 10 anni dopo quegli eventi. Joel è più “vissuto”, il mondo non è più quello che conoscevamo e la presenza del fungo Cordyceps è divenuto una realtà che ha creato uno spartiacque tra il mondo dei “normali” e quello degli “infetti”. Per adesso posso solo esprimere un giudizio sui primi, visto che i secondi non sono ancora pervenuti. La tecnica è quella – se ho capito bene – di lanciare l’amo per la puntata successiva nei momenti conclusivi dell’episodio. Da incurabile malato di hype che sono, la scelta è veramente deleteria per me e per il mio male.
Facciamo la conoscenza di Tess (Anna Torv, The Newsreader e Fringe), che dopo aver lasciato i panni dell’agente del FBI in Fringe interpreta quelli di contrabbandiera e complice di Joel. Il destino tende una nuova mano a quest’ultimo (emblematica la crudezza della scena con il soldato che punta l’arma nella sequenza tra le rovine con la pioggia), mettendo dinnanzi al suo cammino Ellie (Bella Ramsey, Il Trono di Spade).
L’evoluzione degli eventi insegue lo stesso ritmo del gioco, quella della presentazione dei personaggi un po’ meno, al punto che si arriva ad un momento in cui si avverte della leggera confusione su “chi” fa “cosa” e “perchè”. Resta il fatto che l’impressione è quella che il regista voglia puntare molto sulle dinamiche e sulle relazioni tra i personaggi, molto di più di quanto già avesse fatto Neil Druckmann. Al momento non solleviamo dubbi sulle interpretazioni dei ruoli, tutti azzeccatissimi e in linea con il videogioco.
Una vittoria che si celebra nei dettagli
Il continuo paragone tra la serie Tv e il videogioco mi ha costretto ad entrare in un personalissimo campo di battaglia, con i due schieramenti a contendersi la vittoria. La dimensione filmica e quella videoludica consentono un rapido confronto con argomenti quali storia e personaggi, e ci metto anche la fotografia. Quando, poi, si arriva al screenplay vs gameplay, come si suol dire, “casca l’asino”. E invece succede l’esatto opposto. Vi sono proprio delle dinamiche di gioco, come il muoversi silenziosamente e le sequenze stealth che funzionano tanto nella serie quanto nel videogioco.
Tralasciando i costumi dei protagonisti, identici a quelli delle controparti virtuali, anche la scelta delle location ci è sembrata perfetta. Le inquadrature rendono giustizia alle scelte in termini di contesto, con gli arredamenti degli spazi chiusi semplicemente perfetti (sono quasi certo di aver intravisto nella serie un armadio presente nel videogioco). I tempi della narrazione sono ben ritmati, ed aiutano a suddividere l’episodio in fasi, aspetti che ritroviamo anche nel videogioco (anche agevolati dalla presenza delle cutscene).
Attenzione ai colori, un aspetto che agisce in maniera subliminale ma che è dannatamente funzionale al feng shui dell’episodio. Craig Mazin lavora molto su questo aspetto e lo abbiamo anche visto in Chernobyl, anche se in quella occasione la dimensione storica degli eventi oscurava quella artistica. Tolta la parte politica e dei compromessi, nella serie Tv di The Last of Us il regista americano ha sfogato la sua creatività come meglio poteva, caratterizzando le sequenze “cardine” con una seppiatura calda che arriva dritta alla gola. Sai che il momento è importante, anche se non ne comprendi il perché.
E poi tutti in piedi per la componente della fotografia. Qui gli applausi a scena aperta si sprecano. C’è una coerenza perfetta con la controparte videoludica. Anche le macerie e quello che resta della civiltà sono collocati come nel videogioco, costruendo delle ambientazioni tanto penetranti quanto convincenti. Ma non è solo per via del confronto, quanto nei momenti che si vivono in tali contesti. E siamo solo al primo episodio, chissà ancora quanti ne vivremo.
La recensione del primo episodio
Non si tratta solo di fedeltà, ma anche di completamento rispetto già a quanto raccontato dal videogioco. Il primo episodio della serie di The Last of Us scrolla di dosso lo spauracchio della maledizione che colpisce tutti gli adattamenti. La prima ora è scivolata via accompagnata da moltissimi ricordi, e tante nuove soddisfazioni.
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La recensione in breve