Ci sono due tipi di persone a questo mondo, si dice spesso. Quelli che amano i gatti e poi tutti gli altri. Che sia questo il segreto del successo di Stray? Potenzialmente può aver contribuito ma di sicuro non è il fattore predominante che lo ha portato da una produzione Indie fino alla candidatura come miglior gioco dell’anno, senza contare le altre categorie. Se si siete persi questo piccolo capolavoro, prima di ogni cosa recuperate la nostra recensione (ed è pure in sconto per cui approfittatene).
I gatti fanno tendenza
A riportare le parole che state leggendo è un fermissimo amante dei cani e che ha sempre avuto tutti i pregiudizi possibili sui gatti. Dopo aver trovato l’amore, il pacchetto convivenza comprendeva anche un gatto (Bubi) che ha confermato tutti i pregiudizi che mi portavo appresso. Solo che ora ne ho le prove. Ovviamente non siamo qua per parlare di gatti (c’è un social network che sta in piedi solo grazie a loro) ma di Stray. Una produzione Annapurna, si è fatta largo come un’opera videoludica che ha colpito al cuore di milioni di videogiocatori.
Teoricamente parlando, il titolo sviluppato da BlueTwelve Studios, avrebbe però avuto lo stesso successo indipendentemente dall’animale protagonista. E se fosse stato un cagnolino? Un leoncino? Un piccolo facocero? A parte gli scherzi, vi invito a pensarci seriamente. Stray è stato in grado di affermarsi e di raccontare una storia senza l’uso delle parole. E’ stato questo il suo asso nella manica.
Raccontare senza parlare
Quello che immagino sia successo negli studi di programmazione durante le fasi di progettazione del gioco è un meraviglioso brainstorming sfociato in una linea direzionale atipica ma solida. “Raccontiamo la storia senza raccontarla” è quello che nella mia mente qualcuno ha detto, con conseguente scroscio di applausi del resto del team. In Stray è stata usata la tecnica base dei romanzi di successo che altro non è che lo Show, Don’t Tell. A livello visivo e tutto quello che il protagonista a quattro zampe vede, e di conseguenza anche il giocatore, è stato studiato per trasmettere un messaggio, una sensazione o per raccontare qualcosa.
Un minimo di interazione scritta c’è, ovviamente, ma si è trattata di contenuti molto limitati. Per tutta la durata del gioco ci viene trasmessa ai limiti dell’indiretto la situazione di decadenza e precarietà del mondo che stiamo esplorando. E certe domande, che ci porremo tra poco, sono scaturite a molti col pad alla mano.
Un solo obiettivo
In Stray, c’è un solo destino, un solo obiettivo: tornare a casa. Non ci sono Side-Quest, non c’è Open World come in Sonic Frontiers, non ci sono storie che si intrecciano. Il modo di raccontare la storia attraverso gli occhi ha avuto la piacevole (forse inaspettata) conseguenza che a colmare le lacune alle quali non ci viene data risposta. Ci ha pensato la nostra mente. Le poche informazioni che ci vengono fornite col contagocce danno una base dalla quale partire ma tutte le congetture poi sono nostre. Mentre mi sono trovato personalmente a saltare da un parapetto all’altro ho avuto una illuminazione dopo essere salito su l’ennesimo condizionatore all’esterno di un edificio. In quel momento mi sono fermato e, con lo sguardo fisso, ho realizzato che per ore avevo incontrato solo Robot umanoidi.
L’intera città era popolata da quest’ultimi e nessuna forma di vita composta da cellule si era palesata (non ostile almeno). A cosa servivano tutti quei condizionatori se i robot non hanno bisogno di refrigerio? Il mindblow appena subito mise le radici di una continua e martellante domanda che continuava ad aumentare di intensità ad ogni dettaglio che non trovava un senso, ai miei occhi. Questo è palesemente un bar, ma questi robot non consumano nulla di edibile, mentre quello è il simbolo di un barbiere, eppure i robot non ne hanno bisogno. In che mondo sono capitato? Qui scherzosamente torna utile un famoso preconcetto secondo il quale ai gatti non frega nulla dell’umanità. Al protagonista infatti interessa solo tornare in superficie, mangiare e dormire (in quest’ordine) e quindi non dovrebbe interessare nemmeno noi.
Le Nomination
Le domande sarebbero di più ma le risposte non le avremo mai (forse) quindi non ha senso perderci troppo tempo. Torniamo all’inizio del tabellone, come nel famoso gioco dell’oca. Ovviamente tutti gli sviluppatori puntano ed ambiscono al premio Game of the Year (GOTY per gli amici) ma Stray è riuscito ad esagerare. Si è candidato anche come Miglior Regia, Miglior Direzione Artistica, Miglior gioco di Ruolo, Miglior Action/Avventura e Miglior INDIE.
Come in una orchestra perfettamente coordinata, abbiamo avuto la fortuna di giocare ad un capolavoro a tutto tondo. La quantità di emozioni che è in grado di generare questo gioco felino è da ammirare e da godersi senza ombra di dubbio. Sia chiaro, non è il gioco perfetto per eccellenza, poiché nessuno è esente da difetti ma si è potuto mettere al fianco di produzioni come God of War Ragnarök, Elden Ring e Horizon Forbidden West con fierezza nonostante le “umili” origini. Niente male, vero?
Dopo gli elogi e le informazioni principali, arrivano le paure, personali e della comunità di videogiocatori. Stray ha trasmesso quasi oggettivamente la verità che non importa quanto sia ben fornito il budget per la sua realizzazione, o quanti “Attoroni” siano stati coinvolti, o chissà che altro. Stray ha fatto capire a tutti che per una bella storia e quindi anche un bel gioco servono solo le giuste idee e il modo giusto di trasformarle in realtà. O forse bastava solo il gatto, chissà.
A parte gli scherzi, e tornando alla questione spinosa, quello che temo personalmente è che questi avvenimenti vengano mal interpretati e quindi portati allo stremo come solo chi vuole trarne guadagno sa fare. Temo in un futuro di giochi dove la norma sarà spiegare il meno possibile al giocatore. Temo una sfilza di titoli semplici e ripetitivi (perché diciamolo, in pratica dobbiamo solo saltare e scappare in Stray e se vogliamo anche miagolare). Temo altri giochi con protagonisti gatti perché identificati come il motivo del successo del gioco che stiamo trattando. Ciò che temo maggiormente, però, è Stray 2. Per favore, che Stray resti il “Randagio” che il suo nome vuole intendere.
Se dovesse mai arrivare l’annuncio di un seguito di Stray, credo che perderei personalmente la fiducia nell’industria videoludica, per citare una recente affermazione su Twitter di un utente con AnnaPurna che gli ha pure risposto. Un sequel di un titolo di questo calibro sarebbe un mero tentativo di cavalcare l’onda del successo per ingordigia pecuniaria, sminuendo tutto ciò che è stato fatto finora.
Oltre il gioco
Quello che sto apprezzando moltissimo è stato il coinvolgimento di enti e ambiti davvero lontani da quello del videogioco. Vuoi per motivi di marketing (quasi certamente) ma almeno nulla è andato a discapito di qualcuno. Chi ci ha guadagnato maggiormente sono stati proprio i felini randagi che verranno salvati dalle associazioni alle quali AnnaPurna ha donato (e non solo lei) ingenti somme anche grazie alla campagna di sensibilizzazione di successo. Insomma un comportamento davvero ammirevole.
Infine eccoci a piè di pagina, con una visione di un gioco che, con poche carte alla mano, ha ottenuto le chiavi dell’Olimpo videoludico (o almeno è in lizza per averle). In ogni caso lo sapremo durante le premiazioni ufficiali che si terranno l’8 Dicembre. E voi, avete detto la vostra? Non dimenticatevi di votare sul sito ufficiale dei The Games Awards.