Team Ninja ha finalmente consegnato al mondo la sua opera più ambiziosa: l’attesissimo Rise of the Ronin. Stavolta la casa di sviluppo che ha dato i natali ai Nioh/Nioh 2, a Wo Long: Fallen Dynasty e prima ancora ai Ninja Gaiden in 3D del 2004, ha collaborato con Sony per realizzare questa esclusiva PS5 (per ora) che ha alzato di parecchio l’asticella. Gli intenti, infatti, sono tutti – sia singolarmente che collettivamente – impegnativi, perché Rise of the Ronin ci ha costretti a sopravvivere in un open world affascinante, ma anche pericoloso.
Ambientata nel Giappone di metà ‘800, l’esperienza descrive la situazione geopolitica, storica e sociale dell’epoca con grande realismo. Al contempo, tesse una trama parallela completamente inventata con protagonisti vari Ronin e con tanti personaggi interessanti a supporto. Il tutto, e qui viene la parte migliore, mentre ci fa assaggiare alcuni tra i combattimenti “più tosti” del mondo action (e forse anche di quello “Soulslike”).
Un Giappone inedito, denso e vario
Come vi abbiamo raccontato nella nostra anteprima che ha preceduto questa recensione, il Giappone ottocentesco di Rise of the Ronin è abbastanza raro nel mondo videoludico. Che, di solito, tende a lasciarsi affascinare da miti e leggende dense di Yokai, Oni e spiriti, più calzanti e credibili durante ere precedenti del Sol Levante. Basti pensare che Ghost of Tsushima è ambientato sul finire del 1200, per confronto. Mentre Sekiro: Shadows Die Twice è fuori dal tempo ma comunque riconducibile a un contesto medievale.
Questa scelta è impegnativa sia a livello narrativo e artistico, com’è ovvio, che sul piano ludico e di design. Però, i developer di Team Ninja sono stati più che all’altezza della sfida e hanno costruito un Giappone incredibile ed entusiasmante. Nelle sue terre ora bucoliche, colorate e lussureggianti, ora metropolitane, ingrigite da cementi e polveri da sparo, si riconosce l’esperienza di veri professionisti dell’action-adventure. Sviluppatori capaci di coniugare bellezza e panorami più che “instagrammabili” (la modalità foto è scarna, ma presente) con scelte funzionali allo sfruttamento delle moltissime risorse di gioco.
L’aliante, su tutte, è logicamente quella favorita dagli sviluppatori e preferibile dai giocatori. Servono a sfruttarlo meglio alture, torri, aquiloni a cui agganciarsi per prendere lo slancio e tetti (tantissimi tetti) sopra cui svolazzare. Non sottovalutate il rampino, identico a quello di Sekiro negli usi “esplorativi” (cioè si aggancia in spot specifici e ci fa arrampicare all’istante) ma utilizzabile anche in lotta.
In questo trionfo di colori accesi, ludos e level design certosino abita però anche una degna trama, che pur ricalcando periodi più o meno bui con fedeltà rispetto gli eventi realmente accaduti, non manca di licenze quasi “steampunk” e di esagerazioni sotto forma di coreografie di lotta impossibili: eccelse e super scenografiche. Anche se interpretiamo un protagonista con intenti chiari e una missione principale definita, lo spazio di manovra entro cui sfruttare la fantomatica “dissonanza ludo narrativa” è enorme. Infatti ci sono varie scale di misurazione entro cui stare con il proprio Ronin, interamente costruito da noi con un editor ricco di possibilità, in perfetto stile Team Ninja.
Per esempio, si può scegliere di fregarsene del tutto ed esplorare il Giappone dominato dallo Shogunato più famoso della storia nipponica. Perciò, camminare in lungo e in largo, dentro e fuori da edifici, grotte e altre ambientazioni. In quel caso ignorerete il vostro scopo primario, cioè ritrovare la “sorella acquisita” cresciuta come noi come parte del clan mercenario delle Lame Velate. Creduta morta e, invece, sopravvissuta pur se dispersa. Però, rafforzerete il vostro legame con le varie zone in cui la mappa è suddivisa, le regioni e le città, i villaggi e i loro abitanti, scoprendo gradualmente molti segreti. Il bello è che questi ultimi diventano indicatori da seguire sulla cartina solo dopo che avrete visto e fatto abbastanza sul territorio.
Missioni opzionali e “legami”
All’inizio la mappa è quasi nuda e non ci sono tanti segnalini da seguire. Man mano che cresce il legame fra regioni e Ronin, però, compaiono moltissimi punti di interesse. Come gatti da collezionare (sì, avete letto bene), panorami da fotografare, nemici da sconfiggere e zone occupate da banditi che possiamo riportare alla calma. Ci sono anche fuggitivi da catturare, sfide a cavallo o sull’aliante, pentagoni dove esercitarsi con fucili, pistole o archi e santuari a cui rivolgere una preghiera, per rilassarsi e ottenere punti esperienza.
Insomma, le missioni secondarie e gli incarichi con cui tenersi occupati oltre la campagna principale non mancano e sono anche ben fatti. Anzitutto, sono pensati per farci spostare ed esplorare, distribuendo punti di interesse e obiettivi sempre a una certa distanza dal luogo dove accettiamo la missione. Inoltre, sono tutti più che dignitosi anche a livello narrativo e coinvolgono personaggi peculiari e situazioni sempre diverse e interessanti. A seconda di come gestiamo i potenziamenti, o di come scegliamo di “ruolare”, possiamo interpretare Ronin diversi. Benevoli magari, piuttosto che uno spietato sanguinario. Inoltre, sia le secondarie che la trama principale possono prendere svolte differenti e condurre a epiloghi distinti.
Non tutte le decisioni sono iper rilevanti, ma è piacevole vedere che a ogni azione diversa corrisponde una reazione altrettanto distinta. C’è per esempio il caso di un monaco a cui hanno rubato una statua preziosa. Ben presto scopriamo che il ladro è un altro monaco, che voleva portarla al suo poverissimo villaggio per confortare gli abitanti. Sta a noi decidere se recuperare la statua uccidendolo, spaventandolo o confortandolo, per poi tornare dal committente e chiedergli di aiutare il villaggio del poveretto. Non sapremo mai che fine ha fatto, ma avremo fatto la nostra parte in ogni caso.
Un’altra missione narrativamente interessante, più complessa, ci mette sulle tracce di tre ladri di armature, per riprendere un equipaggiamento appartenuto al padre di un giovane committente. Dopo aver recuperato tutto finiamo per cavalcare insieme al ragazzo, armato di tutto punto, per vendicare la morte del padre contro un clan rivale. Il bello è che la lotta diventa quasi una mini-guerra, per quanti avversari ci sono a schermo tutti insieme.
Su scala maggiore, e con conseguenze più importanti sulla storia, sui personaggi e sull’epilogo, c’è un’altra decisione importante. Si tratta della selezione dello schieramento “politico” a cui affidare i nostri servigi. Saremo fedeli servitori dello Shogun e della polizia, favorendo i piani di conquista degli USA sui territori giapponesi e sperando che portino tecnologia e prosperità? Oppure militeremo nella resistenza anti-Shogun, preferendo la conservazione dell’autarchia e delle tradizioni millenarie del nostro paese? Magari, decideremo di fare il doppio gioco, per avere il doppio delle informazioni e ritrovare prima la nostra compagna Lama Velata. Dipenderà dalle missioni che accetteremo e che sono distinte fra generiche, o pro/contro lo Shogun. Ma anche dai legami che coltiveremo con i Ronin e le persone che hanno fatto loro uno dei due ideali.
Di conoscenza in conoscenza le possibilità di azione e le task possibili diventano così numerosissimi, perché il Ronin protagonista si inserisce in una rete di relazioni sempre più ramificata e complessa. Si può anche essere affiliati a un partito ma avere un buon rapporto con un personaggio favorevole a quello opposto, regalandogli oggetti speciali che rafforzano ancor di più la sua amicizia verso di noi e aiutandolo in missioni particolari a lui/lei dedicate. Questi incarichi si possono svolgere anche giocando con altri giocatori reali online come alleati. Infatti si svolgono in istanze della mappa circoscritte e insuperabili finché non si è battuto il “Boss”: un avversario più forte della norma e, a volte, con moveset e armi leggermente modificate.
Si possono affrontare queste missioni istanziate anche da soli, ma la difficoltà si alza parecchio. Oltre a non avere alleati su cui contare per attrarre l’aggro, infatti, si perde anche la possibilità di cambiare personaggio controllato e, in caso di morte, continuare la battaglia nei panni dell’alleato, che volendo può anche resuscitare il nostro PG… sempre che il Boss gli lasci il tempo.
Le vie del guerriero sono infinite
Nonostante questo enorme numero di attività secondarie da svolgere, Rise of the Ronin è – e resta – un titolo legato alla storia di Team Ninja. È, infatti, un gioco dove l’azione e i combattimenti sono molto importanti. Non a caso larga parte delle ricompense ottenibili con le succitate missioni principali e secondarie sono pezzi d’armatura migliori o più belli, armamenti più performanti e in generale oggetti utili alla sopravvivenza in lotta.
L’importanza dei combattimenti è evidente anche solo osservando i menù di sviluppo del personaggio. Al suo interno ci sono quattro semplici alberi delle abilità divisi per macro categorie: le caratteristiche di forza, agilità, fascino e intelletto. Oltre ai punti esperienza normali, con i quali avanzare nell’albero sbloccando nodi progressivi, ci sono altri punti specifici per ciascuna classe. Di solito, sono legati alle skill specifiche come “aumentare i danni” per la forza. Oppure, sbloccare opzioni di dialogo come “menzogna” e “persuasione” rispettivamente per intelletto e fascino.
Inoltre, ogni categoria rende il nostro Ronin più ferrato nell’uso di date armi, o di determinati “stili” con cui maneggiarle. Le katane, per esempio, sono armi da “forza”, mentre le doppie lame da “agilità” e così via. L’impugnatura statica, il moveset offensivo e le mosse speciali sono infatti determinate non solo dalla scelta fra spada semplice, lancia, alabarda, sciabola e via dicendo, ma anche dallo “stile” che sfruttiamo per roteare lo strumento. Si può, e anzi spesso si deve, cambiare arma o stile nel bel mezzo della lotta. Specie se ci accorgiamo che la combinazione scelta non è particolarmente efficace contro un’altra. Per esempio, mulinare un’alabarda consente di effettuare contrattacchi dal raggio molto ampio, ma anche dalla velocità ridotta. Contro un’altra alabarda altrettanto lenta può funzionare, ma perde il suo scopo se ci viene contro un individuo con una rapida e precisissima doppia lama.
Più usiamo un’arma, più cresce la nostra competenza con quest’ultima e più facilmente ne troviamo di migliori. A nostro avviso è un sistema perfetto per impedire l’accumulo di strumenti più forti diversi da quelli che ci piacciono, o che stiamo usando. Comunque, in pieno stile Team Ninja, l’inventario sarà costantemente bombardato di nuove armature, armi, oggetti, pistole, archi, fucili e chi più ne ha più ne metta. Volendo si può però scegliere di lottare persino a mani nude, seguendo un percorso specifico in agilità e sfruttando di più il rampino perennemente equipaggiato. L’oggetto non serve solo per arrampicarci silenziosamente e tentare la via dello stealth. E’ infatti utile anche per agguantare tizzoni ardenti, armi nelle rastrelliere e altri oggetti e scaraventarli verso chi ci si oppone. O, addirittura, per lanciare i nemici stessi con la stamina (il “ki”) terminata gli uni contro gli altri.
A proposito di stealth, non è possibile terminare le missioni solo in silenzio. Arriverà sempre il momento in cui un nemico temibile, più forte degli altri, anche se pugnalato alle spalle resisterà alla finisher per contrattaccare e iniziare un duello convenzionale. Lo abbiamo detto, è nel DNA di Team Ninja impedire di approfittarsi delle meccaniche stealth e bypassare del tutto le lotte. Inoltre, in un certo senso questo limite rende meno impattante anche una delle poche criticità di natura ludica che abbiamo riscontrato: l’IA degli avversari ignari della nostra presenza. E’ davvero poco “Intelligente” e con la memoria un po’ troppo corta. Quindi, se un tentativo di stealth va male, per dire, basta allontanarsi per un po’ e nella maggioranza dei casi non verremo nemmeno seguiti. O peggio, verremo seguiti solo entro un certo raggio dal punto di avvistamento, oltre il quale il nemico tenterà di tornare alla posizione iniziale.
Anche i comuni criminali di strada possono risultare degli avversari formidabili, se non riusciamo a entrare nei loro ritmi di combattimento e deflettere tutti i colpi. Perché sì, mettetevi l’anima in pace, giocatori che anche nei souls riuscite a cavarvela premendo i tasti “a caso”. Rise of the Ronin non consente praticamente mai un simile approccio e punisce con veemenza chi tenta di sfruttarlo. Proprio come in Sekiro: Shadows Die Twice (e forse anche di più) si vince in fretta se si deflette ogni attacco. Ma si muore altrettanto in fretta se si subiscono passivamente le sciabolate e gli affondi.
Imparare tutti i tempismi però è quasi impossibile. Ci sono troppe possibili combinazioni di armi e stili di lotta assegnati a disposizione sia nostra, che dei nemici. Eppure, giocando e giocando si acquisisce una sorta di sesto senso e, alla fine, in qualche modo ce la si fa. Sapendo quante ricerche sono state fatte dai developer per riprodurre i movimenti dei vari stili con precisione, riuscire a leggerli con l’intuito e contrastarli è tremendamente soddisfacente.
Engine vecchio e IA altalenante
Avremmo voluto non arrivare mai a scrivere questa parte della recensione. Due paragrafi brevi, brevissimi, che però hanno purtroppo un peso specifico importante nella valutazione in calce a questo testo. Perché anche se le location, le armi e le armature sono state dettagliate con cura e ricerca della verosimiglianza storica, il comparto tecnico che li anima lascia a desiderare. Colpa del motore grafico: lo stesso – e datato – delle precedenti produzioni Team Ninja. In più, sovraccaricato da una mole poligonale molto più vasta del solito che non deve cedere nemmeno durante le lunghe passeggiate senza caricamenti del mondo aperto.
In effetti, la stabilità è sempre garantita in ogni circostanza e non abbiamo notato mai tearing, pop in o out e altri artifici grafici classici per le produzioni con mappe così piene di NPC, nemici, oggetti da raccogliere ed elementi dinamici come alberi mossi dal vento, prati in fiore e pioggia/neve/vento. Anche in combattimento i feedback sono sempre responsivi e i comandi impartiti non rallentano mai, sia giocando a 60 fps con la modalità prestazioni, sia scendendo sui 30 con il settaggio più graficamente appagante.
Il prezzo da pagare è però per entrambi i setting l’invecchiamento del colpo d’occhio, che conferisce un’apparenza datata a ogni inquadratura e non rende sempre giustizia a ciò che stiamo guardando. Le animazioni di lotta dei nemici, per esempio, sono meravigliose e fluidissime. Però, lo stesso non si può dire per gli NPC in fuga, per il movimento dei cavalli o per le cariche di lupi e cinghiali. Sono tutte movenze decisamente meno naturali e più “scattose”. Bruttini anche il mare e gli specchi d’acqua in generale, mentre va meglio il sistema di illuminazione, abbastanza naturale.
La recensione in breve
Abbiamo camminato, corso e cavalcato, nuotato, volato e combattuto tantissimo prima di giungere a questa conclusione: Rise of the Ronin non è solo il più ambizioso progetto dei developer di Team Ninja, ma è anche il loro miglior lavoro. La casa di sviluppo ha raggiunto la maturazione ludica di tutti gli elementi tipici delle sue ultime opere, anche in un contesto open world (notoriamente difficile da gestire e bilanciare) e rinunciando all’impasto fantasy e folkloristico più marcato di Nioh e Wo Long. Forte di un sistema di lotte all’arma bianca tra i più soddisfacenti di sempre, di una trama storicamente accurata ricca di personaggi, situazioni e colpi di scena, avvalorato peraltro da una direzione artistica ispiratissima, a Ronin manca solo un “particolare” (non troppo piccolo a dire il vero) per essere perfetto: un motore grafico moderno, all’altezza del suo gameplay. Seppur comprendiamo come mai questo aspetto sia stato ridimensionato, cioè in favore di un gameplay eccellente, ormai non possiamo proprio più ignorarlo: caro Team Ninja, urge un upgrade tecnico.
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Voto Game-eXperience