Questa recensione di Death Stranding giunge tardiva non per negligenza, ma per forza maggiore (lo specifico per chi si chieda il motivo di una tempistica così distaccata). Tuttavia può servire un secondo parere per fare ulteriore chiarezza su di un prodotto che neppure dopo due settimane sembra sia stato ben inquadrato, al punto che molti ancora si pongono domande a riguardo. Specifico che questa non vuole essere una recensione che scomoda concetti come arte per descrivere il gioco, oppure basare il suo giudizio sulla componente emozionale che il titolo crea, quanto di analizzarlo in termini puramente ludici.
Innovare nel mondo dei Tripla A
Alcuni sostengono che Death Stranding consista solo nel portare pacchi, tuttavia una simile descrizione equivale a banalizzare il concetto del gioco, trascurando di menzionarne i pregi e assomiglia a quella di Randal in Clerks 2, che definiva la trilogia de Il Signore degli Anelli come “una palla di film dove tre nani fanno gli escursionisti verso un vulcano“. E questo ci porta ad un’amara constatazione: ormai il settore videoludico è saturo di opinioni e di voci al punto che i giochi diventano spesso marginali nel dibattito. C’è chi critica Hideo Kojima per bastian contrarismo, proprio perché ci si aspetta che tutti ne parlino bene e lo considerino un genio, oppure sentendosi offesi sul personale qualora il suo taglio autoriale non rientri nel proprio gusto perché la cosa fa sentire quasi degli esclusi (timore infondato, non preoccupatevi, in quanto anche nel cinema è impossibile proporre qualcosa di autoriale per un pubblico universale, figuriamoci nei videogiochi, dove l’espressione deve essere mediata ulteriormente non solo dalla ricezione del pubblico, ma anche dall’interattività). E quindi eccomi qui a scrivere questa recensione di Death Stranding (una delle più difficili e complesse da quando scrivo, lo ammetto), facendo tesoro di quel brusio che si è accumulato negli scorsi giorni che ha reso evidente come questo settore sia forse arrivato ad un punto di congestione. Perché tanta ostilità verso un autore che non ha mai provato a spacciare lootbox o microtransazioni invasive, ha veramente del paradossale. Quel genere di paradosso per cui ci si lamenta dell’ennesimo Battle Royale o della scarsa ricerca di innovazione nei Tripla-A commerciali, indicando come questa pulsione creativa trovi sfogo solo nelle produzioni indipendenti, ma quando avviene il contrario e si esce fuori dal recinto indie, si fa a gara a chi critica di più. Questo è lo scenario su cui si affaccia Death Stranding. Sicuramente uno scenario diverso da quello in cui Kojima pubblicava Metal Gear Solid 3. Ma “il mercato videoludico è sicuramente migliorato” direbbe qualche collega. E ora partiamo col gioco.
Una fantascienza degna di questo nome
Il primo merito del gioco è sicuramente sul piano narrativo, ma non per le ragioni più scontate. Il taglio cinematografico e l’inserimento di una regia di qualità nelle sequenze filmate dei titoli di Hideo Kojima è ormai un dato di fatto ed è ridondante ripeterlo. Ciò che invece sorprende è la capacità dell’autore di aver creato qualcosa di veramente nuovo nella fantascienza videoludica, la quale ormai da un buon decennio a questa parte stagna in una certa pigrizia creativa. Death Stranding propone uno scenario post-apocalittico dove l’omonimo evento ha creato una connessione tra il mondo dei vivi e dei morti, i quali giungono sulla Terra finendo per diventare quasi dei predatori degli esseri viventi da cui sono attratti meccanicamente. La collisione tra i vivi e i morti però non è normale e qualora avvenga finisce per causare un’esplosione di portata nucleare. In un simile scenario ogni forma di viaggio diventa un serio rischio, portando la popolazione a rinchiudersi in città bunker e ponendo fine alle comunicazioni e scambi commerciali alla base dello sviluppo di un paese. Solo pochi corrieri si arrischiano a trasportare i carichi tra un avamposto e l’altro, aiutati dalla tecnologia dei Bridge Baby, dei neonati capaci di rendere visibili le creature spettrali dopo previa connessione alla capsula che li ospita. Sam Porter è uno dei coraggiosi che svolge questo incarico, gravato dall’ulteriore responsabilità di connettere le città ad una nuova rete basata sull’avveniristica tecnologia chirale sviluppata partendo proprio dallo studio del mondo dei morti. Queste sono solo premesse narrative di una storia che si sviluppa senza lesinare spunti fantasiosi, i quali non soltanto arricchiscono l’ambientazione, ma diventano anche colonne portanti della giocabilità (come la cronopioggia).
Solo un simulatore di corriere espresso? No, questo non è Clerks 2
L’obiettivo di Death Stranding è si quello di far andare il giocatore dal punto A al punto B, ma inserendo nel mezzo di questa banale missione, tutta una serie di scogli da superare che richiedono azioni ben precise del giocatore, meccaniche particolari e una ricca e variegata serie di strumenti. E questo è il primo grosso merito in termini di giocabilità, in quanto stravolge il concetto di esplorazione, facendolo passare da azione meccanica e quasi automatizzata, ad una composta da molteplici fattori. Già questa è una rivoluzione di game design, in quanto in quasi tutti gli open world lo spostamento lungo la mappa è considerato spesso un momento in cui inclinare solo la levetta analogica, senza preoccuparsi troppo degli ostacoli e senza prestare attenzione al percorso. Qui invece la conformazione del territorio concorre alla sfida, ponendo degli ostacoli che possono essere superati grazie a attrezzi sempre più complessi e complicando il trasporto. Sam infatti deve tenere conto del peso e del bilanciamento dei carichi, pertanto un peso eccessivo o una disposizione scorretta possono fargli perdere l’equilibrio e cadere mentre sta scalando un pendio ripido o un’altura, finendo per danneggiare alcuni pacchi o addirittura perderli qualora dovessero sganciarsi per l’urto o rotolare in un fiume. Ciò obbliga il giocatore a non lanciarsi lungo una strada impervia dopo aver fatto il pieno di plichi sulla schiena per cercare di fare più missioni in contemporanea. L’inventario ha un limite preciso, di cui tenere conto e che condiziona in modo netto quella che è la capacità di muoversi e di sfuggire agli inseguitori ostili (spettrali e umani).
Per fare qualche esempio potrebbe essere indispensabile rinunciare alla consegna extra, in quanto quella prioritaria si trova in cima ad un altopiano da scalare, pertanto una ridotta mobilità diventerebbe punitiva, così come la scelta della strada più diretta qualora sia bazzicata da razziatori in cerca di carichi da rubare. Oppure un tragitto troppo lungo potrebbe aumentare il tempo trascorso sotto la cronopioggia, la quale deteriora qualsiasi cosa bagni e richiama gli spettri, aumentando il rischio di danneggiare la merce o di mettere in pericolo Sam.
Ci sono dunque tantissimi fattori e tante cose da considerare in quello che, banalmente, può essere riassunto come “andare da A a B”, finendo per creare una giocabilità tanto semplice a spiegarsi, quanto però ricca di cose da farsi. Raggiungere una meta non è quindi un’azione eseguibile meccanicamente, ma è fatta di piccoli momenti riempiti di cose che in altri giochi sono automatizzate, ma che qui sono parte integrante della giocabilità e della sfida. Ciascuno di questi elementi riempie in modo costante lo spostamento, integrandolo anche con aspetti rudimentali di stealth o sparatorie. Queste ultime meccaniche tuttavia sono abbastanza semplificate, al punto da essere presenti solo per diversificare l’insieme, ma senza raggiungere una profondità paragonabile a quella di Metal Gear Solid o titoli dedicati. Anche i combattimenti veri e propri e le fasi stealth diventano di conseguenza facili e non difficili “in sé”, quanto di ostacolo per salvare un carico se affrontate durante un trasporto difficile o in una situazione geografica scomoda. La costruzione del mondo di gioco di Death Stranding non è soltanto eccellente in termini estetici ma anche interlacciata in modo estremamente minuzioso e meticoloso con la progressione, lo sblocco di nuove meccaniche, arrivando a creare uno dei migliori impianti open world mai proposti.
Armi di costruzione di massa
Inizialmente gli strumenti sono piuttosto rudimentali e semplici, come delle scale pieghevoli o delle funi da arrampicata, tuttavia procedendo e migliorando le connessioni con città e avamposti si ottengono nuovi attrezzi, sempre più avanzati, come esoscheletri per migliorare le scalate, moto e camion, o kit per costruire in mezzo al nulla un ponte per superare un baratro o un pezzo di strada per facilitare la guida dei mezzi. In aggiunta a questi vengono inserite all’interno della mappa anche le costruzioni degli altri giocatori (che possono essere anche disattivate dalla propria partita), tuttavia ciascuna di queste cose è implementata in modo tale da mantenere la sfida costante, per cui gli accessori facilitano e velocizzano il backtracking, ma non rendono troppo facile l’avventura verso le zone nuove. La progressione infatti è scandita secondo un ritmo perfetto, distribuendo ad ogni passo avanti l’introduzione di nuove meccaniche, nuovi oggetti, tali per cui si arricchisce il ventaglio di possibilità premiando costantemente l’avanzamento. Tuttavia esistono delle condizioni che ne limitano l’efficacia mantenendo il tutto bilanciato. I mezzi per esempio non saranno sempre adatti ai terreni scoscesi o alle zone rocciose, evitando che lo spostamento a piedi diventi inutile, il trasporto veloce si sblocca, ma è limitato al solo Sam e non ai carichi, oppure le costruzioni degli altri giocatori compariranno, ma solo dopo aver collegato una zona inesplorata alla rete chirale avendone espugnato la prima volta le asprezze. Su circa 30 ore di gioco per completare la singola campagna, è molto facile aggiungerne almeno una ventina in missioni secondarie, che per quanto siano presentate in modo abbastanza pretestuoso e simile (bisogna sempre soddisfare un contratto di trasporto per qualcuno) risultano perfettamente integrate e alternabili a quelle principali.
Un multigiocatore single player è possibile?
Dedicarsi alle secondarie è utile per ottenere nuovi materiali e accessori e costruire una rete sempre più fitta di collegamenti, strade, e altre strutture per cui il dedicarsi a queste missioni collaterali diventa via via più scorrevole e fluido, contribuendo a creare quel senso di avanzamento e connessione a cui Hideo Kojima puntava. Il fatto di poter usare strumenti lasciati da altri, completare una consegna raccogliendo il carico di un giocatore sconosciuto che magari ha dovuto abbandonarlo di fretta, oppure trovare una teleferica che aiuta ripercorrere rapidamente una zona già visitata. Se magari io oggi verso parte dei miei materiali per aiutare a costruire un ponte rimasto in cantiere, magari dopo troverò un rifugio per riposarmi da un’altra parte oppure una moto donata nella mia rimessa, da parte di chi non la usa più. Sono tutte cose che mantengono vivo il mondo di gioco riescono ad interconnettere i giocatori in una esperienza multigiocatore asincrona molto permeante e che premia l’aiuto reciproco tra sconosciuti. Gli incarichi secondari inoltre rimediano in parte alla loro secchezza narrativa aggiungendo diari e rapporti testuali che svelano diversi dettagli sull’ambientazione, ma che non raggiungono chiaramente la vivacità dei filmati che portano avanti la trama principale. Pertanto il premio si esplica nella ricompensa materiale e nel contribuire a quella che poi diventa un’esplorazione quasi corale del mondo di gioco. Un lavoro di concerto anomalo, perché non vengono mai visualizzati attivamente gli altri giocatori in partita,eppure ne possiamo raccogliere i carichi, ne troviamo le strutture da usare a nostro piacere e ne tocchiamo con mano il lavoro.
Versione testata: Playstation 4
Disponibile per: PlayStation 4, PC (estate 2020)
Sulle pagine di Game-eXperience.it potete trovare il nostro speciale Game&Watch sul film The Postman per ritrovare anche su pellicola alcune delle atmosfere presenti in Death Stranding.
La recensione in breve
L'idea di Kojima di creare in Death Stranding una connessione pur senza mettere fisicamente vicini due avatar virtuali e senza far comunicare direttamente i giocatori, funziona. L'esperienza complessiva quindi è quella di un open world dove l'esplorazione è permeante e punto di innesto di mille meccaniche e idee di game design.
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Voto Game-Experience