Da ̶a̶s̶s̶u̶e̶f̶a̶t̶t̶a̶ ̶s̶e̶n̶z̶a̶ ̶s̶p̶e̶r̶a̶n̶z̶e̶ giocatrice appassionata di Sekiro: Shadows Die Twice, l’approccio con Elden Ring è stato… intenso. Per quanto creda nel nuovo progetto di FROMSOFTWARE, come scoprirete nel corso dell’articolo, credo che lo studio abbia compiuto il vero passo successivo con le avventure del Lupo e, a discapito della sua potenziale bellezza, Elden Ring non riuscirà a superarlo. Parliamo di due titoli differenti, ne sono ben consapevole, ma laddove il gioco in uscita può essere visto come la somma di questi tredici anni di esperienza da parte di FROMSOFTWARE nello sviluppo, e creazione, di un sottogenere, la finezza di Sekiro in termini di sistema di combattimento non l’ho vista in nessun gioco – loro o altrui.
Quello che ti insegna, che continua a fare persino alla settima partita, è qualcosa che va oltre tutte le esperienze offerte da FROMSOFTWARE e difficilmente sarà replicabile a stretto giro; ragion per cui ritengo Sekiro non debba mai avere un seguito. Per quanto la premessa, almeno nel mio caso, sia d’obbligo, non siamo qui per parlare del mio shinobi preferito. Il Lupo ha detto tutto ciò che poteva, adesso tocca al Senzaluce alzarsi, portare la torcia e arrivare alla fine.
Scrivo fine perché in Elden Ring vedo il punto di arrivo del lungo percorso intrapreso da FROMSOFTWARE, una strada che è strutturale, filosofica ma anche generazionale. Chiunque si sia aspettato da questo nuovo gioco una rivoluzione si è, probabilmente, fatto ingannare da aspettative premature: se mai Miyzazaki e il suo team vorranno evolversi, non sarà mai con Elden Ring – che dalle prime impressioni avute spolpando il network test mi ha dato l’idea di essere il banco di prova definitivo; il bacino all’interno del quale converge tutto il know–how di oltre un decennio cui, poi, si affiancano idee “nuove”, mai implementate prima da From. Mi aspetto, e sì in questo caso vorrei fosse davvero così, un salto con un gioco pensato solo per la next-gen (che poi sarebbe attuale ma data la mancanza di console è un periodo un po’ strano da definire). Il prossimo 25 febbraio andremo incontro sicuramente a un cosiddetto “giocone” ma, come ho già fatto intendere, occorre contenere le aspettative perché dubito ci sarà la tanto attesa rivoluzione. Si sperimenterà, si prenderanno le misure e dal risultato finale è probabile si otterranno le giuste impressioni per pensare a un futuro davvero nuovo.
Questo perché Elden Ring è tante cose e nessuna assieme. È Dark Souls, soprattutto nella sua struttura di base e nell’ambientazione fantasy medievale; è Bloodborne nella maggiore manovrabilità del personaggio, che si discosta dalla goffaggine tipica dei souls e divenuta un po’ pesante; è Sekiro per quelle piccole migliorie alla qualità della vita sparse qua e là, non ultimi lo stealth e l’assenza del danno da caduta. Ma è anche, be’, Elden Ring. Nell’inedito (e di nuovo, lo si intende in ottica FROMSOFTWARE) open world, nell’evocazione di spettri che si schierano al nostro fianco in battaglia senza chiamare per forza NPC o giocatori reali, nella presenza della fida cavalcatura Torrente, nello sconfinato senso di meraviglia e scoperta che si dimostra essere la naturale evoluzione del level design di Dark Souls. Potrei andare avanti righe su righe a elencare i singoli aspetti che rendono questo gioco tale ma l’importante, per me, è riuscire a farvi capire che l’unicità di Elden Ring sta proprio nella sua non unicità. Nella sua al momento azzeccata commistione di elementi che sanno di già visto eppure riescono a integrarsi in modo nuovo nel vasto Interregno che fa da sfondo alle nostre avventure.
Anche la narrazione, spogliata di tutti gli orpelli, ci riporta al non morto di Dark Souls e alla fiamma sopita: cambiano i nomi, i luoghi, un po’ i ruoli ma il senso di fondo è uguale. Eppure sembra di trovarsi davanti a qualcosa di nuovo e imprevedibile: è probabile che Elden Ring rimanga ancorato allo struttura narrativa che vede la lore e il world building prevalere su una storia vera e propria, in puro stile Dark Souls, laddove invece Sekiro ha preferito offrire una regia e un racconto più concreti, e considerato l’approccio open world è probabilmente la decisione migliore. A memoria, ma è chiaro che non abbia giocato qualunque titolo esistente, non ho ricordi di un gioco che sia stato capace di sposare narrazione e open world, senza incappare in qualche sbilanciamento da un alto o l’altro (poca libertà oppure troppo da fare a discapito della storia) – né chiaramente Elden Ring si offre volontario per trovare la giusta formula. Sì, le vicende raccontate potranno risultare familiari sotto molti aspetti ma sono anche la scelta più indicata per il tipo di approccio ludico che il gioco vuole offrire. È evidente che l’asticella di Elden Ring pende più verso Dark Soul e Bloodborne che non verso Sekiro, da cui prende il necessario per bilanciare il gameplay, rendendolo così avvicinabile anche di chi fino adesso è sempre stato restio ad avvicinarsi a una qualsiasi produzione From degli ultimi tredici anni.
Ecco, tra grazia, rune, combattimenti rivisitati ma ben noti, morti fin troppo premature e chi più ne ha ne metta, un dato importante è emerso già da questo network test. La volontà da parte di FROMSOFTWARE di non tradire se stessa e al tempo stesso aprirsi a quei giocatori che se ne sono sempre tenuti alla larga per questioni di difficoltà. Per come la vedo io, le piccole migliorie alla qualità della vita di cui ho già accennato servono, sostanzialmente, per rendere Elden Ring un gioco aperto a tutti, veterani e non, senza aggiungere il tanto, troppo, cercato selettore di difficoltà che ammazzerebbe completamente lo spirito del gioco. Si preferisce la strategia più sicura? Nessun problema, c’è lo stealth. Non piace combattere da soli ma non si vuole nemmeno fare affidamento su giocatori sconosciuti? Gli spettri sono proprio ciò che fa al caso nostro.
Si notano, senza nemmeno sforzarsi troppo, le intenzioni degli sviluppatori di rendere il gioco accessibile pur lasciando inalterata l’esperienza di fondo – e da persona che ha fatto alla querelle “difficoltà nei giochi” una guerra feroce, mi ritengo soddisfatta dei risultati per ora raggiunti. Certo, ci sono comunque i boss che tornano a incarnare l’anima più “pura” dei Dark Souls e ti dividono in due come un coltello nel burro, tuttavia anche loro riescono a essere più leggibili e di conseguenza gestibili rispetto ai boss passati. O forse è un discorso di esperienza, non sono ancora in grado di dirlo con certezza; forse anni trascorsi a prendere le peggio botte mi hanno insegnato qualcosa sulla coordinazione occhio-mano. In ogni caso sono piuttosto convinta che dei piccoli passi avanti siano stati mossi anche qui. Se solo non fosse per il vero, assoluto e peggiore nemico dei videogiochi From: la telecamera.
Questo sposalizio tra boss gargantueschi (non vedevo l’ora di usare questa parola) e una telecamera che definire discutibile è farle un favore speravo avesse fine. Che una delle due parti fosse resa adeguata, possibilmente eliminando i nemici – non più soltanto i boss – di dimensioni eccessive il cui lock on al centro del petto quando noi al massimo arriviamo forse all’unghia del piede e non abbiamo nemmeno la possibilità di mirare selettivamente un arto. O meglio, possiamo, il drago che allegramente fa un barbecue con un gruppo di inetti nemici prima di lanciarsi addosso a noi ne è la prova, ma a quanto pare vale solo con i boss e non con le minacce più comuni. Insomma, sotto questo fronte ho notato più passi indietro che in avanti ma fin quando non si avrà sottomano il gioco completo mi riservo dal dare pareri fin troppo netti. Diciamo che le premesse non sono tra le migliori e tutti sappiamo il rapporto a singhiozzo tra FROMSOFTWARE e la telecamera (con Sekiro le cose erano giusto poco migliori).
Tirando le somme, dieci ore nell’Interregno mi hanno divertito, fatto imprecare e incuriosito nei confronti del prossimo gioco made in From. Rimango per adesso convinta che sia Sekiro ad aver segnato il punto di demarcazione vero e proprio, staremo a vedere cosa mi riserverà il gioco completo. Elden Ring è un gioco che corre un po’ sul filo del rasoio, proprio in virtù delle migliorie che io personalmente apprezzo, e non sarà un’esperienza del tutto rifinita, ma ci sono le premesse perché si renda ancora una volta un ottimo cavallo nella scuderia di Hidetaka Miyazaki.