SWERY, all’anagrafe Hidetaka Suehiro, è uno dei personaggi più atipici dell’industria. Uno di quelli che il pubblico lo polarizza senza manco accorgersene, che a distanza di anni segnati da (s)fortune alterne non manca mai di farsi fotografare nell’immancabile posa alla Francis York Morgan manco fosse un giovane cosplayer. Ma cosa più importante, è uno di quelli che, per classe o per fortuna (a seconda del vostro grado di simpatia nei suoi confronti) nell’Olimpo dei videogiochi ci è entrato per davvero, una decina di anni fa, con Deadly Premonition. Un titolo che, a primo acchito, poteva sembrare la produzione più disastrosa e disastrata mai apparsa su console: frame rate imbarazzante, grafica indefinibile, meccaniche di gameplay così arrancanti da sembrare assurde. Una creatura che tecnicamente faceva acqua da tutte le parti, non fosse per l’intuizione, geniale a dir poco, di ricreare una Twin Peaks digitale con personaggi sopra le righe e una trama di fondo che, a un decennio e passa di distanza, fa ancora la sua porca figura. Il resto è storia, e la riedizione HD del primo Deadly Premonition, per quanto ancora ragionevolmente aberrante dal punto di vista tecnico, estese a dismisura il bacino di affezionati visitatori di Greenvale, ben felici di condividere un caffè (con un goccio di latte, ma senza zucchero), in compagnia di York. E, ovviamente, di Zach.
NON (QUASI) TUTTO IL MALE…
Tutto questo per dire che, chi vi scrive, stava aspettando Deadly Premonition 2: A Blessing in Disguise quasi, se non forse più, di The Last of Us 2. E il motivo è semplice: se da Naughty Dog era lecito attendersi un capolavoro, da SWERY nessuno potrebbe anche solo lontanamente intuire cosa aspettarsi, dopo un titolo così controverso come quello originale. E indovinate un po’: forse era meglio non saperlo…
Facciamola semplice: prendete il primo Deadly Premonition, accartocciatelo un po’ per farlo entrare su Switch e spostatevi da Greenvale a New Orleans: ecco, grossomodo avete appena appreso quanto necessario per approcciarvi tecnologicamente a questo secondo episodio di DP – che sembra essere rimasto indietro di una decina d’anni gagliarda sotto ogni punto di vista, come se il tempo non fosse mai passato. I primi minuti di Deadly Premonition 2: A Blessing in Disguise su Switch, sia in handheld che in dock, non sono tra i migliori: caricamenti eterni, un cell shading carino nei video ma che precipita quando si muovono personaggio e telecamera, un trascinarsi generalizzato che salta prepotentemente anche alle pupille di un fanboy come chi vi scrive. E non vi abbiamo nemmeno citato (volutamente) il terribile comparto animazioni o l’impossibilità di scorgere mezza emozione nei volti dei personaggi, ci pensate? Ma anche il primo, dopotutto, era iniziato maluccio per finire col botto, non è vero Zach?
CERTO ZACH, MA LA FORTUNA NON TI BACIA IN BOCCA DUE VOLTE
Ecco, ora ci arriviamo. Che SWERY punti tutto sulla componente emozionale, sacrificando di buon grado ogni velleità tecnologica, è un dato di fatto a cui gran parte delle sue produzioni ci ha abituato. Deadly Premonition ne è l’esempio più eclatante, ma anche il successivo D4 (Dark Dreams Don’t Die) ripropone quest’antifona in modo quasi pedissequo – non fosse che, a quel giro, la storia era decisamente più debolina. Lungi da noi spiegarvi oggi se “quei due frame in più siano meglio di un personaggio ganzo nella main story”: diciamo solo che nell’anno del Signore 2020, con PS5 e Xbox Series X che fanno cucù da dietro l’angolo e delle conversioni su Switch capaci di farci cadere festosamente la mandibola (Alien Isolation? The Witcher 3? Wolfenstein?), da un’esclusiva First Party Nintendo un certo livello di qualità te lo aspetti. Un livello che, l’avrete capito, Deadly Premonition 2 non lo vede per sbaglio manco col cannocchiale. L’arrivo di una patch correttiva, testata dalle battute iniziali dell’ultimo atto, sanifica in un modo ai limiti del percettibile un frame rate più angosciante della Dea della Fertilità contro cui combatteremo. Ma di strada da fare per scappare da New Orleans, l’avete capito, ne rimane ancora parecchia.
Che poi, a dirsela tutta, non sarebbe nemmeno malaccio come viaggio. Narrativamente parlando, il binomio passato/presente di Deadly Premonition 2: A Blessing in Disguise non è da buttare. L’ingentilimento del PEGi da 18 a 16 non è propriamente il massimo, per un fan sfegatato di Zach, ma chiudendo un occhio per l’assenza sbudellamenti e tematiche “troppo” adulte (almeno per Nintendo), la sceneggiatura imbastita da SWERY scivola liscia, con il giusto grado di leziosità e malizia. I fasti thriller del primo episodio sono ancora molto lontani, ma al netto un grosso falso nella caratterizzazione dei comprimari e di alcuni passaggi narrativi che “succede questo perché deve succedere ma ci mettiamo la magia e allora va bene”, la pretenziosa cornice narrativa entro cui si muovono York e abitanti di New Orleans porta a casa una promozione tirata – certo, trovarsi a New Orleans e sfruttare il voodoo in modo così marginale è un rimpianto enorme, più che un difetto, ma questo passa il convento.
MI MANCHI, SIGNORA CEPPO
Opposto, invece, il giudizio sulla caratterizzazione dei personaggi – probabilmente l’aspetto migliore della produzione originale di SWERY. Tolto York, che brilla ancora nella massa pur mostrando evidenti segni di ripetitività, il livello medio dei residenti di Le Carré vira in modo impressionante dall’imbarazzante al ridicolo. Se la cava David, usciere/cuoco/concierge dell’hotel che funge da “hub centralizzato” per l’attività di York, ma il restante parterre di comparse più o meno coinvolte nella faccenda della Saint Rouge non riesce a convincere un solo momento, trasformando rapidamente il tutto in una grottesco teatrino delle peggiori caricature mai pensati. C’è il poliziotto di colore che rappa, parla in codice e gioca a fare lo sbirro gangsta; il crudele e spietato capo famiglia con una benda sull’occhio – oltre ad essere grosso come Raoul di Kenshiro; c’è il di lui genero, un beota senza spina dorsale che vomita minacce sconclusionate e cerca di fare il duro, risultando patetico ancor prima che antipatico.
Potremmo andare avanti per ore su questa linea, per salvare dalla condanna forse un altro paio di personaggi: l’inutile esasperazione dei loro tratti caratteriali distintivi e la loro “mono-dimensionalità” li rende prevedibili e troppo facili da leggere. Si sente la mancanza di quel weird, quel fascino misterioso del personaggio indecifrabile, apparentemente prevedibile ma molto più profondo di quanto il primo sguardo affermi. C’avete presente la signora Ceppo di Twin Peaks? Ecco, per Le Carré lei non c’è mai passata manco per sbaglio.
UN’INDAGINE CHE NON INGRANA
La situazione non migliora, per non dire “peggiora in modo drammatico”, analizzando il gameplay di questo sequel. Che sulla carta potrebbe essere tranquillamente bollato come la fotocopia di quello del capitolo originale, con l’aggiunta dello skateboard (terribile) e della “tizia di Uber” in sostituzione alle famigerate sezioni di guida. Lo schema ludico di Deadly Premonition 2: A Blessing in Disguise ripropone quel set di meccaniche che, in parte, hanno dato lustro al titolo d’esordio di SWERY – come, prima su tutte, la necessità di imparare a conoscere le routine, gli orari e le abitudini degli NPC per rintracciarli quando necessario. Alla main story, organizzata in missioni sequenziali il cui ordine d’esecuzione è parzialmente lasciato alla scelta del giocatore, si affianca una pletora di side quest più o meno banali, in alcuni incomprensibilmente arzigogolate che richiedono, per essere risolte, di imbarcarsi e terminarne una fila di altre – uno schema interessante ma destinato a cadere rapidamente a frustrazione, quanto ulteriormente reiterato. Specie se si considera che tra bug pazzeschi, quest design incomprensibili ed errori di progettazione (che riducono il tutto alla proverbiale botta di fortuna), finiranno per essere abbandonate molto prematuramente.
Non che per la main quest la situazione sia diversa, dopotutto: le missioni “tappa buco”, messe lì soltanto per far numero e che si incastrano in modo pretestuoso/farsesco alla narrazione principale, divergono rapidamente più ci si addentra nella storia. A errori di progettazione “simpatici”, come personaggi incastrati dietro a una porta o altri che entrano nei locali quando questi sono ancora chiusi al pubblico (e provate voi a parlare col tizio, se per otto ore è rinchiuso in un area non raggiungibile), si affiancano richieste noiose e frustranti – come andare alla ricerca di una scatola di spinaci per l’intera area di gioco, senza la minima indicazione. Chiudendo ambo gli occhi su freeze tutto tranne che occasionali o caricamenti interminabili (solo per uscire da un qualsiasi locale si parla di almeno trenta secondi), l’impressione di missioni copia e incolla, volutamente messe per allungare un brodo che altrimenti si sarebbe concluso con troppo anticipo, diviene in fretta un’amara realtà. Persino le poche novità aggiunte alla formula, come le decrittazioni dell’oracolo o le investigazioni nel luogo del delitto, godono di una superficialità mai vista: non c’è difficoltà, scelta, rischio. Persino le sequenze di interrogatorio (che, stupitevi, non condurrà York) sono così per nulla interattive e guidate al 100% che, forse, era meglio trasformare il tutto in un filmato.
SPARA CHE (NON) TI PASSA
Discorso ancora peggiore per le fasi combat, relegate alle orare notturne di Le Carré con le strade invase da creature (bruttissime) visibili solo agli occhi di York, in una sorta di dimensione parallela (che, manco a farlo apposta, visiterete tre o quattro volte ed è sempre la stessa maledettissima sequenza) e, durante le giornate, alla caccia di alligatori, cani e scoiattoli. Sì, scoiattoli… Anche qui apriremmo un vaso di Pandora del ridicolo/amaro (tipo la possibilità di effettuare missioni notturne con Patty, la nostra piccola assistente, che in linea teorica ci dovrebbe salutare al calare del sole per raggiungerci il giorno successivo), ma preferiamo concentrarci su un paio di aspetti – lasciando a voi la gioia nello scoprire gli altri. Usare la nostra fedele Alligator, una pistola a proiettili di gomma ideale per ammazzare i simpatici rettiloni (sì, davvero, non l’abbiamo capita manco noi) è una pratica fastidiosa e tediosa, complice un sistema di mira che va a farsi benedire, manco ci fosse un’epidemia di Joycon Drifting, e un set di nemici ripetitivi, stupidi, orribili (in senso negativo), privi di mezza AI e con un set di animazioni da far accapponare la pelle. Certo, sarà addirittura possibile “expare” York e potenziarne alcune skill, tra cui la fiacchissima resistenza o l’abilità nell’uso delle armi. Ma vista l’elevata facilità degli scontri (pessime boss fight incluse) al limite dello “spara al bersaglio” e l’esagerato effetto che anche solo l’increase di un livello garantisce a York, dopo un paio di “level up” potrete comodamente dimenticarvene e vivere di rendita.
Su questo, siamo ancora una volta in linea con il primo episodio: ma se a suo tempo c’erano abbastanza elementi per mettersi l’anima in pace, oggi SWERY è davvero fuori tempo massimo – e un prodotto del genere non è minimamente accettabile, manco se la storia l’avesse scritta Kubrik. Davvero, in Deadly Premonition 2: A Blessing in Disguise non c’è un elemento che funzioni per più di cinque minuti, per poi lasciarsi andare in errori grossolani, progettazioni illogiche e scelte del tutto assurde, che si incastrano a martellate nella storia principale lasciando solo enormi perplessità. Peccato che in questa ricetta del disastro, la stessa del titolo d’esordio del designer nipponico, manchi l’ingrediente più importante: il carattere, la personalità, l’appeal thriller che hanno reso Greenvale un luogo di culto. Lo stesso che, inesorabilmente, renderà Le Carré uno dei luoghi peggiori che un utente Switch possa mai visitare.
La recensione in breve
Deadly Premonition 2: A blessing in Disguise del discusso capolavoro del buon SWERY porta soltanto il nome e l’ombra pallida di una vaga intuizione. Un titolo che non riesce a salvarsi da sé stesso e dal nome che porta, da condannare per eccesso di presunzione da un lato e di pigrizia dall’altro, laddove l’assenza di novità, un comparto tecnologico indegno e la riproposizione di uno schema ludico “interessante con riserva” già un decennio fa, ma ora decisamente fuori tempo massimo, pesano come un macigno. Un paio di personaggi sufficienti e una storia a due binari temporali gradevole seppur forzatissima, condita con cadute di stile inutili, troppi tappabuchi fastidiosi e pochi colpi di scena, non salvano questo attesissimo sequel (che di thriller ha davvero poco) dal baratro in cui SWERY si è infilato. Un baratro nero come il caffè di York, stavolta senza l’aggiunta di un po’ di latte. Con buona pace di Zach.
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Voto Game-Experience