Il viaggio di Joel, Ellie e Tess prosegue nel secondo episodio della serie di The Last of Us, con la nostra recensione che punterà, per motivi di interesse, ad evidenziare i punti in comune e di differenza con il videogioco. Vi confesso che dopo l’esperienza del primo episodio la paura “da altezza” ha iniziato a farsi sentire. Il livello di soddisfazione era andato ben oltre le mie aspettative, e questa presa di coscienza ha instillato in me un forte timore sul proseguo della serie. Quante volte siamo stati catturati dall’intensità emotiva del classico pilot, per poi restare con un pugno di mosche per la restante parte della serie?
Ed invece il secondo episodio della serie di The Last of Us mi ha proprio dato un bello schiaffo emotivo, dimostrando che c’è un disegno concordato a tavolino direttamente con i creatori della serie. Ogni modifica fatta alla storia e al continuum narrativo del primo capitolo del gioco è dannatamente contestualizzata rispetto alla lore creata da quelli di Naughty Dog. Questa distonia va a compensare, in maniera del tutto organica, alcuni “vuoti” evidenziati quando si era pad alla mano.
Azzeccatissimo, anche in questa puntata, l’inserimento del prologo che spiega altre cose rispetto al D1 del cordyceps, inserendo un nuovo tassello sulle modalità della sua diffusione e quello che assomiglia all’epicentro del focolaio. Di fatto, se ci pensate un attimo, nessuno di noi conosce come tutto è partito, ma solo il quando. E fate molta attenzione a questo dettaglio, perché è probabilmente questa la chiave di volta per consacrare il successo di questa serie. Io non andrei oltre, per quanto le premesse siano la mia eterna dannazione. Vi lascio, quindi, alla recensione del secondo episodio della serie di The Last of Us.
Paura e ansia da survival
L’arco narrativo di questo secondo episodio della serie di The Last of Us intercorre tra la fuga dalla QZ sino all’arrivo al palazzo del governo. Chi si ricorda un po’ il gioco, o se avete giocato al recentissimo The Last of Us Part I, sapete benissimo cosa succede dentro quest’ultimo, con il primo shock emotivo ad attenderci al varco. Come la scorsa volta, eviterò volutamente di spoilerare “cose”, lanciando solo dei timidi input per accendere la vostra curiosità su alcuni elementi degni di attenzione.
Il primo è sicuramente la presentazione del bestiario della serie, che vede scendere in campo sia i runner che gli odiosi clicker. Di questi ultimi, vi dirò la sincera verità, sono contento a metà. La caratterizzazione visiva ed uditiva ricalca fedelmente quella del gioco, quella dei movimenti ha lasciato intravedere ancora troppa “umanità”. La scena madre del museo è la fotocopia esatta del videogioco, con un intermezzo dove ho rivisto, in Joel, Sigourney Weaver in una scena madre di Alien. Apprezzatissimo l’accostamento.
Il senso di paura e ansia sono il volano di questa seconda uscita sul campo della serie, che azzera ogni forma di interazione sociale con componenti esterni al trio. Soli, abbandonati a se stessi, con una missione che nemmeno loro conoscono nei dettagli, con Ellie (Bella Ramsey) che è risultata positiva al test del cordyceps, con Joel (Pedro Pascal) che ha appena rievocato una parte terribile del suo passato e Tess (Anna Torv) che fa finta di non essere terrorizzata. L’interpretazione migliore è senz’altro quella dell’attrice australiana che lascia il segno con alcune battute che pesano come un macigno.
Si lancia un focus sul metodo di comunicazione e connessione degli infetti, con un interpretazione che appassiona ma spaventa per coerenza rispetto alla serie. L’istinto di uccidere non è solo mosso dalla “fame”, con il cordyceps che sembra avere occhi e orecchie dappertutto. E questa costante sensazione di essere osservati e controllati alimenta qualche perplessità circa un possibile binario parallelo rispetto al gioco. Speriamo solo che non si allontani troppo.
L’altalena tra “open e close” world
The Last of Us è quello che possiamo concepire come un “false friend” tra i generi. Ricordo ancora quando nel 2013, appena 27enne in erba, feci uno strano accostamento del gioco con il genere open world. Eppure, avevo letto vita-morte-miracoli sull’IP di Naughty Dog e nonostante questo il gameplay lasciava intendere che ci fosse un alone di “libertà” dietro quello che palesemente era un survival. Aspetto che poi è stato celebrato in Days Gone, nonostante, l’accoglienza che poi abbiamo avuto modo di constatare.
Tornando alla serie di The Last of Us, questo secondo episodio ci proietta “a bomba” in questa dimensione, presentando degli scenari apocalittici che sembrano un meraviglioso copia-incolla del videogioco. Quelle strade deserte, con le radici del cordyceps che hanno letteralmente divorato e consumato ogni forma di civiltà. Una sorta di macchina del tempo che ha riportato tutti in una dimensione dove l’unica cosa che conta è sopravvivere.
La narrazione degli eventi insegue un andamento che coinvolge lo spettatore a vivere la bellezza della devastazione degli spazi esterni e l’ansia e la paura di quelli interni. Il ritmo è pari a quello del gioco, con momenti di stasi apparente che vengono improvvisamente interrotti da eventi inaspettati. L’obbiettivo immersione viene – in parte – raggiunto, aiutato dalla fedeltà delle sequenze di ingaggio con i clicker di turno.
La menzione d’onore la merita la scena all’interno del piano superiore del museo. Quello che sto per dirvi è al netto della mia esperienza con un impianto auricolare che assicura un grado di isolamento acustico quasi perfetto. Il silenzio è assordante, interrotto dal gracidio fastidioso dei clicker che trasuda di fame e morte. Non voglio rovinarvi il momento, ma evitate di guardare il secondo episodio in orari notturni. Qualche problemino di sonno, al termine dell’episodio, potrebbe insorgere.
La recensione del secondo episodio
Se il primo episodio ci aveva già convinti, questo lascia ancora di più il segno rispetto a quanto sinora visto. Il livello di fedeltà raggiunto con il gioco è disarmante, al punto da raggiungere un livello di immersione più unico che raro.
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La recensione in breve