L’horror psicologico è uno di quei generi che difficilmente va fuori moda. Ce ne siamo accorti poco meno di 2 mesi fa con il ritorno di Silent Hill 2 Remake, indiscusso mostro sacro del settore capace, a 23 anni di distanza, di mettere universalmente d’accordo masse enormi di giocatori. E, seppur con un economia di scala leggermente inferiore, l’abbiamo notato in queste ultime settimane con The Thing Remastered, riedizione in alta definizione di un grandissimo classico dell’horror, l’opprimente The Thing.
Apparso anch’esso nel lontano 2002, il titolo riprende e rielabora l’immaginario collettivo legato all’omonima nonché seminale pellicola di John Carpenter, guadagnando – al tempo – più di qualche plauso per la sua capacità di interpretare un concetto molto complicato di terrore, non unicamente legato al topos del “mostro”, che mantenesse quanta più fedeltà possibile al materiale originale. A distanza di oltre due decenni, tocca a Night Dive Studios (già autori dell’ottimo System Shock) accendere i riflettori su un titolo che brillò per innovazione e, soprattutto, per una gestione inedita della paura: ma basterà un lifting grafico indubbiamente riuscito a scongelare un titolo che, per così tanto tempo, è rimasto sepolto sotto i ghiacci antartici?
Un’ambientazione che gela l’anima
In termini narrativi The Thing (e ovviamente anche questa remastered) si collocano poche ore dopo i titoli di coda del capolavoro di Carpenter, andando a riprendere direttamente gli scampoli degli eventi lì narrati quasi a voler fungere sia da sequel ideale, sia da espansione di quello che avrebbe potuto essere un potenziale universo narrativo. Ci si muove ancora una volta nella celeberrima stazione antartica, questa volta però quasi completamente priva di esseri umani vivi e, per ovvi motivi, in condizioni non certo accoglienti vista l’utilizzo esagerato di esplosioni, proiettili e lanciafiamme che hanno preceduto l’arrivo del nostro alter ego.
Tutto ruota ancora una volta attorno alle famigerate Cose, creature parassite aliene la cui capacità principale è quella di assumere le sembianze degli organismi che le ospitano, inclusa la possibilità di ricrearne persino gli abiti o altri oggetti. E, inutile dirlo, ora più che mai tutto ruota attorno alla fiducia: perché è chiaro, di fronte ad un mostro alieno in grado di replicare persino il più inutile dei dettagli, capire se la persona che cammina al nostro fianco sia davvero un essere umano o un corpo “svuotato” della propria umanità beh, non è così scontato. E la lunga notte che ci attende a 40 gradi sottozero rende il tutto ancora più complicato.
Fatta questa premessa (che approfondiremo a breve), la narrativa di The Thing è complessivamente godibile. La stazione ha ancora parecchi misteri da raccontare, visto e considerato che gli unici testimoni degli accadimenti “cinematografici” sono in volo verso la salvezza e non esiste ancora alcun rapporto sulla situazione della struttura di ricerca. Non mancano colpi di scena la cui ispirazione profuma di celluloide da un miglio, così come non manca la volontà dello sviluppatore di creare una rete di legami tra i (pochi) personaggi di punta del titolo, per poi appunto fare leva sulle relazioni quando la situazione inizia a farsi scottante. Non aspettatevi la stessa cifra stilistica di Carpenter, questo è quasi inutile dirlo, ma la storia di questo The Thing sta in piedi e va con le proprie gambe in modo ottimale per la prima metà del gioco, per poi rallentare in modo più vistoso dopo il giro di boa.
Un gameplay tra classico e moderno
The Thing Remastered mantiene pressoché inalterata la formula originale del proprio gameplay, andando a limare gli aspetti resi eccessivamente ruvidi dal passare del tempo e, più in generale, andando incontro al giocatore in un modo molto più concessivo (mira semi automatica, munizioni pressoché illimitate, armi a volontà) di quanto visto nel capitolo originale. Si nota quindi da subito un ammorbidimento delle condizioni al contorno, laddove le meccaniche base di gioco rimangono comunque al proprio posto: una buona componente esplorativa nella terra dei ghiacci perenni, controbilanciata da una fase shooting in terza persona molto spiccata nella prima metà di gioco, praticamente dominante nella seconda.
In The Thing, è bene chiarirlo, si passerà la maggior parte del tempo a sparare: e anche quando si farà fatica a capire il percorso da seguire (a noi è successo un paio di volte, nella prima metà del gioco, a fronte di un playthrough complessivo di sette ore circa), raramente si staccherà la mano dal grilletto. Ottimo in questo frangente il supporto di DualSense, che pur non regalando i miracolosi feedback che tutti noi ormai conosciamo grazie ad Astro Bot, rende il tutto un pizzico più immersivo e convincente.
Restano al proprio posto le due meccaniche portanti del gioco. La prima è ovviamente la resistenza al freddo: ogniqualvolta saremo fuori da una qualsiasi struttura, una barra azzurra inizierà a calare progressivamente, sino ad esaurirsi del tutto. A quel punto, o saremo abbastanza veloci nel trovare riparo, oppure a consumarsi molto più rapidamente (stiamo parlando di una manciata di secondi) sarà la barra della salute, con annesso game over. Questo riguarda il nostro alter ego: ricordate però che non gireremo mai soli, in The Thing, in quanto saremo sempre al comando di un team di soldati esperti che, comprensibilmente, congelano tanto quanto noi. Ma parlando di questi ultimi, non è tanto la temperatura esterna a doverci preoccupare, quanto la loro fiducia.
Facciamo un piccolo passo indietro, al fine di chiarire l’utilità dei membri della nostra unità. Livello dopo livello, approcceremo determinate strutture della base (o, parimenti, incontreremo persone al loro interno) appartenenti a tre differenti classi. C’è l’ingegnere, figura fondamentale per riparare fusibili, scatole elettriche o circuiti complessi che garantiscono accesso a porte, illuminazione di varie zone o qualsiasi cosa di elettromeccanico vi venga in mente. C’è il medico, il meno indicato a far fuori razze aliene ostili ma, quantomeno, veloce a curare i restanti membri del team nel caso di attacchi improvvisi. Ultimo, ma non meno importante, l’immancabile Soldato Speciale, che non sa curare le persone, non sa usare un cacciavite, ma con un mitragliatore in mano fa letteralmente faville.
Ora, al netto del fatto che l’unione fa sempre la forza, cercare di arrivare a fine livello con la propria squadra viva non è una pessima idea. Un motivo su tutti, per esempio, lo giochiamo con l’ingegnere: pensate di trovarvelo cadavere dopo un attacco alieno e, visto che nessuno potrà riparare un maledetto circuito, non potrete procedere alla zona successiva – e no, il gioco non ve lo dirà, starà a voi ricaricare la partita. Meglio dunque investire sulla propria squadra nel migliore dei modi, visto che sarà possibile impartire a ciascun membro ordini specifici, anche a seconda della propria classe, oltre che riempirlo di armi e munizioni per metterlo tranquillo. Per quale motivo, vi chiederete, ma ora ci arriviamo.
The Thing e l’Arte della Paranoia
Uno degli aspetti migliori del The Thing originale è il suo legame a doppia mandata con il senso di paranoia. Apparirà evidente sin dalle prime battute di gioco che qualsiasi essere umano cammini in quella base possa essere un Cosa “sotto false spoglie”: vale per noi, che ben presto finiremo per non fidarci praticamente di nessuno, ma vale anche contro di noi. Quindi sì, i nostri compagni di squadra potrebbero decidere di ritenerci una Cosa, e a quel punto il trattamento non sarebbe dei più gentili.
L’unica maniera per scongiurare questo accadimento è mantenere alta la fiducia delle nostre persone nei nostri confronti, gestendo al meglio le situazioni che possono palesarsi: se un soldato va in panico alla vista di un cadavere mutilato, ad esempio, meglio ordinargli di spostarsi in una posizione più lontana, permettendogli in questo modo di respirare senza troppo sangue davanti agli occhi. Nel corso di una battaglia a fuoco, scappare e lasciare il lavoro agli altri potrebbe essere malvisto, mentre salvare la vita ad un compagno in un momento difficile regala un boost di fiducia non indifferente: attenzione però al fuoco amico, quest’evenienza potrebbe costare molto cara.
Le situazioni descritte, che non rappresentano il set completo di evenienze ma danno quantomeno un’idea su cosa si intende con gestione del team, fanno capire uno degli aspetti cruciali del titolo: ogni membro ha bisogni e stati emotivi che richiedono attenzioni specifiche, che se ignorate possono portare a sospetti, momenti di panico e annesso crollo della fiducia. A quel punto, nessun ordine verrà più eseguito, se non recuperando prima un minimo di fiducia (offrendo armi, torce, punture di adrenalina, munizioni e via dicendo): ricordiamo che, allo stesso modo, potremo sottrarre armi e munizioni da uno o più membri del team, magari in una rara occasione in cui saremo corti di fuoco. Attenti alle conseguenze, i corpi speciali tendono ad essere permalosi.
Quindi sì, un soldato in preda al panico può fare cose folli, come iniziare a sparare senza motivo verso i propri compagni o rimanere immobile alla mercé del nemico. Un soldato che ha perso la fiducia nel proprio leader non esisterà invece a freddarlo, a meno di non fare un esame del sangue di fronte ai suoi occhi (sempre se avremo un kit disponibile in inventario). Ma un soldato “contagiato”? Di base, nell’intero playthrough abbiamo assistito a due scenari di trasformazione dei nostri membri in mostri: quelle scriptate, legate quindi a esigenze narrative, e quelle in cui il nostro amico passava all’altra compagine dopo essere stato sottoposto ad attacchi prolungati nemici. Tuttavia, nella nostra run non abbiamo mai forzato un NPC ad un esame del sangue: non ci immaginiamo stravolgimenti sotto questa lente, anche se qualche colpo di scena potrebbe saltar fuori.
Ovviamente, se quanto descritto finora rappresenta un valore aggiunto non da poco, specie nell’economia di un horror TPS in terza persona, è innegabile che il titolo non sia esente da difetti. La ripetitività degli ambienti e delle missioni è uno scoglio che può scoraggiare i giocatori meno pazienti, mentre le dinamiche di gioco, seppur aggiornate, rimangono ancorate a schemi del passato che a tratti si faticano a digerire (una su tutte l’inventario, decisamente rudimentale se paragonato agli standard odierni). L’intelligenza artificiale incoerente e alcuni problemi tecnici minano ulteriormente l’esperienza complessiva: la prima, in particolar modo, si nota sulla media distanza, quando le reazioni dei compagni cedono spazio alla ripetitività e alla prevedibilità, andando così a minare l’impatto emotivo, e forse ancor più quello strategico, delle interazioni sociali. Sotto questo punto di vista sì, una maggior varietà di comportamenti e una profondità maggiore avrebbero giovato alla salute di questa remastered, contribuendo in modo più evidente a svecchiarne il peso degli anni.
Un comparto tecnico di luci e ombre
Sul versante tecnologico, The Thing Remastered non implementa modelli, scenari o situazioni nuove rispetto a quelle presenti nel materiale originale, limitandosi ad aggiornarle a standard più recenti e a levare una patina di vecchio che, in un’operazione come questa, sarebbe risultata anacronistica. Il titolo sfreccia a 4K e a 60 FPS, con nuove texture, un sistema di illuminazione ammodernato, un uso sapiente dell’occlusione ambientale e una cura più attenta dei dettagli. Il gioco appare da subito datato (del resto, non stiamo parlando di un remake), ma nel suo essere quasi retro la nuova patina data dal team di sviluppo riesce comunque a rendere giustizia e a fornire un risultato complessivo godibile.
Anche qui, però, i difetti ci sono: l’ottimizzazione è parziale, e i più banali glitch (compenetrazioni, modelli non caricati correttamente o personaggi che si bloccano senza alcun motivo, lasciando il ricaricamento dell’ultimo salvataggio come unica soluzione) non mancano affatto. Se da un lato l’ambientazione è evocativa e in linea con lo spirito di Carpenter, dall’altro è impossibile non notare una certa monotonia visiva e una fortissima ripetizione asset, un fattore che sul lungo periodo rischia di minare l’atmosfera opprimente su cui, a dirsela tutta, si basa l’intera esperienza. Anche la modellazione dei nemici avrebbe meritato un piccolo extra lavoro, dal momento che la diversificazione delle creature si conta sulla dita di una mano.
Positivo invece il comparto sonoro: le musiche riprendono i temi originali della pellicola, così come gli effetti sonori in generali appaiono precisi e funzionali. Il supporto alla spazializzazione (abbiamo giocato a The Thing con un sistema Atmos, e il risultato è convincente) contribuisce in modo significativo alla riuscita complessiva, così come il voice over italiano – seppur meno ispirato rispetto alla controparte inglese – è un’ottima aggiunta per i meno avvezzi alla lingua d’Albione.
La recensione in breve
The Thing Remastered è un titolo che strizza l’occhio in modo sornione ai fan del titolo originale, oltre che della pellicola di Carpenter. Con un comparto tecnico aggiornato quanto basta, un ottimo audio e un gameplay rivisto dove serve, seppur non esente da difetti, riesce a riportare un vita un classico dimenticato del survival horror. Tuttavia, alcuni evidenti difetti strutturali, la mancanza di innovazione e alcune scelte anacronistiche lo rendono molto meno digeribile ad un pubblico moderno, alla ricerca di un’esperienza più raffinata. Ma se amate Carpenter, inutile dirlo, quasi sicuramente in questo istante sarete già a spasso per l’Antartide.
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Voto Game-Experience