Il cammino di Joel ed Ellie prosegue nel terzo episodio della serie di The Last of Us, e ne siamo testimoni in questa nostra recensione. La scorsa puntata ci ha lasciato una punta di amaro in bocca. Per quanto chi vi scrive gioca a carte scoperte rispetto ad alcune rivelazioni già vissute nel omonimo titolo di Naughty Dog, il secondo episodio mi ha fatto rivivere un triste episodio. D’altro canto, ho sinora osannato la serie come la miglior trasposizione filmistica, anche in virtù dei copia-incolla decisamente fantastici.
Il terzo episodio della serie di The Last of Us, però, assomiglia ad un “freno a mano” rispetto a quanto visto sinora. Nessun prologo e/o rivelazione rispetto alle origini del male e alla sua trasmissione, nessun paragone stretto con il gioco, nessun evento che vede coinvolti i protagonisti della serie. Ci viene, in verità, raccontata la storia di due personaggi, Bill (Nick Offerman) e Frank (Murray Bartlett), che nel videogioco sono delle meteore. Il primo appare in alcuni momenti, l’altro è solo citato. Nessuno conosceva la loro storia, sino ad oggi.
Il regista Craig Mazin, in verità, lancia un messaggio molto chiaro: “Va bene tutto, ma esiste anche altro oltre al gioco”. Ed ecco che quel sottotesto creato dalla lore di questa fortunata saga viene declinato per raccontare una storia inedita, che diviene credibile rispetto ai fatti che abbiamo vissuto anche nella controparte videoludica. Quell’estensione, quel completamento che, in parte, abbiamo osservato nel primo episodio della serie, assume una presenza fondamentale.
Una celebrazione di due interpreti fantastici, una storia d’amore in grado di svegliare le coscienze di molti, dove in un mondo senza speranza esiste ancora per cui vale la pena di vivere. Ed ecco che quello che sembra un flashback privo senso, una pericolosa deviazione rispetto alla storia originale, trova un punto di raccordo fondamentale con le vicende che vedono direttamente coinvolti Joel ed Ellie. Un’eredità con cui i due devono fare i conti.
Una bellissima storia d’amore
Premettendo che non amo spoilerare “cose” che siano inerenti alla comprensione dell’episodio, per questa volta mi tocca fare un’eccezione. Il terzo episodio della serie di The Last of Us ci regala un bel racconto di una storia d’amore. I protagonisti sono Bill e Frank, due personaggi che provengono dalla lore del gioco. Il primo è un survivalista, che ha impostato la sua vita preparandosi a non si sa quale catastrofe e che ha trasformato la sua casa in un perfetto bunker. Il secondo, invece, che è il suo esatto opposto. Il loro incontro è casuale, ma sin da subito si capisce che la chimica è perfetta.
Mazin esplora le dinamiche di interazione di questi interpreti fantastici, che ci regalano una prova di recitazione assolutamente sopra le righe. Le loro voci originali, in lingua ovviamente americana, ci aiutano a comprendere meglio le diverse sfumature caratteriali dei due personaggi. Quella che sembra un poco gradito “filler” delle battute iniziali, ben presto si trasforma in emozionale, d’impatto e ben costruito. Una parentesi rispetto al continuum narrativo apprezzatissimo.
Da eterno “purista” vi devo confessare che i primi minuti dell’episodio sono stati frustranti. L’assenza di aderenza narrativa dei primi episodi della serie di The Last of Us, mi ha lasciato senza punti di riferimento, con la paura di aver intrapreso un binario che pian piano si allontanava dal percorso ideale. Ma ideale rispetto a cosa? Al gioco o alla serie?
Il terzo episodio della serie di The Last of Us mi ha preso letteralmente a schiaffi. Basta continui paragoni con il gioco, basta stare lì con la penna rossa ad evidenziare differenze e similitudini con il gioco, basti a farsi troppe “pi**e” mentali. Il buon Craig ha superata l’esame a pieni voti, costruendo una storia perfettamente in linea con il tenore narrativo della storia originale.
Ci si allontana dal videogioco
Arrivati al terzo episodio di The Last of Us, e aver presentato il contesto degli eventi (e quindi aver accontentato anche i fan), la serie ha iniziato a far vedere il suo “carattere”. Non è solo un clone televisivo del videogioco, o quello che in più occasioni ho inteso definire come un copia/incolla, ma c’è dell’altro. Una “storia nella storia”, o forse è meglio parlare di una storia che prende spunto da un’altra.
La storia di Bill e Frank è partita da quella del videogioco, anche se quello che abbiamo visto non c’entra una beneamata fava rispetto a quella che è stata timidamente accennata da Naughty Dog. Il Bill del videogioco era un personaggio antipatico, burbero, che ha aiutato Joel perché era costretto a farlo, senza un briciolo di umanità. Frank non era pervenuto, se non per qualche lettera o documento ritrovato in qualche angolo dello stage.
Craig Mazin e Neil Druckmann lo hanno ammesso in questi giorni, e del motivo per cui questo episodio “filler” sia vitale per l’evoluzione della relazione tra Joel ed Ellie. Di fatto, prima dell’inizio del terzo episodio, tra i due protagonisti era ancora guerra fredda. Dialoghi monosillabici e scarsissimo interesse l’uno dell’altro. È bastata una lettera, una macchina ed una musicassetta (ovviamente il come e il quando non ve lo riveliamo) a dare il via alla storia che abbiamo conosciuto e amato in questi anni.
Nel videogioco non è andata proprio così, ma detto tra noi – e con tutta l’onesta intellettuale del caso – ma “chissene”. Probabilmente questa è l’ultima volta che rimuginerò sulla puntata con corsi e ricorsi storici sul gioco. Tanto, chi già ci ha giocato, sa già come andrà a finire. Voglio illudermi, e godermi ogni singolo episodio che rimane facendo finta che sia la prima volta in assoluto. Ci riuscirò? Sicuremente no. Ci proverò? E certo che si, anche perché ho la netta sensazione che di qui in avanti quel famoso binario si allontanerà diverse volte.
La recensione del terzo episodio
Una storia d'amore in un mondo che non sembra più conoscere il significato di questa parola. Il terzo episodio della serie di The Last of Us ci racconta una storia inedita, che non si trova nel videogioco. Dedicata a tutti quei puristi che devono smettere di ricercare sistematicamente paragoni e similitudini con l'opera originale. Silenzio in sala.
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La recensione in breve