Annunciato come erede spirituale di Dead Space, The Callisto Protocol ha fatto il suo debutto in questo freddo mese di dicembre. L’IP è firmata Striking Distance, sotto l’egida di Krafton, prendendo le distanze dall’universo PUBG come era inizialmente previsto. La mente dietro questo horror psicologico è un tale di nome Glen Schofield, uno dei padri fondatori della trilogia di Dead Space ai tempi di Visceral Games. Ed ecco che tutta quella “spiritualità” che aleggia su The Callisto Protocol, inizia a scemare di misticismo per diventare sempre più “terrena”.
Con i videogiochi è facile ragionare per termini di paragone, anche se stiamo parlando di generazioni fa. Pensate che il primo capitolo della trilogia arrivava nel lontano 2008, circa 14 anni fa. La nostra memoria muscolare di videogiocatori attempati ha richiesto un refresh di alcune nozioni base, quali la pazienza e la calma, due feature che stiamo progressivamente perdendo per via del trend degli ultimi anni. The Callisto Protocol, infatti, è un esperimento anacronistico, con dei tempi di gioco lenti e ragionati, alternati a delle accelerate improvvise e spiazzanti. Un piccolo ritorno al passato, con dei momenti di terrificante paura. Unico avvertimento: se siete deboli di stomaco girate al largo.
Una brutalità che si chiama realtà
Il povero Jacob Lee si trova nel posto peggiore al momento sbagliato. Un semplice fattorino spaziale finisice, in un batter d’occhio, come detenuto nella prigione di massima sicurezza di Black Iron. Senza sapere il come e il perché si ritrova ad essere una preda in un gioco al massacro, dove il nemico non è meglio identificato nel genoma umano. E ci mordiamo la lingua perché eravamo pronti a partire con lo spoiler selvaggio. Non è facile fermarsi quando si scivola nel dramma raccontato in The Callisto Protocol, quasi come se fossimo li accanto al povero Jacob.
Vi dobbiamo avvertire, però, su una questione piuttosto “delicata”. Striking Distance non ci è andata per il sottile. Siamo ben oltre i livelli di Dead Space, visto che è stato etichettato come “filosofico” remake della trilogia firmata EA e Visceral Games. Sequenze dove ci sono dei veri e propri laghi di sangue con materia organica di indubbia provenienza. Il ray tracing non nasconde nulla, tutt’altro, lo evidenzia senza lasciar scontenti nessuno. Momenti che arrivano diretti allo stomaco, e ti lasciano realmente senza fiato. La paura e il terrore arrivano anche da queste sequenze, e il ricordo di quello che si è visto affatica i nostri sensi e la nostra lucidità. Ed è lì che diventiamo delle perfette prede.
Jacob reagisce come può. Non è un soldato addestrato all’arte del combattimento, pertanto pone in essere l’unica cosa che sa fare: mors tua vita mea. E di fatto è quello che succede, con delle sequenze di combattimento che lo vedono scoordinato nei movimenti ed impacciato, ma con un istinto omicida da brividi. I combattimenti finiscono sempre con schizzi di sangue sulla sua faccia e suoi vestiti, e non contento calpesta il cadavere per fare un po’ di looting. E voi lo fate, perché fa parte del gameplay. Talvolta lo facciamo anche nella realtà, passando sopra chi ci sta davanti, solo per il gusto di primeggiare e dare lustro al nostro ego. Che strana metafora non trovate?
Atmosfere che fanno eco alla paura
Black Iron regala delle belle cartoline dall’inferno. Prima di proliferare altre parole, è opportuno contestualizzare il senso di quello che leggerete di seguito. Nelle opzioni è possibile scegliere se dare priorità ai frame o alla risoluzione. Per carità, sono gusti e non osiamo giudicarli perché rientrano nella sfera personale di ognuno di noi. Ci permettiamo solo di evidenziare un dettaglio, che, a nostro modesto avviso, può aiutarvi nella scelta. Le feature del ray tracing amplificano il contesto visivo, mettendo in risalto gli scenari e le ambientazioni in maniera sopraffina. Lasciamo a voi le considerazioni del caso.
The Callisto Protocol si suddivide in capitoli, nell’ambito dei quali l’esperienza viaggia “senza grosse interruzioni” lato gameplay. Gli scenari non cambiano molto, dove la prigione di metallo e sangue finisce per diventare lo scenario perfetto per un qualcosa che assomiglia ad un terrificante giorno della marmotta. Lo spunto di interesse arriva dalle dominanze cromatiche, un po’ meno dagli effetti particellari e dagli speciali in genere. Quelle fiamme renderizzate in 2D, sinceramente, lasciano qualche perplessità.
C’è da dire, invece, che l’orizzonte sonoro del gioco – se muniti di impianto auricolare idoneo – ci ha colpito oltremodo. Le fredde pareti metalliche di questa prigione spaziale alimentano le allucinazioni uditive del povero Jacob (oltre che le nostre). Il più delle volte si ha quasi l’impressione di essere costantemente seguiti – oltre che osservati – restando sempre sul chi va la tra un capitolo ed un altro. Il che è funzionale al genere e al contesto, anche se il più delle volte il gameplay rischia di deragliare. È facile finire in un angolo inutile dello scenario, intenti a cercare e trovare qualcosa che non c’è. Tempo perso inutilmente e frustrazione che avanza inesorabile.
La scelta se giocarlo a 30fps o 60fps è difficile, anche perché l’esperienza che ne deriva è figlia di questo eterno dilemma. The Callisto Protocol è un puro godimento sotto il profilo artistico, per cui il consiglio è quello di dare la priorità alla risoluzione. È un peccato perdersi questa componente in funzione di una fluidità delle sequenze di gioco. Provare, però, non costa nulla.
Impotenza e umanità, il dramma dell’essere “solo” un uomo
Parlando di gameplay, come si rende al meglio il senso di impotenza? Dopo un’affermazione del genere, è assolutamente normale mettere in dubbio la nostra sobrietà. Vi possiamo assicurare che già nel corso del primo minuto di gioco capirete il senso delle nostre affermazioni. The Callisto Protocol è così, bello e dannato. Jacob non è di certo una cintura nera di Karate, e si difende come può. Questo sua “goffaggine” è un po’ alla base delle criticità che aleggiano sul combat system, lacunoso sotto diversi aspetti. Il sistema di parate e schiavate “istintivo” funziona bene sino a quando i nemici non diventano più di uno. Non spiccando per reattività, il rischio di “finire in mezzo” è concreto.
Interessante la possibilità di alternare attacchi fisici con quelli non, in modo da costruire delle interessanti combo che diversificano le regole di ingaggio, oltre a rinnovare il nostro l’interesse per il gioco. La presenza di uno skill tree, inoltre, è un ottimo pretesto per andare in cerca di Callisto Point da investire nello sviluppo di armi e del personaggio. Non vi aspettate nulla di complesso, anche perché non è facile trovare tale valuta in giro per Black Iron. E poi, senza mezzi termini, non è consigliabile andare “a zonzo” in una prigione di massima sicurezza con ogni sorta di mostro assetato di sangue pronto a regalarci un biglietto di sola andata per l’inferno.
Ma se da un lato impressiona la brutalità dei metodi utilizzati da Jacob per portare a casa la pelle, dall’altro divengono giustificabili per via del contesto e della situazione. Era proprio necessaria, come dinamica di gameplay, inserire il pestaggio i cadaveri riversi per terra? Evidentemente si, visto che quasi sempre dai questi corpi esanimi si droppa qualcosa. Ed ecco che il fine giustifica i mezzi, senza andare nemmeno poi troppo per il sottile.
Eppure, questa carica di eccessività non è solo fine alla meccanica di gioco, ma serve anche ad evidenziare il lato umano di tutta la vicenda. Di fatto The Callisto Protocol è il racconto che vede SOLO un uomo tentare di portare a casa la pelle, con tutti i suoi limiti e difetti. E se volete ancora paragonarlo a Dead Space fate pure, basta che poi si ha l’umilità di tornare sui propri passi. Noi, con somma gioia, lo abbiamo fatto.
La recensione in breve
The Callisto Protocol è l'eccezione che conferma la regola, che vede tutto andare troppo veloce per inseguire le tendenze del momento e le esigenze dei giocatori. Basta solo il talento e la voglia di costruire una storia degna di questo nome, e capire come trovare l'equilibrio tra i vari elementi del gameplay. Siamo nel regno del survival horror e il confronto con i "mostri sacri" è stato superato nel migliore dei modi. Il rammarico è solo quello di non averlo visto sul palco dei TGA, anche perchè qualche premio lo avrebbe sicuramente portato a casa senza problemi.
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Voto Game-Experience