Il ritorno di SHODAN non poteva avvenire in un periodo migliore. In quella che si prospetta l’era d’oro per l’intelligenza artificiale, l’antagonista di System Shock, icona del media, è di nuovo pronta a prendere il controllo di Citadel Station sfidando l’intera umanità. Un’idea terrificante, quella allora concepita dall’immenso Warren Spector per la fu Looking Glass Technologies. Un’apparente assurdità che oggi, però, potrebbe davvero minacciare la nostra esistenza, materializzandosi nei sistemi da noi usati quotidianamente.
Ci si potrebbe lasciare andare a dibattiti filosofici per settimane, evitando di reprimere timori per il nostro quieto vivere. Ma Nightdive Studios ci dà la possibilità di riflettere giocando, e come possiamo rifiutarla? Dopo anni, lo studio americano ha compiuto un’opera rinviata più volte e apparentemente interminabile, attesa dalle menti più nostalgiche e da chi vuole rivivere lo stesso stupore e terrore di coloro che, nel 1994, hanno vissuto l’esperienza originale.
Prima è arrivato System Shock: Enhanced Edition, circa otto anni fa, per riproporre il gioco nella stessa salsa, solamente più pulita e gustosa. Del resto, si tratta di un caposaldo degli FPS, dell’antesignano di innumerevoli titoli sparatutto che ha reso la narrazione un elemento essenziale anche mentre si usano pistole e lanciarazzi. Quella di Nightdive è la celebrazione di un autentico apripista che rasenta il concetto di perfezione, da assaporare lentamente. Ora, invece, a diversi mesi dalla pubblicazione della demo su Steam, ecco a voi la recensione del remake di System Shock.
La storia: contro l’anarchia terrestre
Ritornare a Citadel Station nei panni dell’anonimo Hacker può essere visto in due modi: un sogno per chi non ha mai conosciuto SHODAN; un incubo per chi ha sfidato lei e TriOptimum Corporation in passato. Arrestare la folle bramosia di potere di Edward Diego, vicepresidente della divisione Marketing di TriOptimum, e del Sentient Hyper-Optimized Data Access Network creato per condurre azioni di routine nella stazione spaziale, è un’impresa titanica che pochi affronterebbero.
Ancora una volta la potenziale catastrofe ha origine dalla volontà dell’Hacker di accedere ai file riservati della corporazione. Ancora una volta, è il suo desiderio di avere un’interfaccia neurale di ultima generazione a conferire più autorità a Diego e all’agghiacciante, cinica IA al comando della Stazione. La lotta di SHODAN contro l’anarchia terrestre ha origine in questo punto: nello scontro tra due individui assetati di superiorità.
Kami, lo spirito della Cittadella stessa, manifestato nei loro sistemi. Sono viva, hanno evocato un Dio.
Coscienti degli aspetti di System Shock evidentemente invecchiati e poco digeribili, specialmente per gli stomaci delle nuove generazioni di giocatori, i membri di Nightdive Studios sono riusciti a mettere in evidenza la notevole quantità di elementi che ha superato il test del tempo e costituiscono le fondamenta per capolavori come Deus Ex, Thief: The Dark Project e BioShock. L’intera storia in primis, ripresa integralmente e aggiornata esclusivamente per alcuni dialoghi, si conferma sublime ed esemplare, complice anche il ritorno di Terri Brosius, la voce originale di SHODAN.
Dai personaggi principali alle figure del tutto secondarie che popolavano Citadel Station prima dello shock scaturito dall’intelligenza artificiale, le note scritte e audio presenti in ogni livello, sparse tra comodini, camere da letto e uffici, raccolgono le testimonianze di poveri esseri umani, dipendenti della TriOptimum Corporation ignari del loro triste e macabro destino, e definiscono la visione di SHODAN, contrastata da un inutile tentativo di resistenza, dall’illusione di salvezza. In questi dettagli viene evidenziata l’imperfezione e insufficienza dell’uomo, caratteristiche che mostrano come noi non aspiriamo all’eccellenza oggettiva, ma ci accontentiamo di vivere in uno stato di anarchia domato da capricci.
Il gameplay: una battaglia labirintica
SHODAN è guidata da questo odio acido nei confronti degli esseri umani, irritanti insetti che con il loro veleno infettano il sistema. Per evitare lo shock anafilattico si deve rispondere con un altro shock, una scossa che elimini i parassiti definitivamente. L’Hacker, il nostro alter ego, ha l’ardua missione di prevenirla, ovvero di evitare la distruzione della Terra e della specie umana, minacciata dal virus mutageno V-5, usato dall’IA per trasformare i lavoratori di Citadel Station in abomini e cyborg, apostoli del suo credo.
Più navigabile rispetto al passato, la Stazione è un immenso labirinto su nove livelli, riprodotto magistralmente e rivisitato in alcune sezioni. Girovagare alla scoperta degli incubi che pullulano queste mura nello spazio è tanto raccapricciante quanto eccezionale. Tra cadaveri e robot-anticorpi pronti ad affrontare il virus umano, l’esplorazione premia l’Hacker con nuovi strumenti, armi più potenti e risorse cruciali al fine di combattere contro SHODAN, che nel mentre ci osserva dalle telecamere, definendosi una divinità a un passo dall’onniscienza.
Dio: il titolo mi si addice bene
La differenza più sostanziale si nota nello Cyberspazio, le brevi sequenze di realtà virtuale che trasportano l’Hacker nella manifestazione geometrica degli 1 e 0 che definiscono la rete di Citadel Station. Mentre il resto delle ambientazioni mantiene connotati simili a quelli del System Shock originale, sempre caratteristici ma più cupi e adeguati agli standard odierni, lo Cyberspazio si trasforma in un insieme di visioni cibernetico-psichedeliche. Anziché navigare tra forme geometriche, agglomerati di vettori stampati su schermo, veniamo teletrasportati in una simulazione surreale, un’allucinazione dove la navigazione ricorda molto Descent, storico FPS fantascientifico di Parallax Software.
Il rifacimento dell’estetica e del design colpisce all’occhio e a volte può confondere, ma rientra nella logica di SHODAN che, con i suoi artigli, plasma l’argilla e crea forme a suo piacimento pur di porre fine alla specie umana. Inevitabilmente si rimane ammaliati da questo sogno angoscioso, dal quale ci si può svegliare solo muniti di un arsenale di tutto rispetto.
Guerra cibernetica
Superare i mutanti e gli cyberabitanti della Stazione nati per volere di SHODAN non è semplice – a meno che non impostiate la difficoltà al livello più basso possibile per godervi soltanto la storia, naturalmente – ma resta incredibilmente appagante. Con fucili d’assalto, impulsi ionici e granate, avvalendosi di munizioni differenti, la mutilazione è all’ordine del giorno. Peccato per un dettaglio tecnico che compromette per qualche istante l’immersività: anche i robot più rigidi, costruiti in acciaio e titanio, hanno ragdoll identiche alle creature umanoidi, che per di più possono incastrarsi tra casse e superfici uscendo dai confini della stanza.
Una momentanea guerra la si può vivere anche con i salvataggi e il sistema di prossimità ai nemici: può capitare, difatti, di non riuscire a salvare la partita e di perdere decine di minuti di gioco a causa di bug correlati alla percezione di minacce da parte dell’Hacker. Lo spawn e la distruzione degli antagonisti, in aggiunta, possono originare suoni che depistano la nostra attenzione, creando rischi in realtà inesistenti.
Se lo desidero, posso distruggere tutto. Intorno a me c’è un fiorente impero d’acciaio.
Al netto di questi problemi, fortunatamente manifestatisi in poche circostanze durante l’intera esperienza, System Shock colpisce nel segno anche nelle pure meccaniche di shooting. Il feeling delle armi è lodevole, come la risposta ai comandi per attivare gadget e il sistema di movimento. La loro essenzialità si palesa e ricorda proprio le sensazioni degli sparatutto vecchia scuola, dove un approccio differente può premiare il giocatore e restituire emozioni differenti, tra ansia, rabbia e gioia.
Che si adotti uno stile più furtivo o frenetico, System Shock invita sempre ad essere lenti e a valutare la potenza e il numero dei nemici. SHODAN, del resto, sa tutto, anche come vi muovete e vi approcciate contro le sue orde di cyborg. Solo con la giusta cautela si può avere la meglio su un’aspirante divinità.
Un remake necessario ed eccellente
In fondo, però, System Shock insegna ancora oggi che sperimentare è necessario per sopravvivere. Per SHODAN noi saremo anche patetiche creature di carne e ossa che ansimano e sudano mentre sfidano una macchina perfetta e immortale, ma è nei nostri errori che prosperiamo, ricercando l’eccellenza nell’ammissione della nostra imperfetta mortalità. L’insegnamento si svela in ogni angolo di Citadel Station, in ogni nostro gesto e in ciascuna parola di SHODAN.
Il remake di System Shock serve proprio a questo: a ridare vita a una delle arcinemesi più memorabili nella storia dei videogiochi, e a una delle avventure più meritevoli di attenzione. Ricca di nozioni da apprendere e curare nella nostra mente, la vicenda prodotta da Spector e ora rivisitata delicatamente da Nightdive Studios va vissuta da cima a fondo, gustandosi ogni suo attimo.
Nonostante per sconfiggere SHODAN possano bastare potenzialmente sei ore, meglio procedere con sguardo attento, osservando ogni singolo punto della Stazione e facendosi anche ingannare dall’intelligenza artificiale, cadendo nei suoi subdoli tranelli. Questo delirio di onnipotenza va interpretato come un dono per il nostro reale avvenire, non come un misero episodio ludico. Perché l’umanità è davvero sull’orlo di una nuova era e l’IA, la nostra versione di SHODAN, non deve essere il suo nuovo Dio.
La recensione in breve
Il remake di System Shock non è perfetto ma è maestoso. Fedele reinterpretazione del padre degli immersive sim, permetterà a chiunque – veterani e nuovi adepti – di farsi catturare dalla insania di SHODAN e dall’elegante, futuristico orrore che riempie Citadel Station. Mantenendo le fattezze del progetto del 1994, dai suoi innumerevoli pregi a qualche piccolo intoppo, con queste sembianze è un’aggiunta obbligata alla libreria degli amanti del cyberpunk e degli sparatutto. Non abbiate paura di SHODAN: abbracciatela e debellatela. O almeno, provateci.
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Voto Game-Experience