L’uscita del film di Sonic è un’occasione per fare una panoramica di tutta la carriera videoludica del porcospino blu di Sega. Un periodo ormai quasi trentennale e una serie di giochi estremamente variegata. Tanti, forse troppi per citarli tutti in una sola volta, tuttavia questo speciale andrà a trattare quelli principali, dedicando anche spazio a quelli meno conosciuti ma meritevoli.
Il debutto nell’era 16 bit
L’esordio di Sonic avviene nel 1991 sul Mega Drive (Genesis in America) e sancisce la fine di due monopoli, quello di Nintendo come detentrice del 90% del mercato console, e quello di Mario come personaggio più famoso. Il gioco diventa una vera e propria killer application, facendo impennare le già buone vendite del 16 bit e andando a conquistare una fetta sempre più larga di mercato. Il protagonista invece diventa un’icona, al punto che per diversi anni, nei sondaggi statunitensi, Sonic è persino più popolare di SuperMario o Topolino. Il merito di questo successo clamoroso fu di Yuji Naka, da molti considerato l’equivalente di Shigeru Miyamoto per Sega, in quanto creatore del gioco da cui scaturì la mascotte ufficiale della rispettiva compagnia e anche per la tendenza ad esprimere il suo genio eclettico oltre il genere platform. Naka infatti aveva già creato Phantasy Star, una saga di JRPG che nel periodo 16 bit fu apprezzata e considerata da molti come pari, se non superiore, a produzioni Squaresoft come Final Fantasy, per poi diventare una precorritrice del connubio vincente tra online e giochi di ruolo con Phantasy Star Online.
Originariamente però le idee sulla presentazione stilistica del porcospino non erano ben definite. Naoto Ohshima fu incaricato di dare una forma al personaggio basandosi su quelle che erano le indicazioni del reparto di sviluppo capitanato da Naka. La velocità e gli attacchi rotanti furono considerati essenziali, pertanto si dovettero scartare i prototipi di un canguro, per la lentezza, e un coniglio in grado di afferrare oggetti e usarli come arma, per ragioni tecniche di implementazione nella giocabilità. Ohshima optò quindi per un porcospino, il quale poteva combinare l’idea di velocità e attacco grazie alla sua agilità e ai suoi aculei. Inizialmente questo Sonic era abbastanza diverso da come lo conosciamo ora, il suo colore era verdastro e aveva una fidanzata umana in stile Jessica Rabbit. Dopo un consulto con i vertici di Sega America, si optò per il colore blu acceso in quanto associabile con la tonalità del logo Sega e si rimosse la sua ragazza, in quanto ritenuta poco calzante (al suo posto verrà ufficializzata la porcospina rosa Amy, anche come personaggio giocabile in diversi capitoli).
Il successo di Sonic fu dovuto non solo al carisma del personaggio, ma anche ad una giocabilità innovativa nel genere platform e un’applicazione eccezionale dei principi di level design. I Sonic bidimensionali infatti, contrariamente a come può sembrare in apparenza, non puntano solo sulle fasi di corsa, ma invece offrono delle aree estremamente complesse da esplorare, saltando da una piattaforma all’altra. Generalmente un livello di Sonic può essere diviso in tre zone, una centrale, che si presta all’utilizzo della corsa, una sopraelevata e una inferiore. Queste ultime presentano fasi platform più intricate o un maggiore numero di nemici, premiando però il giocatore che vi si avventura con molti bonus preziosi e con l’ingresso nei livelli extra in cui affrontare dei mini giochi e ottenere in cambio i famosi smeraldi del caos, utili per attivare la trasformazione in SuperSonic (un omaggio alla serie Dragon Ball) e ottenere un finale extra. Il risultato fu notevole anche per via dell’esiguo numero di sviluppatori: solo sette persone lavorarono al primo Sonic, l’equivalente odierno di uno studio indie, per giunta di quelli piccoli.
I successivi capitoli riescono ad introdurre a loro volta concetti rivoluzionari in un modo o nell’altro. Sonic 2 infatti presenta il comprimario Tails, che accompagna l’eroe nelle sue avventure, ma può essere controllabile da un secondo giocatore con un joypad, diventando il primo caso di cooperativa a due in un platform. Sonic&Knuckles invece permise l’integrazione di contenuti aggiuntivi grazie ad un espediente. In un’epoca dove le console non erano munite di dischi fissi e non erano collegate ad internet per scaricare espansioni, Sega creò una specie di cartuccia ponte, inseribile nel MegaDrive e sulla cima della quale inserire a sua volta un’altra cartuccia. Agganciando quindi Sonic&Knuckles ad uno qualsiasi dei primi tre episodi, si potevano giocare i giochi precedenti aggiungendo diverse novità. Questo episodio era fruibile anche autonomamente, grazie ad alcuni livelli inediti, ma dava un ulteriore motivo per dedicarsi anche a capitoli già completati.
Menzione speciale a Sonic CD, che può ufficialmente essere considerato il quinto capitolo della serie per la sua elevatissima qualità e l’ulteriore presenza di elementi originali ad impreziosirlo. Il titolo uscì in esclusiva per il MegaCD, l’espansione a compact disc del MegaDrive che rimase più un oggetto elitario per pochi, dato il suo costo, tuttavia si tratta di uno dei migliori episodi bidimensionali e dell’era 16 bit. Non solo la qualità grafica e sonora beneficiava del supporto ottico, ma la struttura dei livelli era sorprendentemente profonda e ricca di variazioni. I livelli bonus inoltre erano una specie di piccolo gioco di corse con visuale simil-tridimensionale.
Il titolo cross gen Sonic 3D Blast esce su MegaDrive e Saturn in contemporanea. Si trattava di un gioco con visuale isometrica che dava una prospettiva tridimensionale, pur senza esserlo. Nel complesso si trattò di un titolo valido, ma il 3D nei videogiochi aveva già fatto vedere il suo potenziale, pertanto i giocatori si aspettavano ben altro, qualcosa in grado di rivaleggiare con platform tridimensionali veri, quali Spyro o SuperMario64. Tuttavia il Sonic Team incontrò inizialmente diverse difficoltà nel rendere le meccaniche e la giocabilità di Sonic in un titolo 3D. Per diverso tempo fu in cantiere un gioco intitolato Sonic eXtreme, che però venne scartato in quanto non soddisfaceva gli sviluppatori stessi. Un nuovo capitolo viene quindi a mancare per tutto il ciclo vitale del Saturn, il quale ospitò altre produzioni di alto livello prodotte da Naka e soci come Nights e Burning Rangers (due titoli poco conosciuti, ma estremamente creativi, originali e con quel guizzo di genialità a renderle memorabili).
Il passaggio al 3D e i primi problemi
Il porcospino ritorna in grande stile su Dreamcast, con Sonic Adventure 1 e 2, i quali resero giustizia alla formula bidimensionale traghettandola con pieno successo in campo 3D. In particolare Sonic Adventure 2 riuscì a strappare un primato ragguardevole, diventando il titolo di terza parte più venduto in assoluto su GameCube (superando anche Resident Evil 4). Tuttavia con il ritiro di Sega dal mercato hardware, iniziò anche una fase di crisi creativa, che coinvolse per qualche tempo alcuni giochi riguardanti la mascotte.
Sonic Heroes e Shadow the Hedgehog furono nel complesso dei buoni titoli, mantenendo decorosamente la qualità della serie per tutto il ciclo dei 128bit su Playstation 2 e Xbox, anche dopo l’addio a Dreamcast. Tuttavia con Sonic the Hedgehog del 2006 (per Playstation 3 e Xbox360) inizia un periodo nero. Il gioco venne pubblicato con numerosi problemi tecnici che ne inficiavano la qualità grafica e la fluidità (elemento essenziale dato il tema della velocità) oltre che numerosi bug.
Il risultato non fu assolutamente all’altezza e anche i capitoli successivi sembravano impantanarsi nel cercare a tutti i costi di implementare idee nuove, ma fuori luogo, in una giocabilità che i due Adventure avevano dimostrato funzionava già bene di suo, senza bisogno di aggiunte strane. Sonic e gli Anelli Segreti, Sonic and the Black Knight e Sonic Unleashed infatti introducono meccaniche anomale o un sistema di combattimento più da action brawler che non da platform, che risultavano poco calzanti. Come non bastasse nell’ultimo si riscontra anche una certa imprecisione nel gestire le fasi platform, confermando come dopo l’abbandono di Yuji Naka nel Sonic Team sia mancata una direzione attenta nello sviluppo. Questi titoli hanno danneggiato molto l’immagine dei giochi 3D del porcospino, al punto che si arrivò a creare anche un errato pregiudizio (spesso anche perpetrato da opinionisti poco esperti della serie, che avevano saltato in toto i due Adventure), secondo il quale tutti i capitoli tridimensionali fossero scadenti. Tuttavia questa è un’esagerazione, in quanto nel corso degli anni ci sono stati anche episodi come Sonic Colors o Sonic Generations (che ben ibridava livelli 2D e 3D) risultati qualitativamente molto buoni, rimasti però oscurati dalla scottatura causata dai precedenti.
La stessa altalenanza ha avuto un effetto negativo facendo giudicare con troppa severità anche titoli successivi discreti, qualora fossero usciti vicino ad altri pessimi. Quando Sonic Lost World iniziava a confermare come la tendenza negativa fosse ormai solo un ricordo, ecco una mossa suicida di Sega, la quale subappalta lo sviluppo di Sonic Boom agli inesperti sviluppatori di Big Red Button, i quali sembrano voler bissare più l’insuccesso di Sonic 2006, con un titolo profondamente flagellato da bug e senza una visione coerente della giocabilità originale. Tale confusione fu rafforzata da dichiarazioni incomprensibili degli autori, secondo cui il flop sarebbe stato causato dal fatto che non si fosse puntato tutto sulla cooperativa a più giocatori.
La produzione di Sonic Forces torna quindi al Sonic Team, il quale ricalca la formula di Sonic Generations con capitoli bidimensionali e tridimensionali in alternanza. Il gioco viene sviluppato con un budget più moderato, tuttavia il risultato è più che discreto e godibile. Anche questa volta però il tonfo dell’episodio precedente produce valutazioni che somigliano ormai più a dei meme internettiani condivisi in modo automatico, per cui basta dire “Sonic in 3D” per produrre giudizi perentori, talvolta persino senza fare distinzioni o aver provato il capitolo in questione.
I derivati e le menzioni speciali
Il titolo che però mette tutti daccordo è Sonic Mania, il quale viene accolto con valutazioni entusiastiche ma dimostrando ancora una volta come ci sia una certa spaesatezza nel valutare i giochi del porcospino. Sonic Mania infatti è un prodotto solo in parte inedito, in quanto mescola dei aree nuove con dei remissaggi di alcuni dei livelli più apprezzati dei primi giochi. Christian Whitehead, l’autore, infatti è un fan della serie, il cui lavoro amatoriale ha convinto Sega al punto da distribuire il progetto ufficialmente. La scelta comunque è sensata dato l’elevato impegno profuso, anche nel ricreare una grafica in pixel di qualità.
Tra i derivati bisogna riconoscere che c’è stata una grande varietà di proposte, alcune spesso sorpendenti per i modi in cui reinterpretavano le meccaniche tipiche della serie. Limitiamoci però a citarne alcuni per motivi di sintesi.
Sonic Spinball per MegaDrive è un gioco di flipper, dove Sonic diventa l’equivalente di una pallina mentre esegue il suo attacco rotante. Nonostante la semplicità alla base della formula, implementa alcune piccole idee dalla serie platform, diversificando in modo intrigante anche qualcosa di già ampiamente conosciuto. SegaSonic The Hedgehog invece fu un action-platform isometrico uscito in sala giochi nel 1993, dotato di un cabinato che sfruttava una sfera per riprodurre l’equivalente dei controlli analogici. Meno convincente invece Sonic Fighters, che si limitava a riprodurre le meccaniche di Virtua Fighter e Fighting Vipers cambiando solo personaggi e fondali con quelli provenienti da Sonic. Il punto debole era una giocabilità estremamente semplificata e una rosa di mosse ripetitiva, che non differenziava bene l’utilizzo di ciascun lottatore.
Il tema della velocità non poteva non essere sfruttato per dei giochi di corse. Negli anni vi sono state diverse serie, tuttavia le più riuscite sono quelle di corse arcade sui go-kart (del filone Sonic Racing o Drift) e i Rivals, dove Sonic e compagni sfrecciano su snowboard o surf gravitazionale. Sia le corse su tavola che quelle su kart ottengono un buon successo, al punto da produrre diversi seguiti e porsi come alternativa alla serie Mario Kart.
Un esempio di affidamento sensato del brand a sviluppatori esterni arriva con Sonic Chronicles: The Dark Brotherhood per Nintendo DS. Si tratta di un gioco di ruolo sviluppato niente meno che da una Bioware anch’essa ancora nel suo periodo migliore. L’idea di creare un rpg su Sonic funziona molto bene, sia per la versatilità di situazioni che il personaggio permette di gestire, sia per la variopinta rosa di comprimari che permettono di creare un gruppo dotato di abilità degne di un GDR classico.