Ubisoft ha annunciato The Division 2, il quale verrà quasi certamente mostrato in anteprima all’E3. Prima di abbandonare il primo però verrà pubblicata una nutrita serie di eventi online, in questo modo la software house europea vuole riportare gli utenti per le strade della sua Manhattan e stuzzicare di nuovo il loro interesse in vista dell’uscita del seguito. Facciamo il punto di cosa funziona e di cosa c’è bisogno per fare sì che The Division 2 non ripeta i problemi visti al lancio del predecessore.
La Trama
La componente narrativa di Division 1 era frammentaria, ma comunque riusciva a dipingere il lato umano della tragedia in modo molto efficace e particolare. I diari audio e le conversazioni telefoniche dei cittadini newyorkesi infatti mostravano le reazioni delle persone prima, durante e dopo il cataclisma che ha colpito la metropoli americana, raccontando storie di individui qualsiasi alle prese con una crisi di proporzioni inaspettate che ha prodotto gesti di disperazione, paura, panico, speranza, amore, egoismo ed altruismo. Negli audio-racconti di Division 1 c’è tutta una rosa di sentimenti umani di fronte ad una emergenza umanitaria fittizia che, seppur esposta in modo impersonale e non mostrata con dei filmati, inscena comunque diversi stati d’animo con inaspettata forza narrativa.
Questa stessa formula inusuale inoltre contribuisce a rendere ancora più enigmatica e misteriosa la figura dell’antagonista Aaron Keener, agente rinnegato della divisione, il quale si è appropriato delle ricerche del dottor Amherst per usarle in un’altra città, diventando il punto di congiunzione che porterà agli eventi di The Division 2. Keener difatti è la grande presenza-assenza dietro il primo capitolo.
La sua diserzione è testimoniata da alcuni diari audio in cui il giocatore non solo apprende le sue motivazioni, ma anche il suo peso all’interno della trama e degli eventi, molti dei quali rimandano a lui senza che compaia mai di persona. Il clima che si viene a creare è quindi di forte attesa per un confronto che è rinviato di continuo. Lo stesso epilogo racconta la fuga di Keener da New York e il suo derisorio messaggio per gli agenti della divisione che intendono catturarlo, creando in questo personaggio un’aspettativa per uno scontro finale paragonabile a quella che era stata costruita ad arte tra Modern Warfare 2 e 3 nei confronti di Makarov.
Per quanto i comprimari siano dotati di poco spessore e una caratterizzazione misera, i veri protagonisti di The Division sono gli abitanti di New York nonché la stessa metropoli. Da questo punto è interessante come Ubisoft abbia presentato i newyorkesi in modo variopinto, ispirandosi in alcuni punti alle loro reazioni di fronte ad una tragedia reale, quella dell’undici settembre.
Non è ancora definito quale città fungerà da ambientazione per Division 2, tuttavia è probabile che verrà raffigurata con la stessa cura nel ricreare gli ambienti urbani che ormai è tipica delle produzioni Ubisoft, la quale almeno da questo punto di vista, non ha mai deluso. Non a caso la caccia ai collezionabili sparsi per la Manhattan virtuale è capace di ricompensare con due cose: una parte aggiuntiva di storia, attraverso gli audio-diari, e una serie di scorci di New York veramente impressionanti, in grado di affascinare quando illuminata all’alba e ricoperta di neve, così come di inquietare quando deserta di notte e devastata dal fuoco dei Purificatori.
I contenuti
Il grosso problema di The Division al lancio è stata l’assenza di contenuti per la fase post-fine del gioco. Una volta completata la storia infatti ci si poteva dedicare alla famosa Zona Nera, ma a parte quello restava poco altro. Questo è stato considerato un problema perché dagli MMO ci si è sempre aspettati un quantitativo di missioni e obiettivi tali da intrattenere l’utenza per mesi anche una volta conclusa la semplice trama.
La questione però è che questo assurto deriva dagli MMO-RPG, in cui il primo genere videoludico che ha adottato la formula di gioco online di massa (MMO) sono stati i giochi di ruolo (RPG).
Tuttavia gli Rpg rientrano in una tipologia che permette di integrare missioni secondarie con più varietà rispetto ad uno sparatutto in terza persona come The Division. Pertanto la ripetitività di fondo di molte missioni collaterali è da considerarsi intrinseca ai limiti degli sparatutto, che difficilmente brillano per inventiva.
Gli MMO-shooter che hanno preso piede in quest’ultima generazione di console sono quindi prodotti diversi rispetto gli MMO-rpg. I primi richiedono infatti una spesa più contenuta (senza il canone mensile che finanzia un flusso maggiore di contenuti e aggiornamenti, come nel caso di World of Warcraft o Final Fantasy XIV), ma connotandosi anche per dimensioni e prospettive più ridotte.
Tuttavia, nel season pass, Ubisoft ha dimostrato di avere delle buone idee da implementare, come la modalità sopravvivenza, in cui bisogna resistere durante una tormenta, cercando di reperire materiali utili in condizioni estreme.
La Zona nera inoltre rimane un’idea piuttosto interessante: la possibilità di recuperare bottino di alta gamma da portare in salvo tramite un elicottero, unita alla perenne spada di Damocle rappresentata dagli agenti ostili con cui ingaggiare il PvP, sono tutti elementi che, al netto di qualche spigolo, aggiungono pepe all’insieme.
Se Ubisoft saprà offrire qualcosa di paragonabile al materiale maturato in due anni di supporto per il primo episodio, allora sarà presente una mole di contenuti ragguardevole per far debuttare questo secondo titolo in maniera più soddisfacente e allontanerà il rischio di trovarsi di fronte ad un gioco incompleto, pur restando che l’estensione paragonabile ad un MMORPG non può essere pretesa.