Personalmente apprezzo i survival games? Di fatto si tratta di un genere relativamente nuovo, considerata la complicata gestione ed il complesso bilanciamento richiesto per creare un titolo di qualità. Ho iniziato le mie avventure da sopravvissuto con Lost in Blue (Konami, anno 2005) per Nintendo DS: un survival game “a metà” poichè di fatto diviso tra esplorazione e minigiochi necessari a procurarsi le risorse necessarie alla sopravvivenza, ma il concept è più o meno quello. Cos’è un survival game? Normalmente è un gioco dotato di mappa esplorabile abbastanza vasta, arricchita di eventi random e risorse sparse, che il giocatore deve percorrere per procurarsi materiali/cibo necessari al proprio sostentamento. Un mix tra open world e gestionale non lineari, con sprazzi di action/horror/platform ed altri elementi: creare un buon survival game non è affatto facile, nonostante questo specifico genere sia diventato famoso principalmente grazie a produzioni indipendenti come l’ormai celebre Minecraft.
Ho seguito il gioco targato Mojang sin dagli albori, dalla mitica versione “InDev”, prima che questo titolo diventasse un fenomeno di massa quasi del tutto indigeribile. Minecraft rappresenta al meglio tutti i pregi e tutti i difetti di un survival game: ampio, variegato, longevo ma anche dallo sviluppo terribilmente lungo, dal gameplay spesso noioso e poco intrigante. Molto spesso i survival games, soprattutto recentemente, vengono “ibridati” con altri generi ed arricchiti di componenti extra per aggirare la noia che può derivare da un gameplay puramente esplorativo/gestionale. Parliamoci chiaro: girare a vuoto cercando risorse è divertente fino ad un certo punto ma poi diventa di una noia mortale, per questo il crafting è diventato parte integrante nel 99% dei casi in un gioco survival. Raccogliere oggetti diversi, magari anche utilizzabili singolarmente, ma poi “spaccarli” e trasformarli in qualcosa di diverso e molto utile. Minecraft fa di questa meccanica il fulcro del gameplay, rendendo anche possibile la creazione di interi edifici proprio grazie alla sua natura “cubettosa”. Ma è davvero possibile realizzare un survival game puro senza che diventi presto noioso da giocare?
Nel corso degli anni molti hanno tentato l’impresa, ma è estremamente complesso sviluppare un buon survival game che sia al tempo stesso equilibrato ed impegnativo senza che diventi noioso nel tempo. Grandi erano le mie speranze per Stranded Deep, titolo indie in prima persona del 2015 ad opera del team indipendente Beam Team Games, purtroppo parzialmente deluse: ottima idea di base, buona realizzazione, ma noia mortale dopo poco tempo. Anche Savage Lands si è rivelato un’occasione persa, seppur più cocente: un mix tra survival e Skyrim, sandbox ed avventure in setting norreno che prometteva davvero grandi cose ma che si è arenato sul più detestabile degli scogli…l’early access eterno. Molto spesso infatti gli sviluppatori indipendenti, consci della grande fama che il genere survival ha ottenuto, si lanciano nello sviluppo di titoli simili senza comprendere quanta esperienza/tempo/capacità siano necessari per completare l’opera. Personalmente detesto i survival game che tentano deliberatamente di mettere i bastoni tra le ruote al giocatore con sfide eccessive o quei maledetti indicatori di sonno/fame/sete che scendono a velocità inverosimili: è completamente assurdo che un essere umano, per quanto disperato sia, necessiti di consumare più di un pollo intero arrosto durante l’arco di una singola giornata. Spesso infatti la componente esplorativa viene sacrificata in favore della componente “sopravvivenza”, più attiva e certamente più intrigante, creando però un connubio che non funziona nel lungo periodo. Ci si ritrova semplicemente a scorrazzare qui e là in tutta fretta cercando di liberarsi delle necessità fisiologiche del personaggio per poter finalmente esplorare un pò in santa pace.
Se da una parte ci sono molti titoli (TROPPI titoli) che hanno inseguito il successo facile buttando nella mischia elementi survival raffazzonati, dall’altra parte troviamo vere e proprie perle realizzate con competenza. E’ il caso ad esempio di The Long Dark, titolo ad opera del team indie Hinterland Studio Inc, che offre una vera e propria esperienza survival in gelidi territori del Canada con un’ottima dose di gameplay basato sulla deperibilità di oggetti e cibo: è davvero necessario ingegnarsi per riuscire a cavarsela, e le numerose azioni possibili allontanano lo spettro della noia basata sulla semplice esplorazione. Un altro gioco di grandissimo pregio è certamente Don’t Starve che, con l’aggiunta della versione multiplayer Don’t Starve Together, offre un’esperienza solida e piacevolissima sotto tutti gli aspetti: avventure arricchite da un comparto artistico degno di Tim Burton ed un gameplay variegato al punto giusto. “Sopravvive il più forte” si usa dire, ed è terribilmente vero anche nel mondo dei survival games: personalmente si tratta di un genere che ho imparato ad apprezzare con il tempo, soprattutto per la sua “fragilità” innata. Creare un buon titolo di questo genere non è assolutamente facile, e basta poco per tirar fuori l’ennesima castroneria che cerca di scimmiottare azioni realistiche per dare l’illusione di un gioco impegnativo. Si tratta pur sempre di videogiochi, ed il realismo deve venir sottomesso alle esigenze di gameplay per offrire una buona esperienza. Ultimi successi nel campo? Certamente verrebbe da segnalare l’interessante versione aggiornata di The Forest, titolo partito parecchio male ed ora notevolmente migliorato. Da non perdere anche Project Zomboid, gioco in sviluppo da un’eternità ma che si sta rivelando davvero interessante. Chissà se questi giochi “sopravviveranno” allo sviluppo? Solo il tempo potrà dirlo…ed anche la pazienza della community che li supporta.