Tratto comune a molti gdr occidentali ed orientali a sfondo fantasy è una tendenza alla storia epica ma tradizionale, dove i buoni e i cattivi rispondono a canoni rigidamente tolkieniani. Nello stesso anno in cui Square impazzava come regina dei j-rpg e faceva salvare il mondo da Cloud Strife e soci, Konami esce in sordina con Suikoden, facendo però un lavoro simile a quello che Gundam fece per gli anime di robottoni: spostare il centro della trama sulla guerra civile tra uomini, senza cattivi mostruosi che vogliono conquistare o distruggere il mondo ma con eserciti e fazioni opposte che si scontrano.
108 personaggi in cerca d’autore
Basandosi su una leggenda cinese, Genso Suikoden (il Regno della Luna Scarlatta) cala il giocatore nei panni di protagonisti diversi, sempre coinvolti in guerre tra stati puntando a reclutare 108 personaggi necessari a potenziare il proprio esercito. A metà strada tra una ricerca di collezionabili e missioni opzionali, l’alto numero di aiutanti con cui arricchire il gruppo viene composto da personaggi di ogni genere, da quelli indispensabili per la trama ai meri comprimari che forniscono supporto in battaglia, sino a quelli puramente logistici , come i fabbri che si occupano di potenziare le armi.
Gli stessi gruppi vengono gestiti in maniera inedita, tramite squadre allargate sino a 6 elementi (sempre con attacchi a turno), per diversificare maggiormente i vari ruoli attraverso un sistema di attacchi combinati pensato per sfruttare determinate interazioni. Come non bastasse, le battaglie tra eserciti diversificano l’azione aggiungendo elementi sempre più profondi con l’avanzare della serie. Nel primo Suikoden gli scontri di massa avvenivano sull’alternanza di cariche, frecce e magia, con un principio simile a “sasso-carta-forbice”, con abilità aggiuntive (sbloccabili reclutando personaggi secondari) come la corruzione delle truppe nemiche utilizzata dai mercanti o l’utilizzo di tecniche avversarie tramite i ninja.
Suikoden 2 invece utilizza una griglia molto simile agli rpg-strategici, mentre Suikoden 3 matura un sistema in cui il gruppo è diviso lungo la mappa di combattimento e il posizionamento diventa fondamentale per evitare che le proprie sotto-unità vengano circondate e sbaragliate trovandosi senza rinforzi.
In ogni capitolo il castello diventa la roccaforte del gruppo, inizialmente deserto, finendo per popolarsi con tutti i 107 personaggi reclutabili (escludendo il protagonista) e rispecchiando i progressi giocatore nel completare il gioco. Molte missioni secondarie richiedono di reclutare aiutanti semplicemente parlando, oppure portando degli oggetti o dopo aver vinto dei combattimenti, assicurando una discreta varietà nelle modalità e nell’impegno richiesto per scovare ciascuno di loro.
Un precursore del Trono di Spade
I primi due capitoli presentano una grafica bidimensionale, con combattimenti casuali su visuale 2d-isometrica, rudimentale rispetto il dilagante 3d abbracciato dalla Psx, ma ordinata e curata nei dettagli.
Suikoden 3 invece vanta un motore completamente tridimensionale, seppur penalizzato da animazioni dei personaggi legnose e poco fluide, compensando con ambientazioni e zone visitabili ampie e molto dettagliate. Il piccolo valore aggiunto sta nell’introduzione animata realizzata dallo Studio Gonzo, autore di anime come Full Metal Panic, Hellsing e Transformers Cybertron. La peculiarità del terzo episodio risiede nella narrazione portata avanti attraverso 3 punti di vista diversi: quelli di Hugo, membro del clan di maghi-guerrieri, Chris, donna capitano della guardia di Zexen e Geddoe, capo di un gruppo di mercenari. Le tre trame convergono sotto il comando di Hugo, cedendo allo stereotipo del protagonista da Jrpg: il giovane adolescente alla ricerca della pace (come Riou e Tir dei primi due Suikoden, ma anche Chrono, Gidan, Vaan e molti altri ancora).
Piccola tradizione legata alla saga è la retrocompatibilità dei salvataggi, che permettono di sbloccare sequenze inedite e piccoli bonus qualora vengano trasportati sul nuovo capitolo determinati traguardi raggiunti precedentemente (come il ritorno del protagonista di Suikoden 1 nel secondo capitolo ad esempio) .
Nonostante gli anni l’aspetto bidimensionale dei primi due capitoli regge bene il peso rispetto un titolo 3D su cui risulta più evidente l’obsolescenza tecnica (il caso di Suikoden 3) grazie ad uno stile curato e colorato. Ma il vero punto di forza della serie rimane la sua impostazione caratteristica sia nel sistema di combattimento a squadre allargate o ad eserciti, sia nelle trame molto mature, con quel pizzico di intrigo politico e dramma (che precede i tempi e le atmosfere del Trono di Spade, mantenendo però un tono più composto e meno truce), capaci di risultare incisive e memorabili anche al confronto con molti rpg occidentali e giapponesi degli ultimi anni.
Nonostante siano usciti anche un quarto ed un quinto capitolo (oltre che uno spinoff strategico a turni e altri due per Psp e Nintendo Ds), ho preferito trattare generalmente soltanto i primi tre capitoli per via della loro accessibilità al pubblico odierno grazie alla distribuzione digitale su Playstation Network.
Chi cerca un’alternativa ai Final Fantasy di Squaresoft può trovare nella serie di Suikoden un degno rimpiazzo, meno sontuoso ma sicuramente dotato di una forte e riuscita identità stilistica.