ATTENZIONE: L’ARTICOLO CONTIENE ALCUNE INFORMAZIONI CLASSIFICABILI COME SPOILER – PROSEGUITE A VOSTRO RISCHIO (ndr)
Correva l’anno 2005 ed in Giappone/USA vedeva la luce su Playstation 2 ワンダと巨像 (Wanda to Kyozou) arrivato in Europa nel 2006 qualche mese dopo con il titolo Shadow of the Colossus. Questo gioco ha per me un valore artistico, personale e ludico inestimabile ed inestinto ancor oggi: con l’avvento del remake per Playstation 4 ho potuto personalmente esplorare di nuovo quelle lande deserte, selvagge ma ancora “vive” in qualche modo e custodi di un tremendo potere.
Shadow of the Colossus giunge a noi dal passato, e nonostante non abbia mai fatto registrare chissà quali enormi numeri in termini di vendite rimane una delle più eccezionali produzioni videoludiche di sempre: non ha mai saltato una generazione dal suo primo avvento su PS2. La versione remastered è arrivata su PS3 al tempo ed ora un remake decisamente più corposo arriva su PS4 nell’esaltazione di tutti. Perchè Shadow of the Colossus rappresenta un titolo così eccellente e sembra immune allo scorrere del tempo? Personalmente ho più di una risposta che può spiegare semplicemente questo fatto. L’opera di Fumito Ueda è di fatto uno dei primi esempi di “open world” nel senso più viscerale del termine: c’erano già il primo episodio 3D della serie Grand Theft Auto, c’erano altri giochi che iniziavano ad esplorare il concept di mondo aperto…ma Shadow of the Colossus approcciava questo genere in modo del tutto nuovo. Una mappa decisamente enorme, ma anche vuota ed appositamente resa tale: la volontà del creatore era ricreare un mondo naturale ed incontaminato, ma con segni chiari di una passata e grandiosa civiltà che ha costruito opere ciclopiche ancora visibili seppur intaccate dallo scorrere del tempo. E lì, in mezzo al nulla più assoluto, all’improvviso appare un mostro che sembra composto a metà di parti organiche e metà di pietre e terra. E’ enorme e combatterlo sembra al di là di qualunque possibilità umana: eppure il silenzioso protagonista mosso dalle mani del giocatore riesce a trovare una falla, la sfrutta e trionfa stremato sul gigante.
Shadow of the Colossus mette al centro del gameplay due meccaniche di gioco completamente contrapposte: esplorazione visiva/uditiva incentrata sul tranquillo vagare e combattimenti feroci che premiano determinazione, strategia e studio del terreno. Non c’è da sorprendersi se il titolo di Ueda sembra così “attuale”: se non sapessi nulla di Shadow of the Colossus e mi ritrovassi tra le mani per la prima volta questo gioco nella sua incarnazione per PS4 penserei tranquillamente che si tratta di un titolo sviluppato per la prima volta due/tre anni fa al massimo. Shadow of the Colossus è risultato così incredibile al suo tempo perchè era già avanti di almeno dieci anni rispetto alle produzioni della sua era: se dovessi fare un confronto con un titolo attuale che sembra aver preso moltissimo in prestito da Shadow of the Colossus, citerei senz’ombra di dubbio The Legend of Zelda: Breath of the Wild. I due giochi in effetti hanno moltissimo in comune e penso che l’effetto sia in gran parte voluto. Ma Breath of the Wild è un titolo del 2017, Shadow of the Colossus è del 2005. Anche se lo stile grafico del remake per PS4 è ovviamente superiore in termini puramente tecnici, al tempo quando mi capitò di uscire per la prima volta dal tempio di Dormin venni completamente soverchiato dalla dimensione visiva delle terre proibite. Tutto sembrava incredibile, vagavo lentamente chiedendomi cosa sarebbe accaduto e quando sarebbe accaduto: sembrava bizzarro che non vi fosse alcuna forma di vita degna di nota eccezion fatta per qualche sparuto uccello che solcava i cieli. Ueda ha lavorato incredibilmente bene nel creare qualcosa di ancor più colossale dei colossi stessi: il mondo di gioco è vivo e vibrante, ma al tempo stesso immobile e quasi “morente” mentre stupisce il giocatore con la sua enorme dimensione. Non ci sono villaggi o persone con le quali interagire, non ci sono dungeon abitati da mostri ostili o altro: solo i segni di un’antichissima civiltà scomparsa, gli enormi colossi e la misteriosa entità nota come Dormin che comunica con noi attraverso un fascio di luce proveniente dal cielo sopra al tempio dove tutto ha inizio.
Se non bastano il gameplay decisamente innovativo per l’epoca e le scelte stilistico/artistiche, il quadro viene completato dalla trama. Mai prima di quel momento, dopo i titoli di coda, mi era capitato di farmi tante domande su ciò che avevo appena visto: il protagonista è davvero il “buono”? In effetti lotta per riportare in vita una ragazza morta in circostanze misteriose, “sacrificata a causa del suo destino maledetto” a quanto pare. L’entità Dormin è davvero malvagio? Sembrerebbe di si a giudicare da come si serve ambiguamente del protagonista per ottenere il suo scopo, eppure non ha mai mentito: ha sempre descritto le azioni necessarie alla resurrezione della ragazza come “ardue e che avrebbero richiesto un prezzo molto alto”, ma cosa ancor più importante alla fine degli eventi la resurrezione avviene davvero, proprio com’era stato richiesto. Shadow of the Colossus presenta un protagonista quasi egoista in quello che fa, pronto a tutto pur di riportare in vita la ragazza anche al costo di sterminare creature di cui non sa nulla e liberare un’entità dai poteri e dagli intenti tutt’altro che chiari. Il gioco fa riflettere sulle conseguenze delle azioni, su ciò che in apparenza può sembrare buono e giusto ma che alla fine si rivela disastroso e dal prezzo decisamente alto. Vale davvero la pena combattere così duramente per “amore”? Non è chiaro il rapporto tra il protagonista e la ragazza morta, ma cos’altro potrebbe muovere così fermamente qualcuno? Personalmente credo sia per questo che Shadow of the Colossus sembra un gioco “nuovo” nonostante abbia più di 10 anni: ha anticipato i tempi, ha anticipato il concept moderno di open world, ha anticipato la narrazione moderna così incentrata su feeling “adulti” e su lezioni di vita apprese al costo di grandi sacrifici ed ambigue promesse. Considero Shadow of the Colossus un capolavoro senza tempo, a prescindere dai microscopici difetti puramente meccanici: un capolavoro che torna in vita rigenerato nella versione PS4 e che ora tutti potranno apprezzare di nuovo in un’epoca dove spesso l’arte videoludica viene sacrificata in favore del prossimo blockbuster.