Sono anni piuttosto difficili per l’industria videoludica giapponese. Escludendo doverosamente Sony (che sta giocando egregiamente le sue carte) altri grandi colossi del nostro recente passato stanno invece attraversando un brutto momento. E’ il caso di Konami, con la caduta di PES e l’infinita (e quasi inspiegabile) disputa con Kojima.
Ma è il caso soprattutto di Capcom. I padri di franchise eccezionali come Resident Evil, Devil May Cry e Street Fighter sembrano ormai in stallo in un pericoloso vuoto di idee. Di fronte a un pur buono reboot di Devil May Cry (da molti ritenuto non necessario) si erge maestoso quello che probabilmente è il capitolo più controverso della saga di zombie più famosa: Resident Evil 6. La fine degli angoli bui, la fine delle munizioni contate, la fine di tutto ciò che rendeva i survival horror dei titoli unici, emozionanti, complessi. E neanche Shinji Mikami, padre della saga di Resident Evil, sembra passarsela molto meglio: il suo recente The Evil Within si è dimostrato “solo” un buon titolo, ma ancora lontano dai fasti del passato. E’ l’eterna lotta tra il mantenimento di salde radici di gameplay e la ricerca forzata dell’accessibilità a tutti i costi per allargare il bacino di utenza: ottenere un bilanciamento che riesca a mantenere entrambi è un’operazione molto complessa. Lo stesso può essere detto per il recente Resident Evil Revelations 2 che, cavalcando l’onda del quasi inaspettato successo del predecessore, tenta di ibridare le vecchie, angoscianti ambientazioni di una volta con un gameplay rinnovato. Il risultato non è pessimo, ma di sicuro non esaltante. Del resto, l’industria sa essere spietata al giorno d’oggi: non vendere a sufficienza significa inevitabilmente scomparire dal mercato. Perciò, rischiare di intraprendere una nuova strada e finanziare una nuova idea spesso può essere un salto nel vuoto da cui non sempre si esce illesi.
Ed è in questo contesto che si inserisce con prepotenza la nuova tendenza al remake, o alla semplice rimasterizzazione, di grandi capitoli del passato. Sotto la grande bandiera del “far provare ai nuovi giocatori questi grandi capolavori”, si nascondono però fin troppo spesso mere operazioni commerciali. E’ il caso della rimasterizzazione di Resident Evil: Code Veronica X, la cui edizione per Xbox 360 e PS3 era tutt’altro che ben realizzata: un lavoro visibilmente pigro e superficiale. Cosi come il recentissimo Prototype, riproposto su nuove console ma zeppo di problemi tecnici. Discorso totalmente diverso, invece, per Resident Evil Rebirth: titolo arrivato su Gamecube nel lontano 2002, riproponeva integralmente le caratteristiche principali del capostipite, aggiornandone cutscenes, comparto grafico (in modo a dir poco stupefacente), e vari piccoli aspetti del gameplay (come la rotazione a 180°) che di fatto non snaturavano minimamente il gameplay originale. La cura nel dettaglio era stata talmente alta che la recentissima riproposizione su console di nuove generazione riesce a non sfigurare anche oggi, opportunamente upscalata e ripulita ma comunque quasi invariata nella sostanza.
Il discreto successo di quest’ultima riedizione, che verrà seguita dalla riproposizione dell’ottimo Resident Evil: Zero il prossimo anno, ha generato un certo tumulto, soprattutto tra i fan. La comunità di videogiocatori è quasi unanime nell’affermare la netta supremazia del vecchio stile di gioco (Resident evil 1 – 2 – 3 – Zero – Code Veronica) rispetto al nuovo (Resident Evil 5-6). E rivisitare la villa in alta definizione avvolti da un mare di nostalgia e ricordi ha acceso un nuovo desiderio: avere un remake del capitolo che per molti è il migliore di sempre, Resident Evil 2.
E le discussioni scatenate dalla passione dei fan non sono passate inosservate, accompagnate dalla nascita di diversi progetti fanmade anche di qualità sorprendente: è assolutamente da segnalare il notevole lavoro svolto da un team italiano proprio su Resident Evil 2, che ci ributta nei panni di Leon con la visuale “alla RE4” grazie all’Unreal Engine 4.
Ecco alcuni screenshot del lavoro, ovviamente ancora in alpha:
Di fronte a tanta dedizione,supportata peraltro da milioni di fan in tutto il mondo, i creatori del remake del capostipite hanno aperto gli occhi rivolgendosi direttamente a tutti noi videogiocatori: vogliono sapere dagli utenti cosa vorrebbero da un eventuale remake. Ma togliamo anche la parola eventuale, le risposte sono state talmente tante che manca solo la conferma ufficiale, come potete vedere dalle immagini sottostanti.
Ebbene, anche noi vogliamo rispondere a questa domanda. Cosa vogliamo, e cosa invece no,da un eventuale remake.
Vogliamo:
– Un survival vero, come una volta:
La formula che aveva portato al successo quei titoli era tanto semplice, quanto geniale. I giocatori, abituati a impersonare grandi supereroi o cloni impazziti di Rambo, venivano stavolta immersi in una totale situazione di inadeguatezza. Protagonisti dal movimento legnoso e impacciato e con scarsità estrema di risorse, costretti ad affrontare nemici numerosi e pronti ad assalirci dietro ogni angolo in un’esperienza di sopravvivenza, dove ogni colpo poteva fare la differenza tra la vita e una penalizzante morte che costringeva a ripetere lunghissime sezioni di gioco. Era necessaria tantissima pazienza, talvolta bisognava resistere alla frustrazione, per essere rimasti senza munizioni o senza kit medici, o per non riuscire a risolvere un maledetto enigma apparentemente illogico o impossibile: ma in caso di riuscita, la sensazione di appagamento era tale da giustificare tutto lo sforzo impiegato.
-La stessa ambientazione di un tempo, rinnovata solo graficamente:
Un’ambientazione prevalentemente chiusa, quasi claustrofobica, che ricalchi quelle viste nei titoli originali nel complesso ma con qualche area aggiuntiva, nella quale trascinarsi alla ricerca di un oggetto, una chiave, una mappa, un codice. Il tutto condito da una dose bilanciata di backtracking: di quella necessità di tornare spessissimo sui propri passi alla ricerca di oggetti o per aprire porte precedentemente chiuse. Ciò portava a riattraversare, ancora e ancora, quel corridoio buio e stretto, oppure quell’area del cimitero che abbiamo a stento superato la prima volta, per andare a scoprire cosa si celava dietro quella porta sotterranea di cui abbiamo finalmente ottenuto la chiave. Insomma, persino i luoghi diventavano personaggi a sé stanti, e riuscivano a farsi odiare, o, più raramente, amare.
-Atmosfera evocativa e inquietante
Immaginate a cosa si potrebbe arrivare sfruttando al meglio le console di nuova generazione, lavorando non solo sul brutale lato tecnico, ma soprattutto sul fattore artistico: grandi silenzi rotti solo dal rumore dei propri passi, da lontani suoni stridenti di origine sconosciuta e da qualche occasionale salto sulla sedia provocato dal solito imprevedibile agguato dei nostri nemici. Un cane che abbaia, il vento che si scuote sugli alberi, una paura che c’è, ma non sempre si vede.
-Possibilità di scegliere la visuale e controlli migliorati (ma non stravolti)
Ebbene, una delle chiavi del successo dei primi Resident Evil era la telecamera fissa: inquadrature giostrate a regola d’arte, in grado di rendere ogni angolo potenzialmente terrificante. Anche il fatto di non riuscire, talvolta, a vedere dove si stesse andando, conferiva una tensione che cresceva man mano che ci si avvicinava al cambio di inquadratura, sempre improvviso. Ma è anche vero che questo rendeva il gameplay talvolta troppo macchinoso, probabilmente troppo obsoleto se riproposto in un titolo recente. Sarebbe davvero il top se si riuscisse ad integrare il vecchio e il nuovo dando la possibilità tanto ai nostalgici, quanto ai neofiti, di giocare secondo le proprie esigenze.
-Enigmi complessi e necessità di esplorazione
Tra i momenti più riusciti dei survival horror troviamo di sicuro la realizzazione degli enigmi. Spesso, prima di poter anche tentare di risolverli, era necessario esplorare tutta la mappa di gioco, alla ricerca di chiavi, frammenti, statue, che andassero a completare o attivare un congegno. E’ questo che cerchiamo, non una rarissima chiave (talmente rara da apparire e restare sullo schermo dopo la raccolta) in grado di aprire l’unica porta chiusa della sezione (come visto negli ultimi capitoli). Insomma, Resident Evil 2 era pieno zeppo di situazioni geniali sotto questo aspetto: basta riprenderle e riadattarle. Leggermente, però.
-Storia ancora più approfondita e nuovi contenuti
Riguardo a Resident Evil 2, la storia di Leon e Claire ha sicuramente molto da raccontare, sebbene Resident Evil non sia famoso per la qualità del suo storytelling. Sarebbe fantastico vederla approfondita, con nuove cutscenes, situazioni, nuove aree giocabili o punti di vista di altri personaggi: insomma, nuovi contenuti che però si mantengano strettamente (sottolineo, strettamente) in linea con il gameplay del resto del gioco.
NON vogliamo:
-Vagonate di munizioni e medikit
La tensione che si riusciva ad avvertire in passato, in molti titoli moderni, viene scaricata a suon di proiettili di mitra, estremamente abbondanti, o di armi ancora più devastanti, sempre ampiamente cariche di munizioni. Ma, anche nel remoto caso riuscissimo ad esaurirle, possiamo agevolmente trasformarci in Chuck Norris e abbattere orde di zombie a pugni e calci, condendo il tutto con qualche calcio rotante tanto per non farci mancare nulla. Ogni morso di Zombie deve essere una sciagura, non un graffietto al quale applicare un cerottino per poi proseguire indenni.
-I checkpoint
I checkpoint rappresentano un elemento essenziale in moltissimi giochi. Ma in Resident Evil, anche la loro assenza era elemento essenziale del level design, e contribuiva ad aumentare la tensione in caso venissimo inseguiti da un’orda di nemici dopo più di un’ora di gioco senza salvare. Si, quella rarità estrema di “nastro inchiostratore” che ci permetteva di salvare era uno degli elementi più frustranti, riusciti, e appaganti di quei capolavori. Forse oggi risulterebbe una meccanica frustrante, ma chi decide di imbarcarsi in una vera avventura nell’orrore, non può aspettarsi aiuti.
-I caricamenti delle porte
Okay, sono il marchio distintivo della serie. Un metodo geniale e riuscitissimo per nascondere i caricamenti delle varie aree, comprensibili e giustificabili in pieno nella scorsa decade. Ma oggi? Oggi non servono più a nulla. Mantenerli in un eventuale remake (come successo per Rebirth) non ha alcun senso: sarebbe piuttosto davvero esaltante un sistema di apertura delle porte come quello visto in Silent Hill: Downpour, dove è possibile aprire ogni porta lentamente, sbirciando, e correndo il rischio di vedere le proprie arterie saltare in aria. Avremmo cosi tensione senza spezzettare troppo l’area di gioco, e, soprattutto, il ritmo.
-Azione eccessiva
A tutti piacciono i film d’azione, andiamo al cinema a guardare gli Avengers e Mad Max con l’adrenalina nel sangue a ogni scena un pò overthetop. Ma questo non c’entra nulla con Resident Evil. Il sesto capitolo era strapieno di momenti hollywoodianamente spettacolari, con orde di nemici, pugni, calci, bam, bum eccetera. Ma se volete questo comprate Devil May Cry, non Resident Evil. Alcuni momenti cosi andrebbero benissimo, soprattutto in occasione delle boss fights, ma senza esagerare. Devono prevalere silenzio, tensione, paura.
-Puntatori a schermo che ci dicano dove andare
Vagare senza meta per la mappa può essere frustrante, è vero. Ma anche questo fa parte del gioco ed è uno dei segreti del grande successo dei primi Resident Evil. La mappa deve essere un compagno di viaggio fondamentale, chiaro e sempre a portata di mano. La sua mancanza nelle prime fasi di esplorazioni deve essere un grave fardello, vi ricordate i sospiri di sollievo quando finalmente riuscivamo a trovare la mappa di un’area? Tutto diventava finalmente chiaro.
E’ chiaro che agli autori di questo ormai probabile remake interessa molto la vostra opinione. Perciò, appassionati di Resident Evil, fate sentire la vostra voce! Quali sono le cose che vorreste, e quelle che non vorreste assolutamente, in un nuovo capitolo o in un remake?