A pochi giorni dal ritorno di Rainbow Six, dopo anni di assenza dalla scena, può essere utile fare il punto su una serie simbolo che un gioco in prima persona in cui si usano armi non deve essere per forza uno sparatutto.
Letteratura d’assalto
Prima di tutto Rainbow Six è un libro di Tom Clancy, uno di quei “mattoni” da 800 pagine, scorrevolissimi però, capaci di trascinare il lettore in una gincana d’azione molto più a fondo di quanto non riescano a fare parecchi film di genere.
All’epoca (1998) il terrorismo era ancora qualcosa di indefinito per gran parte dell’occidente e la trama mescolava organizzazioni pseudo-malthusiane con minacce globali e piani fantasiosi. Protagonista la squadra Arcobaleno (che deve il nome alla multi-nazionalità su cui si poggia mescolando i colori di ogni bandiera), composta dai migliori membri delle forze di intervento provenienti da ogni parte del mondo.
Il gioco venne svillupato da Red Storm Entertainment, studio che si specializzò nel realizzare le licenze tratte dai romanzi dello scrittore del Maryland.
L’impostazione era decisamente rivoluzionaria per un mercato PC che in quegli anni era dominato da Quake e la sua azione frenetica. Chi iniziava a giocare a Rainbow Six, senza aver ben capito cosa aveva tra le mani, finiva per raggiungere il suo record personale di “game over più rapido”: i nemici potevano abbattere i personaggi con pochissimi colpi e anche giocando con prudenza era necessario impostare le azioni del resto della squadra per potercela fare. Un cane sciolto, per quanto bravo, non poteva uccidere tutti i terroristi e salvare gli ostaggi da solo, bisognava dare una linea d’azione ai personaggi controllati dal computer, che riproduceva fedelmente le nostre direttive. Di conseguenza si passava diverso tempo consultando la mappa del livello successivo, in modo da decidere una strategia adatta a soddisfare gli obiettivi richiesti prima di buttarsi nell’azione. Mandare l’intera squadra allo sbaraglio attraverso il portone principale non era quindi una soluzione. Meglio invece dislocare i vari membri in punti sensibili e puntare a diversi obiettivi, puntando su livelli divisi tra una fase riflessiva e una dinamica.
Rainbow Six riceve una espansione intitolata Eagle Watch e un seguito, Rogue Spear, in cui si affrontano alcuni trafficanti di armi nucleari attraverso 18 missioni.
Il primo Rainbow Six attualmente è recuperabile su Playstation Network in formato PSone e sul portale GoG.com nella versione originale per PC.
John Clarke e Domingo Chavez
Nel 2003 esce Rainbow Six Raven Shield. Ubisoft era già entrata nello sviluppo come produttore affiancando gli studi di Montreal ai collaudati Red Storm.
La copertina mostra l’ormai famoso logo della serie “Tom Clancy’s” con l’icona del soldato che spara. La trama ricalca quella del romanzo omonimo, intersecando una minaccia terroristica odierna in sud-America con la fuga di due gerarchi dell’Ustascia croato alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
L’adattamento per console (uscito su Xbox, Ps2 e Gamecube) soffrì di parecchie limitazioni, come l’assenza di una schermata per la pianificazione pre-missione e l’impossibilità di utilizzare molteplici personaggi. Anche la trama era diversa e la possibilità di fornire ordini vocali tramite le cuffie della prima Xbox era ancora rudimentale, causando fraintendimenti nel distinguere i comandi per il lancio delle grante come “frag” (esplosivo) o “flash” (stordente) da parte dell’intelligenza artificiale. Un dettaglio non da poco data la natura del gioco. Tuttavia Rainbow Six 3 su Xbox ottenne un buon successo grazie alla modalità online, che giustificò il seguito esclusivo Black Arrow.
L’originale PC invece ricevette due espansioni: Athena Sword (sviluppata da Ubisoft Milano) e Iron Wrath. Raven Shield su Pc ottenne molteplici riconoscimenti per aver migliorato parecchio l’impostazione dei primi due capitoli.
Per questo non si riesce a capire come mai Red Storm rilasciò Lockdown nel 2005, virando bruscamente verso dinamiche sparatutto, azione serrata e dimenticando l’approccio ragionato e strategico che aveva convinto molti utenti. Le differenze tra console e computer questa volta erano decisamente altalenanti; la versione PC era meno lineare ma priva delle sezioni di cecchinaggio e di accenni alla trama, invece presenti su Xbox, Ps2 e Gamecube.
Basandosi sulle forti critiche ricevute, Red Storm firma nel 2006 Critical Hour per Xbox facendo una retromarcia e dando maggior spazio alla componente strategica. Il pubblico però ben ricorda la scottatura dell’anno precedente e le vendite di Critical Hour sono tali da cancellare l’edizione Europea e la conversione su Playstation 2.
CSI, fatti da parte
Dopo è il turno di Rainbow Six Vegas. Il titolo però aveva ben poco a che spartire con il meglio della serie visto che adottava la progressione lineare lungo i livelli corridoio (anziché una mappa delineata su cui progettare una incursione, rimuovendo persino la pianificazione pre-partita), il recupero del danno automatico e un sistema di coperture in terza persona, finendo per puntare su meccaniche pure da sparatutto e utilizzando solo pochi comandi per impartire ordini ai personaggi controllati dall’intelligenza artificiale. La trama viene semplificata e spesso portata avanti da misere finestrelle in sovrimpressione in maniera simile a come avviene in Titanfall.
Nel 2008 esce Vegas 2; la grafica migliora sensibilmente lasciandosi alle spalle quel senso di “gioco per ps2 o xbox in alta definizione” che ancora aleggiava su Vegas 1, ma il gioco rimane sostanzialmente invariato rispetto al predecessore. Da questo momento la serie viene messa in pausa.
Nota di colore: i due Vegas sfruttavano le telecamere interattive per Xbox360 e Playstation 3 permettendo di donare ad un personaggio le fattezze del giocatore (nel multigiocatore o nella campagna del 2).
L’assedio
Entro breve i giocatori potranno mettere le mani su Rainbow Six Siege e scoprire la nuova direzione intrapresa dalla serie. Tuttavia le prima impressioni sulla Beta già denotano come rimanga forte l’ancoraggio al genere sparatutto e di come mancando interamente la modalità per giocatore singolo, vengano a scarseggiare gli elementi chiave che avevano reso grande e così ricca di personalità la serie alle sue origini. Nonostante si noti un ritorno alle “mappe-obiettivo”, l’assenza di una campagna in singolo e la sola presenza di modalità in cui cooperare a gomito stretto con giocatori umani, non può che porre l’accento sull’azione. Se prima difatti Rainbow Six era uno strategico con un contorno di sparatutto, ora appare evidente il contrario: ovvero di come sia diventato uno sparatutto con contorno di strategia (e per giunta un contorno in porzione ridotta).