”I turni sono superati, bisogna creare giochi che sfruttano un sistema di combattimento in tempo reale come Final Fantasy XV!”
Da questo genere di affermazioni parte un’obiezione che trova come migliore esponente Persona 5, un prodotto cross-gen sviluppato da Atlus e di genere JRPG che, a distanza di un anno dal suo debutto in Europa e Nord America, si pone ancora come punto di riferimento a cui guardare nella produzione di titoli di stampo nipponico, molti dei quali tutt’oggi radicati alla formula di gioco di ruolo a turni.
Un’equazione valida al giorno d’oggi? O sarebbe meglio cedere il passo ad un gameplay in tempo reale, senza alcuna restrizione di ogni sorta in termini di movimento?
Se si dovesse scegliere tra rinnegare le proprie radici di saga JRPG in favore di un comparto tecnico che punta tutto ad un’esperienza in tempo reale, la mia risposta sarebbe: ”Perché invece non spremere le meningi per formulare un’esperienza ruolistica innovativa e dall’appeal accattivante?”; qualcosa che Persona 5 è riuscito perfettamente a rappresentare senza stravolgere le proprie origini.
E senza neppure seguire la moda delle tanto discusse microtransazioni.
Atlus ha dimostrato come un titolo indirizzato ad un pubblico di nicchia, senza troppe pretese e promesse spesso inesaudibili, sia in grado di raggiungere la ragguardevole cifra di 2 milioni di copie distribuite in tutto il mondo. Una cifra sicuramente irrisoria per gli utenti che guardano al modello dei Tripla-A per decretare se un gioco sia un successo commerciale ed automaticamente etichettarlo ”di qualità”, eppure così essenziale da portare Atlus nel credere ancora di più nel pubblico occidentale. E questi ultimi, a sua volta, nel porre fiducia nelle capacità dello studio di sviluppo.
I JRPG sono superati? Persona 5 vi dà dimostrazione tutt’oggi dell’esatto opposto
Persona 5 non ha rinunciato alla tradizione portata avanti sin dal primo – e poco apprezzato – capitolo, né tantomeno ha puntato nel sconvolgere determinati meccanismi di gameplay come l’utilizzo di esseri sovrannaturali definiti Persona al fine di schiacciare il nemico.
Alla fin fine, è bastato un marcato rinnovamento grafico e di animazione sulla scia di Catherine (un’ulteriore IP di Atlus), una storia solida e sempre in grado di destare interesse nelle sue 70-90 ore di gioco, ed elementi di interazione quali i Confidants (precedentemente conosciuti come Social Link), a confezionare un pacchetto prestigioso con l’etichetta ”JRPG”.
Una serie che ha acquisito nuova linfa vitale con Persona 3
In realtà, l’operazione di svecchiamento effettuata da Persona 5 non è che la seconda grande innovazione all’interno della serie: prima dell’ottimo capitolo in questione, Persona 3 è riuscito nell’impresa di salvare dal più totale fallimento un’IP dalle grandi potenzialità, mai espresse adeguatamente a causa dei limiti tecnici della console PlayStation One, su cui debuttarono rispettivamente il primo Persona ed il secondo.
Entrambi portavoce di una narrazione composta da elementi accattivanti, quali ad esempio l’ambientazione scolastica e studenti in età adolescenziale incapaci di affrontare i problemi che puntualmente riserva la vita, se non effettuando un’attenta analisi diretta verso se stessi per poi scoprire che il peggior nemico, la causa delle loro sofferenze, è spesso proprio un’immagine distorta della propria persona. L’incapacità di accettare se stessi per ciò che si è.
Da questa formula, portata avanti in tutti e cinque i capitoli principali della serie, si dirama una trama che coinvolge al proprio interno figure mitologiche tratte dalla tradizione romana, greca e asiatica sottoforma dei sopraccitati Persona, ”l’altro sé combattivo che nasce da un sentimento di accettazione nei propri confronti”, elementi fantasy che catapultano il giocatore in un mondo apparentemente lontano ma sempre connesso da una dimensione vicina all’inconscio con tanto di boss battle e dungeon ricchi di nemici (forse anche troppo nel caso dei primi due capitoli)…
Di fatto, Persona 3 arricchisce tutto ciò di un ingrediente vincente che con la seconda iterazione trovò un abbozzo molto approssimativo: i Social Link. La saga ruolistica di Atlus diventa così un simulatore di vita quotidiana, in cui all’utente è concessa la possibilità – dopo varie escursioni in dungeon o ”palazzi mentali” – di frequentare e approfondire la propria relazione con un personaggio a propria discrezione, che sia parte integrante del party o totalmente secondario.
Ma non è la meccanica in sé alla fine a contribuire nel rendere Persona un JRPG solido in termini di storia e intrattenimento: senza dialoghi studiati adeguatamente, sarebbe impossibile affezionarsi al cast proposto in ciascun capitolo. La sceneggiatura, dunque, ha sicuramente segnato un passo decisivo in questo contesto, regalando personaggi unici, così vicini a noi e alla società in cui viviamo da portarci non solo ad amarli nei loro difetti e nei loro pregi, ma anche a vederli quasi ”respirare” aldilà dello schermo.
A conti fatti, pur mantenendo la più classica formula JRPG in termini di gameplay, è sempre possibile offrire al mondo un prodotto videoludico che rimanga all’interno del proprio cuore.
Perché anche gli occidentali sono in grado di apprezzare un prodotto giapponese senza necessariamente approdare nei lidi già ampiamente esplorati dell’action-RPG.
E’ anzi più ostico proporre un gioco di ruolo a turni che sappia, come Persona 5, appassionare da cima a fondo nella sua longeva avventura.
Il giorno in cui vedremo un’opera all’altezza dell’ultima fatica del director Katsura Hashino non è mai troppo vicino.