Qualche settimana fa ho pubblicato un episodio della rubrica Allarme Spoiler dedicato a Life Is Strange 2, un articolo dove andavo ad esaminare gli eventi del gioco ed in particolare quelli narrati nell’ultimo capitolo: durante la prima stesura mi sono soffermato a riflettere sul finale del gioco e sulle loro scelte che hanno portato i due protagonisti fino a quel punto. Tale riflessione mi ha spinto ad interrogarmi sui giochi ad episodi, forma di distribuzione che ormai è stata ampiamente sdoganata anche su console e PC, e se essi presentino delle caratteristiche che all’alba del 2020 possono fortemente limitare o influenzare lo sviluppo di un gioco, specie dal punto di vista narrativo. La domanda che mi sono posto e che vi pongo è una conseguenza di questa mia riflessione: ha ancora senso realizzare giochi ad episodi?
In realtà in Life Is Strange 2 il vero problema del gioco non è di certo la suddivisione in episodi, quanto la scrittura lacunosa e poco credibile della trama e dei personaggi, specialmente di Sean le cui decisioni portano i due fratelli a cacciarsi in situazioni probabilmente evitabili se solo il ragazzo si fosse fermato un secondo a riflettere, il tutto contornato da personaggi improbabili la cui caratterizzazione si fonda su stereotipi. Tuttavia, giocando all’avventura di Dontnod Entertaiment si percepisce come la sua suddivisione in cinque episodi abbia influito sulla narrazione del gioco, sui suoi tempi e sui suoi ritmi. Chiariamo prima quello che si intende con gioco ad episodi per quelle tre presone che non sappiano cosa sia: un gioco può essere così definito quando il prodotto complessivo è suddiviso in diverse parti il cui rilascio è distribuito in un arco temporale definito, spesso con una certa cadenza fra un episodio e l’altro. Non si tratta quindi di giochi completi facenti parte di un unica saga che proseguono un preciso arco narrativo né prodotti che nel tempo ricevono espansioni e DLC, ma di giochi che vedono la conclusione dell’arco narrativo principale solo al termine dell’ultimo episodio, come se fossimo di fronte ad una serie televisiva. Di giochi ad episodi ne abbiamo esempi fin dagli anni ’80 con declinazioni differenti da quelle che conosciamo adesso, ma uno dei prodotti più avanguardistici fu Wing Commander: Secret Ops che a fine anni ’90 fu distribuito gratuitamente in episodi rilasciati a cadenza regolare su internet. Chi però ha sdoganato la distribuzione episodica al punto da essere stato per anni associato a questo sistema è indubbiamete l’ormai defunta Telltale Games: lo studio californiano ha cominciato a lavorare su giochi su licenza rilasciati ad episodi sin dal 2005 con titoli basati su brand come CSI, Sam & Max, Monkey Island e Ritorno al Futuro, ma è solo con l’uscita dell’ormai celeberrimo The Walking Dead che lo studio assunse una certa notorietà e visibilità. La formula ad episodi ha sicuramente portato dei vantaggi nel corso della scorsa decade per le aziende che la adottavano da un punto di vista sia economico (spesso gli introiti dei singoli episodi servivano a finanziare la realizzazione di quelli successivi), sia delle condizioni di lavoro (un carico di lavoro distribuito nel tempo può essere d’aiuto nella riduzione dei cosidetti crunch time), sia qualitativo (il feedback della community può consentire agli sviluppatori di migliorare il proprio prodotto). Come ogni cosa però ci sono i pro ed i contro e quando ci si pone l’obiettivo di suddividere in episodi un gioco od una trama che poco si adattano a questa formula, capita che i contro sovrastino i pro.
Come già detto Life Is Strange 2 ha problemi molto più grandi, ma anche la sua formula di distribuzione ha influenzato la sua creazione, dimostrandosi un ostacolo sia nella fase di stesura della trama che nello sviluppo del suo gameplay. Essendo suddiviso in più parti, un gioco ad episodi deve saper catturare l’attenzione del giocatore sin dalle prime fasi, non può permettersi uno sviluppo definito da un ritmo lento perché il consumatore deve sentirsi invogliato nello spendere i suoi sudati risparmi negli episodi successivi: ecco che quindi l’apertura deve essere d’impatto, magari generando sin da subito una situazione di forte legame emotivo fra l’avatar ed il giocatore, oppure chiudendo l’episodio con un cliffhanger. Il problema è quando questa tecnica narrativa viene spesso reiterata in tutti gli episodi, creando non solo intere sequenze riempitive di nulla cosmico che improvvisamente esplodono in una scena del tutto fuori contesto, ma molto spesso si ricerca un risvolto nella trama forzoso, incoerente con quanto narrato fino a quel punto oppure anche coerente ma mal introdotto nel contesto narrativo del gioco. In molte recensioni che ho scritto di giochi ad episodi, arrivati al secondo o terzo episodio cominciavo ad utilizzare delle formule standard come “la trama fatica a decollare, ma il finale fa ben sperare per il futuro”, oppure “questo è un episodio di passaggio, di assestamento, dove si definiscono i personaggi”, facendomi capire quanto le strutture narrative di questi giochi si assomiglino fra di loro: il primo episodio deve essere impattante e per questo motivo non ha tempo per dedicarlo ai personaggi che vengono descritti solo tramite i loro tratti basilari per poter dare loro una contestualizzazione. Il dover cercare a tutti i costi un colpo di scena ad ogni episodio che riavvivino l’attenzione del giocatore ci ha negli anni abituati ad una struttura narrativa dell’episodio molto simile da un gioco all’altro, dalla quale è anche difficile separarsi. Tornando sempre su Life Is Strange 2, un altro suo problema è l’uniformità del gameplay fra un episodio e l’altro: rispetto al capitolo con Max e Chloe, nella coppia Sean e Daniel i poteri sovrannaturali non sono detenuti dal fratello controllato dal giocatore ma dal suo fratello minore, pertanto si è dovuto trovare un nodo per sopperire alla mancanza di un elemento di gameplay che desse originalità al titolo: nel primo episodio pareva che questo elemento potesse essere la gestione dell’inventario e soprattutto del denaro in possesso di Sean, caratteristica che nella recensione di Roads descrissi come interessante in quanto avrebbe potuto influire sulle possibilità a nostra disposizione nel corso dell’avventura e più in là con il tempo sarebbe potuto essere addirittura un aspetto cruciale considerando il lungo viaggio che i due fratelli avrebbero dovuto affrontare: ecco, peccato che tutte queste belle premesse siano state vane dato che ad un certo punto gli sviluppatori si sono dimenticati di questa meccanica, togliendo l’unico aspetto che non solo differenziava Life Is Strange 2 dal precedente capitolo e soppiantava l’assenza di poteri di Sean, ma anche dalle altre avventure appartenenti a allo stesso genere. In un gioco “normale” comunemente incontriamo una coerenza nella struttura del gameplay dall’inizio alla fine e le variazioni in esso che di solito incontriamo tendono ad aumentare il ventaglio di opzioni a nostra disposizione, non a ridurlo. Il tutto perché le esigenze narrative non lasciano spazio ad una meccanica che il gioco stesso aveva introdotto in passato, dando la sensazione di avere di fronte un semplice elemento riempitivo che serviva ad allungare il brodo in quegli episodi. In tutto ciò diventa anche difficile per la stampa dare una valutazione, per noi che recensiamo i giochi e cerchiamo di indirizzare l’acquirente verso i prodotti che possono essere di suo gradimento perché ormai un gioco ad episodi mostra la sua reale natura non al momento dell’uscita della prima parte ma più in là nel tempo e questo può significare anche mesi dopo (per fare sempre un esempio con Life Is Strange 2, il primo episodio è del settembre 2018 mentre l’ultimo è uscito a dicembre 2019). Per farsi un’idea di un gioco story-driven è necessario avere una visione completa della trama e dei personaggi e lavorare sul materiale disponibile di volta in volta, ovvero un paio di ore di filmati e gameplay, diventa come recensire una serie TV senza aver visto il finale di stagione, o un album avendo ascoltato solo il singolo promozionale: lo puoi anche fare, però senza avere la pretesa di dare un giudizio complessivo, di sapere già dove si andrà a parare. Ed è così che dopo aver finito la prima parte, cominciamo a notare i difetti del gioco che si consolidano episodio dopo episodio, ma in maniera ottimistica ci ripetiamo che non è finita lì, che quello dopo potrebbe essere migliore, che le basi ci sono e basta solo svilupparle: ecco quindi che il gioco illude noi redattori, noi illudiamo voi utenti e tutto rimane invariato. Nel frattempo Telltale Games ha chiuso a causa delle scarse vendite degli ultimi giochi prodotti dal team californiano, sintomo del fatto che questo sistema di distribuzione non sempre paga e che l’utenza ha evidentemente perso interesse per i loro prodotti che per anni hanno fatto fatica a rinnovarsi sia in termini di contenuti che di distribuzione; nonostante questo Dontnod Entertainment ha già confermato che i suoi prossimi due titoli, ovvero Twin Mirror e Tell Me Why (rispettivamente prodotti da Bandai Namco e Xbox Game Studios) saranno giochi composti da tre episodi ciascuno. La sicurezza economica data dalla presenza di publisher così forti alle spalle dovrebbe permettere allo studio di realizzare e distribuire dei giochi che possano essere completi sin dal loro rilascio, perciò è evidente che la suddivisione in episodi sia adottata più come marchio di fabbrica e richiamo a Life Is Strange che come una vera necessità, pertanto credo che continueremo a vedere reiterato questo metodo di distribuzione ancora per un po’.