Quando Satoru Iwata era ancora tra noi, poco prima del lancio di Project NX rivelatosi poi Nintendo Switch, parlò di un misterioso progetto che coinvolgeva la “quality of life”. Non si seppe più nulla, complice la morte prematura del buon presidente ed il lancio della nuova console ibrida. Oggi sappiamo che probabilmente quel progetto era proprio Nintendo Labo, la nuova serie di periferiche esterne (chiamiamole così) concepite dalla casa di Kyoto per supportare in modo interattivo, creativo ed alternativo titoli specificamente pensati. Non mi soffermerò a scrivere quanto Nintendo sia geniale, quanto sia alternativa ed altre sbrodolate del genere: se date un’occhiata ai social network oggi avrete molto materiale sul quale sbizzarrirvi. Voglio invece fare un’analisi più approfondita del concept messo in campo da Kimishima, Miyamoto e soci.
Parlo del buon Shigeru proprio perchè la mia attenzione è stata catturata da qualcosa che credevo morto e sepolto ancor prima di essere rilasciato: nel 2014, in piena epoca Wii U, venne rivelato Project Giant Robot. Un gioco in cui ci si doveva muovere reggendo il “paddone” e, tramite i movimenti di busto e braccia, demolire palazzi nei panni di un robottone simil-giocattolo. Anche questa particolare idea si perse nei meandri degli annunci videoludici e proprio come la famosa piattaforma per la “quality of life” venne presto dimenticata. Oggi scopriamo che la grande N non lascia nulla in soffitta e quando meno ce l’aspettiamo i titoli e le idee appena abbozzate tornano alla carica in un formato del tutto nuovo. Il cartone? Sulla rete scorrono due fiumi paralleli l’uno all’altro: chi pensa che sia un’idea geniale e chi pensa sia una schifezza indegna vendere pezzi di cartone a 60 euro. Ovviamente si stende un velo pietoso sui fan accaniti che venerano sempre e comunque qualunque cosa esca dalle porte della casa di Kyoto a prescindere: l’idea è rischiosa, innovativa e molto particolare ma potrebbe fallire miseramente. Oppure potrebbe essere un grande successo, al contrario di quanto sostengono i vari esperti di marketing che abbiamo avuto modo di leggere sui social network e che, probabilmente, da soli non riuscirebbero a vendere nemmeno ghiaccio nel deserto.
Nintendo ha rotto nel scatole nel senso più buono del termine: ha rotto gli schemi (un’altra volta, alla faccia di chi “Nintendo fa sempre le stesse cose”) nell’epoca del 4K e della VR dimostrando che si può mescolare qualcosa di innovativo come una console ibrida con qualcosa di vecchio e tradizionale come il cartone. Non è un segreto che la grande N abbia questa fascinazione continuativa per carta e derivati: basti pensare ai vari Paper Mario per capire quanto la carta sia considerata una sorta di elemento dal quale possono nascere svariati oggetti ed esperienze. Nintendo ha rotto le scatole nel senso più strano del termine: si parla di fotorealismo e questi se ne escono con kit di cartone a 60-70 euro al pezzo? Sono impazziti? Forse vi siete scordati del fatto che non vi stanno vendendo il cartone (ovviamente) ma il gioco contenuto nel kit e specificamente pensato per sfruttare al massimo il gimmick cartonato associato. Molti scrivono fesserie come “che senso ha comprare quei kit quando posso replicare la stessa cosa a casa mia con il cartone di recupero?”. Lasciate che vi spieghi una cosa: durante la presentazione mi sono chiesto semplicemente come fosse possibile che un piccolo pianoforte di cartone assemblato potesse interagire con una console switch appoggiata sopra.
E’ presto detto: i joy-con sono dotati di sensori ad infrarossi 360°, HD rumble, giroscopio, accelerometro eccetera. Questi elementi permettono alla console di “sentire” i movimenti, le rotazioni e di quantificare lo “spazio vuoto” all’interno di uno specifico raggio: tramite queste informazioni la console riconosce il comando ed agisce di conseguenza. I vari Einstein del cartone fatto in casa riescono a capire che ci vuole studio e pianificazione ingegneristica per sfornare un supporto cartonato da montare che riesca ad interagire con uno strumento digitale? Poi è logico che con il tempo arriveranno i fanatici (li invidio già, lo ammetto) che modificheranno i kit base per farsi l’armatura di Optimus Prime e poter giocare a Project Giant Robot dentro un’armatura in vetroresina full customizzata: Nintendo non sta vendendo il cartone, sta vendendo un’idea associata ad un prodotto digitale. Chiunque pensi che si sta piazzando a suon di moneta del normalissimo cartone semplicemente non ha capito niente. L’unica vera incognita è la qualità media dei giochi allegati ai kit: si parla appunto di 60-70 euro come dicevamo ma per giustificare un prezzo simile è logico aspettarsi titoli di qualità almeno sufficiente che sfruttino a dovere l’esperienza unica offerta da Nintendo Labo. Certamente ci si può aspettare molto dal gioco di Miyamoto, mentre per gli altri la speranza è di non incappare in una serie di minigiochi della durata calcolabile in decine di minuti. Se Nintendo sarà in grado di raccogliere questa sfida, magari proponendo titoli divertenti come la raccolta Piazza Streetpass per 3DS, allora le preoccupazioni svaniranno rapidamente.
E’ un periodo strano nell’industria videoludica: molte cose cambiano, altre sono già cambiate, la fanbase è asserragliata su posizioni che rasentano la tifoseria più becera. Nintendo, la grande vecchia, continua imperterrita ed inamovibile sulla sua strada originale: tentare approcci diversi che trasformino in continuazione il videogioco. A volte si sbaglia, si può fallire e prendere la deviazione sbagliata ma fa parte del gioco dopotutto. E la grande N non si è dimenticata di questo importante fatto: fa parte del “gioco”, il “gioco” si fa duro ed i duri iniziano a “giocare”. Giochiamo insieme, e lasciamo stare le divisioni che ci portano a detestarci solo perchè abbiamo il marchio diverso sulla console. Giochiamo.