!!! ATTENZIONE: l’articolo NON contiene alcuno spoiler sulla trama. Leggetelo tranquillamente anche se non conoscete la saga.
Ormai manca davvero poco. Voi appassionati lo sapete bene, state certamente contando giorni, ore e minuti. Ancora non è del tutto chiaro cosa stia succedendo tra Hideo Kojima e Konami, se c’è qualcosa sotto o se è stato ancora una volta il vile denaro a far incrinare i rapporti. Ma, nonostante tutto, Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è in arrivo nei nostri negozi con moltissime novità nel gameplay e a livello tecnico. Ma è davvero questo il motivo per cui noi fan lo aspettiamo cosi disperatamente? Probabilmente no. L’attesa per un nuovo Metal Gear è qualcosa di diverso, di appassionato, di difficile da sopportare. La trama che si snoda tra i diversi capitoli è talmente profonda da essere suscettibile di discussioni, ipotesi, teorie, speranze.
E’ assolutamente doveroso partire con una premessa. Queste righe saranno lette in maniera molto diversa da chi conosce la saga e da chi invece l’ha sempre ignorata, magari scoraggiato dalla pessima operazione commerciale che ha circondato il lancio di Ground Zeroes. Se non siete appassionati di Metal Gear (che da ora abbrevieremo in MGS) magari potrete provare a capire cosa vi siete persi. Se siete appassionati, beh, molte cose le sapete già.
A Hideo Kojima Game
Ciò che rende speciale la saga va strettamente rapportato con il periodo in cui sono usciti i vari capitoli. E’ chiaro che giocare oggi a questi titoli può essere non proprio agevole per i giocatori più smaliziati,per ovvi limiti grafici e per alcune meccaniche ormai obsolete. Ma ciò che è fondamentale è che molte delle caratteristiche dei giochi di oggi non si sarebbero mai viste in un videogame, se non fosse esistito MGS. La vera genialità del maestro Kojima è rinvenibile proprio nel fatto di aver anticipato di moltissimi anni quegli elementi che hanno portato al successo molti titoli successivi.
Chi vi scrive ha vissuto la saga in quello che credo sia il miglior modo possibile. Nell’ormai lontano 1999, già qualche anno dopo l’uscita, mi avvicinavo titubante a quel titolo dai toni seri e oscuri che era Metal Gear Solid, per la beneamata Playstation. Un doppiaggio italiano di qualità sufficiente rendeva il gioco più fruibile per un ragazzino e accompagnava in quello che sarebbe stato l’inizio di un grande viaggio. L’isola di Shadow Moses faceva da sfondo alla storia di Solid Snake, intento a cercare di sventare una minaccia nucleare senza sapere di trovarsi nel mezzo di qualcosa di enormemente più grande di lui. Tra boss estremamente caratterizzati, momenti imprevedibili e un’atmosfera impareggiabile, MGS1 dava finalmente alla serie il risalto che meritava, dopo i primi capitoli su MSX e NES.
Poi arrivò MGS2, forse il capitolo dalla trama più contorta, ma assolutamente il più sbalorditivo a livello tecnico. Credo che sia condivisibile affermare che il salto generazionale più evidente che si sia mai visto a livello tecnico è proprio quello tra MGS1 e MGS2, rispettivamente su Playstation e Playstation 2. Una magnificenza estrema, con una distruttibilità degli ambienti senza precedenti e con ogni oggetto dell’ambiente che reagiva in modo credibile alle nostre azioni. Molti titoli di oggi non hanno ancora raggiunto quel livello: sparare ad uno schermo al plasma e vedere l’immagine svanire gradualmente; colpire una bottiglia di liquore e vedere il contenuto versarsi gradualmente sul tavolo; oppure sparare ad un’anguria, a un contenitore di farina, a un piatto, e vedere ognuno di essi creare un effetto diverso.Era più di 10 anni fa, e c’era più distruttibilità che in un qualsiasi Call of Duty recente. Il tutto a 60 FPS.
Ma fu MGS3 ad aprire il cuore dei fan, grazie ad una trama estremamente coinvolgente e commovente e ad un gameplay che comunque presentava diversi aspetti ambiziosi, come un sistema di cura variegato, di mimetiche intercambiabili e di nutrimento del protagonista. La successiva versione Subsistence migliorava nettamente il titolo grazie ad una telecamera completamente ruotabile per la prima volta nella storia della saga. Il carisma dei personaggi e la profondità della trama rendevano la prima apparizione di Big Boss uno dei titoli migliori di sempre.
MGS4, infine, fu un lampante esempio di totale fanservice: cutscene lunghissime e ritmi da serie tv accompagnavano il giocatore a chiarire ogni singolo punto oscuro della trama, giunta ormai al suo capitolo conclusivo. Il tutto con una giocabilità interessante e comunque ricca di armi,gadget e novità, e la solita serie di tocchi di classe disseminati lungo tutto il gioco.
Storytelling before it was mainstream
Ebbene, prima di questi titoli, in particolare di MGS1, non si era mai visto nulla del genere. Una opening cinematografica, accompagnata da filmati di briefing piuttosto lunghi che davano al gioco anche un preciso background storico, ci mostrava per la prima volta dove i videogame potevano arrivare. Una storia adulta, complessa, stratificata e colma di personaggi carismatici si lasciava contornare da un gameplay diverso dal solito spara-spara, dove l’azione doveva talvolta lasciar spazio al ragionamento, alla calma, e al sapiente utilizzo degli svariati gadget a nostra disposizione. Chicche come le guardie che si accorgevano delle impronte sulla neve (o delle ombre in MGS2) o l’iconica possibilità di nascondersi in scatole di cartone erano solo alcune delle caratteristiche che rendevano MGS un titolo unico.
E poi c’era Solid Snake. Non un eroe senza macchia nè paura, ma un soldato forgiato dalla battaglia e inseguito dai fantasmi del proprio passato. L’azione era spesso interrotta da lunghe chiamate in codec, che oggi apparirebbero inadatte in qualsiasi titolo contemporaneo perchè spezzavano troppo l’azione. Ma questo era espressione di una volontà precisa, di un modo di raccontare rimasto quasi inalterato anche nei titoli successivi: il gioco ti avvolgeva gradualmente, senza fartene rendere conto, ti lasciava conoscere i personaggi a fondo e te li faceva odiare o amare. A momenti di calma erano alternate boss fight esaltanti.
This is no trick, this is true power
E poi, per la primissima volta, abbiamo avuto l’impressione che il gioco stesse interagendo con noi in modo diretto: mi riferisco ovviamente a Psycho Mantis. Da molti ritenuta una delle migliori boss fight della storia, la battaglia riusciva per la prima volta a dare l’illusione che il gioco ci conoscesse. Il telepate di FOXHOUND poteva analizzare le nostre statistiche di gioco fino a quel momento, poteva “muovere” il nostro pad facendo sapiente uso della vibrazione, poteva leggere i nostri salvataggi sulla Memory Card e addirittura oscurare i nostri schermi per qualche secondo. Apparentemente non esisteva alcun modo di sconfiggerlo, dato che poteva effettivamente leggere ogni nostro pensiero. Come fare a batterlo ormai probabilmente lo sapete tutti,e, per chi non lo sapesse e proverà il titolo adesso, beh, chiamate più volte disperatamente il Colonnello Campbell, ve lo dirà lui.
Accanto a Mantis, altre boss fight epiche sono marchio di fabbrica della saga di Kojima. Ricordiamo ovviamente Sniper Wolf, Gray Fox, il Metal Gear Rex e lo scontro con il Ray in MGS4, il Peace Walker, the Sorrow, i finali di MGS3, di MGS4 che non nominerò per evitare ogni possibile spoiler. Più ne scrivo e più me ne vengono in mente. Dovrei scriverle praticamente tutte, perche ognuna di queste aveva una sua peculiarità, una particolare strategia per vincere o un tocco di carisma che le rendeva tutte uniche e memorabili. Ma, tra tutti, dobbiamo assolutamente nominare lo scontro più epico, logorante (specialmente a difficoltà alta) e concettualmente interessante: The End. Il cecchino dei cobra in MGS3 dava vita con voi a un conflitto di posizione, dove pedinamento, interazione con l’ambiente e capacità di osservazione erano fondamentali per vincere. Uno scontro che poteva durare ore, e che poteva essere risolto in modi diversi. Insomma, in quale altro titolo il nemico può morire di vecchiaia se non giocate per 7 giorni dall’inizio della boss fight? È impossibile elencare tutte le chicche del genere che la saga sa regalare.
Accanto a ciò, troviamo altri esempi di interazione mai visti in precedenza. Molti di voi certamente ricorderanno una caratteristica di MGS1 che ai tempi poteva essere il perfetto meccanismo anti-pirateria, senza il nostro beneamato Google e, forse, senza neanche una connessione in casa. Ad un determinato punto del gioco era necessario inserire una frequenza nel proprio codec. Dove trovarla? Sulla copertina del proprio CD, ovviamente originale. Immaginate quanti saranno impazziti nel tentativo di ottenere questa frequenza dopo aver acquistato una copia pirata?
La fuga dalle prigioni (che troviamo in MGS1, MGS2 e MGS: Portable Ops): in ognuna di queste ci sono lampi di genio che non vogliamo assolutamente anticiparvi. Vi basti sapere che in una fuga c’entra del ketchup, in un’altra un fantasma che ben conosciamo con un codice in mano…e se non riuscivamo a scappare, ci aspettava la tortura: dovevamo resistere ad un elettroshock con una vera e propria prova di resistenza fisica, ardua sia per noi che per il nostro joystick. E, per una delle primissime volte in un videogioco, potevamo scegliere di arrenderci creando grossi cambiamenti nella trama. Giochi come Mass Effect e The Witcher hanno fatto di questo elemento il loro punto di forza, ebbene, MGS ci era arrivato più di 10 anni prima. Anche scene di inseguimento in auto tipiche di titoli come Uncharted, dove è necessario aprirsi la strada sparando: le avevamo già viste in MGS. A tutto ciò si aggiungevano plot twist improvvisi, rivelazioni inaspettate, e momenti estremamente commoventi. Ma, accanto ad una trama complessa e oscura, arrivavano momenti di humor e easter egg a non finire che riuscivano brillantemente ad allentare la tensione.
La colonna sonora era uno degli elementi più importanti: cosi ben fatta, unica e coinvolgente, da rendere determinate scene qualitativamente superiori a molti film Hollywoodiani blasonati. Tracce uniche come “The Best is Yet to Come”, “Snake Eater” o “Father and Son”, per dirne solo alcune,sono assolutamente fantastiche. Cosi come la recitazione nel doppiaggio originale. Un mondo a parte, chiuso e meraviglioso, in grado di coinvolgere e stupire, e di lasciare sensazioni forti anche dopo aver smesso di giocare.
E poi, i veri punti di forza di tutta la produzione: la trama, i dialoghi e la regia.
A Game of Snakes
MGS è il videogame che ha saputo superare il limite, quel confine intangibile tra videogame e produzione cinematografica o televisiva. Ha introdotto nel media ludico un sistema di regia, inquadrature, plot twist e situazioni che mai si erano visti prima in questo spesso sottovalutato media.
E’ davvero molto difficile mantenere sintetica una descrizione delle trama di MGS. Cosi piena di avvenimenti, di sfaccettature, di momenti speciali e interpretabili in modi diversissimi. Ma, volendo riassumere il più possibile, possiamo dirvi che Metal Gear Solid è una storia di due uomini, Big Boss e Solid Snake, destinati a contribuire indirettamente alla rovina del mondo, e a salvarlo.
Si può solo tentare un estrema sintesi per capirne quantomeno le tematiche, ma… ecco, MGS tocca un numero spropositato di tematiche.
È prima di tutto una storia di ideali, dove uomini si affrontano per dare all’umanità un futuro diverso. Dove il bene e il male non sono mai concetti assoluti, ma cambiano con i tempi: il bene di oggi può essere il male di domani (si, avrete certamente colto la citazione a The Boss in MGS3).
È una storia di amicizia, dove lealtà e coraggio si intrecciano sul campo di battaglia. È una storia d’amore, di quelli più profondi, che vanno ben oltre il semplice legame tra uomo e donna: il legame tra un genitore e un figlio, tra un mentore e il suo allievo, tra un ricordo e un sentimento che questo ti fa provare.
È una storia di intrighi, inganni, guerra e politica: nulla è come sembra, e i personaggi principali, Ocelot su tutti, non lasciano mai intendere del tutto le loro vere intenzioni. Esse sono un vero e proprio enigma che ti accompagna per ogni momento di gioco, spingendoti a guardare oltre quello che l’occhio può vedere.
È una storia di attualità, dove minacce nucleari, terrorismo e razzismo allontanano i popoli gettando ombra sul destino del mondo.
È una storia di tantissime storie, perchè ogni personaggio ha un trascorso lungo e travagliato che lo ha portato li, dove la trama ci permette di conoscerlo. Bambini soldato, uomini strappati dalla loro patria e dalla loro famiglia: per vendetta, per denaro, per sadismo o per lealtà, tutti combattono per una motivazione forte.
È una storia di tecnologia e fantascienza, prese e mixate per creare un universo dove tutto è possibile e tutto può sorprendere in ogni momento, dove enormi robot bipedi, telepati e cyborg ninja potranno sbarrarci la strada.
È una storia di cultura e citazioni, dove la fantasia si intreccia coerentemente con eventi storici reali, mentre easter eggs e riferimenti continui intrattengono e rilassano.
È la storia di due uomini, padre e figlio, legati non solo da un gioco della genetica ma anche dallo stesso destino: rendere il mondo veramente libero.
Ma una pioggia così consistente di parole non può che fallire di fronte alla missione impossibile di far capire fino a che punto Metal Gear Solid può addentrarsi nel cuore di un giocatore. Si tratta davvero di uno di quei casi in cui l’unico modo per comprendere un’esperienza è viverla. Quando un gioco riesce a scatenare in te una miriade di emozioni contrastanti, di dubbi o addirittura di pentimento, quando riesce a farti davvero pesare il fatto di dover premere il grilletto, allora siamo di fronte ad un capolavoro.
Perché quindi aspettiamo The Phantom Pain? Perché sappiamo in cuor nostro che saremo stupiti ancora, Che avremo risposte a tante domande rimaste in sospeso, e vedremo con i nostri occhi situazioni ed eventi che finora abbiamo solo potuto immaginare, conoscendone sommariamente i racconti. E, perché no, anche il gameplay evoluto sembra essere in grado di realizzare il sogno del Metal Gear Solid più grande di sempre. 1 Settembre, arriviamo.