Ghostbusters è una pellicola che rappresenta al meglio la commedia d’avventura, quella dove spesso imprese mirabolanti si accompagnano da eroi dalla battuta facile. Ma quali sono state le incursioni degli acchiappatantasmi in ambito videoludico?
Da Gozer il Gozeriano a Vigo, Flagello della Carpazia
Nel 1984, in contemporanea con il debutto nelle sale, fu proprio la stessa Activision, che detiene i diritti oggi, a produrre il primo adattamento. Ghostbusters viene pubblicato per computer e successivamente raggiunge anche Atari 2600, Sega Master System e Nes. Lo sviluppo procedette di pari passo a quello del film, quasi sulla fiducia del successo che avrebbe riscosso al botteghino, permettendo a David Crane di completare il gioco poco dopo il termine delle riprese, scrivendo parte del codice in sole sei settimane anche grazie al riutilizzo di un progetto rimasto incompiuto (Car Wars).
Secondo l’uso dell’epoca le versioni successive per console presentavano diverse differenze tra loro: quella per Master System (1987) aveva un livello a piedi inedito, mentre quella per Nintendo girava su una risoluzione grafica minore ma aumentava nettamente il livello di difficoltà. Questo però non bastò a salvare dalle critiche l’edizione per Nes, considerata la peggiore a causa dei controlli.
Negli anni 80 Data East era una delle reginette delle sale giochi. I suoi cabinati erano diffusi in tutto il mondo e l’uso di una licenza rappresentava la ciliegina sulla torta di titoli ben confezionati, frutto di un’esperienza nel settore consolidata, che teoricamente, neanche avrebbe avuto bisogno del traino di un marchio celebre per guadagnarsi il successo commerciale. Ma un pò di pubblicità in più non guasta e sfruttando il richiamo della serie animata che stava imperversando sui televisori di mezzo mondo, lo studio nipponico pubblica nel 1987 The Real Ghostbusters. Si trattava in realtà di Labyrinth Hunter G, un gioco completamente diverso. Data East lo rimaneggiò allungandolo di un paio di livelli, aggiungendo una sequenza finale, modificano gli sprite per introdurre elementi riconducibili agli acchiappafantasmi, portando la cooperativa sino a tre giocatori e cambiando il tema principale con una versione al sintetizzatore del tema di Ray Parker Jr. La stessa meccanica di sparo inoltre cambia a seconda del raggio protonico dell’edizione americana o dei sei tipi di sparo ottenibili con la scheda giapponese. Per i puristi un prova di entrambe le versioni è quindi giustificata, ma il pubblico occidentale poteva godersi Slimer utilizzabile contro i nemici. Con tutte le volte che lo si era visto lanciarsi sbavando addosso ai protagonisti, doveva essere una gran bella soddisfazione poter rigirare la frittata.
Noi redivivi, loro redimorti
L’adattamento ufficiale della seconda pellicola rimane affidata ad Activision che prosegue con il rilascio per computer. Ciascun livello offriva un’esperienza di gioco diversa, dalla classica azione bidimensionale agli spazi isometrici, utilizzando persino la Statua della Libertà in una sezione apposita per raggiungere lo scontro finale con Vigo. Un prodotto generalmente buono e vario, anche se trattenuto da una longevità non eccelsa.
Nel 1990 però Sega e Compile (autore del celebre puzzle Puyo Puyo) prendono in mano la situazione e producono per Mega Drive quello che forse è uno dei migliori titoli dedicati (assieme al Ghostbusters 3 putativo del 2009). Il risultato è un “corri&spara” alla Metal Slug, che prosegue le avventure cinematografiche attraverso sei livelli riempiti secondo tutti i crismi del genere: dalle orde di nemici ai boss di metà livello sino a quelli più “importanti” come il Puft (l’omino bianco gigante). Apprezzabile anche la struttura dei livelli, non lineari e arricchiti da bivi e avversari accattivanti, oltre che la possibilità di essere affrontati in sequenza diversa in stile Mega Man.
Nel 1993 Kemco causa un’altra bizzarria sulla gestione delle licenze, una di quelle che passano alla storia per quanto è intricata. Per il mercato americano pubblica per Game Boy un gioco che ricicla le risorse della serie Crazy Castle soddisfacendo la richiesta dell’editore Activision, che voleva un titolo dedicato a Peter Venkman (interpretato da un Bill Murray la cui popolarità era letteralmente decollata in quegli anni). Seguendo l’esempio di Data East però lo studio decide di rimaneggiare il prodotto per sfruttare lo stesso gioco in modo più proficuo a seconda del mercato. Fu così che in patria diventò Mickey Mouse 4: Magical Labyrinth, riciclando buona parte della produzione e appicicandoci sopra gli sprite del sorcio disneyano che otteneva più consensi nella terra Sol Levante. E l’Europa? Qui arriva il bello. Viene usato lo stesso trucco ancora, ma stavolta coinvolgendo Garfield, il famoso gatto dei fumetti creato da Jim Davis. Il gioco delle tre carte applicato ai videogiochi da una Kemco capace di saltare da un continente all’altro e cavalcare l’onda del successo più in voga. Un colpo di genio o solo una furbata di bassa lega per spremere qualche copia in più? Ai posteri l’ardua sentenza.
Masse isteriche, cani e gatti che vivono assieme
Nel 1997 esce la serie animata Extreme Ghostbusters, con protagonista un nuovo gruppo di acchiappafantasmi. Questo seguito dura una quarantina di episodi e si conclude con un’epica rimpatriata tra la squadra vecchia e nuova, contro un’invasione di ecotplasmi di proporzioni colossali. Extreme Ghostbusters e Ecto One escono per Game Boy Color e Advance, prendendo in prestito i personaggi di questo rilancio animato. Il capitolo per GBA, in particolare, era un platform molto colorato con sotto-missioni di guida al volante della Ecto-1. Più originale invece Ultimate Invasion, pubblicato per PSX, sfruttando la pistola ad infrarossi prodotta da Namco per Time Crisis, la Gun-Con. Questa volta si tratta di uno sparatutto su binari, arcade allo stato puro e arricchito da una grafica cartonesca.
Extreme Ghostbusters: Zap The Ghosts! invece fu un’esclusiva PC e riproponeva le stesse identiche meccaniche di Puzzle Bobble (forse uno dei giochi più diffusi di sempre nel mercato bar-sale giochi).
Nel 2009 esce, semplicemente, Ghostbusters The Videogame, per Playstation 3, Xbox 360 e Pc, riproponendo i personaggi classici dentro uno sparatutto in terza persona. Giusto il protagonista è un’anonima recluta ai comandi del giocatore, che ha il compito di accompagnare gli illustri cacciatori di trapassati che rimangono sempre al centro della scena come per essere celebrati dalla narrazione. La trama offre varie citazioni e si colloca come ipotetico terzo capitolo, ambientato alcuni anni dopo il secondo film. La sceneggiatura è particolarmente pregevole anche grazie alla supervisione di Dan Aykroid e Harold Ramis (Ray e Egon) e la stessa cura è riposta nel riprodurre le fattezze e il doppiaggio degli attori famosi, oltre che nel presentare dialoghi conformi al carattere dei personaggi, diventando una piccola perla per ogni estimatore. Tra i pregi e i difetti si possono citare la buona interazione ambientale e varietà di strumenti a disposizione (tra cui il famoso rilevatore di presenze ectoplasmiche) a cui si contrapponevano dei controlli non sempre precisi e una qualità grafica un pò altalenante. Il gioco poteva offrire una buona longevità (sulle dieci ore) e complessivamente una qualità discreta, che pur non entusiasmando come il contemporaneo Arkham Asylum (che alzò l’asticella delle trasposizioni videoludiche), riusciva a giustificare l’acquisto e risultare appagante.
Ventiquattr’ore al giorno, festivi inclusi; il lavoro non ci spaventa, il conto non vi spaventa!
Sanctum of slime è uno dei raffazzonati tentativi di Atari di rientrare sulla cresta dell’onda nel mercato dei videogiochi. Una strategia fallimentare a causa di un uso bieco delle licenze opzionate (qualcuno ancora non ha perdonato il danno perpetrato al povero Alone in The Dark con Illumination) in cui Sanctum of Slime rientra.
Un peccato anche per via degli spunti originali offerti, come l’idea di cambiare il colore e la tipologia di raggio protonico per danneggiare i diversi tipi di spettri oppure la possibilità di aumentarne la potenza unendo le raffiche dei giocatori sullo stesso bersaglio, causando anche danno ad area. Nonostante la cooperativa online e il prezzo ridotto della distribuzione digitale simil-indie, lo sviluppo fu affrettato entro quattro per mesi far fronte ai ciclici dissesti finaziari di Atari, affossando il prodotto finale con una ripetitività cronica e un’intelligenza artificiale carente.
In concomitanza con il rilancio cinematografico Activision ha ripreso l’idea dello sparatutto analogico (qui recensito) ma anche stavolta il risultato non è all’altezza delle aspettative, lasciando l’amaro in bocca e augurandosi che per sfruttare adeguatamente questo marchio si faccia avanti uno studio talentuoso capace di rendergli giustizia.