Lo scorso speciale era stato dedicato alle varie incursioni di Akira Toriyama nel mondo dei videogiochi, tutti i titoli a cui il celebre mangaka aveva collaborato con il suo stile inconfondibile. Dragon Ball merita uno spazio tutto suo però, trattandosi di un marchio ampiamente diffuso anche nel media videoludico, dipanatosi nell’arco di più di trent’anni, dai pixel 8-bit degli anni 80 sino all’alta definizione contemporanea.
Le prime Kamehame-ha
Le prime licenze dedicate a DB arrivano già su Nintendo 8 Bit con Mystery of Shenron, in cui si alternavano fasi di esplorazione e combattimenti. La storia abbraccia la ricerca delle sette sfere e il primo torneo Tenkaichi agli albori del manga. La curiosità è che all’epoca la popolarità del fumetto era praticamente nulla in occidente e il gioco venne pesantemente rimaneggiato nella trasposizione americana (intitolandolo Dragon Power e cambiando nomi e immagini) per far sembrare l’ambientazione più simile ai film di arti marziali classici, che godevano di un seguito già affermato.
Fierce Battle at Budokai Tenkaichi invece sfruttava delle carte collezionabili da scannerizzare per abilitare personaggi e oggetti. La particolarità era la confezione comprendente un lettore di codici stampati sulle carte che ricordava il Barcode Battler, lo sperimentale dispositivo che simulava battaglie tra personaggi assegnando statistiche in base ai codici a barre tradizionali (tipo quelli presenti sulle confezioni di merendine, batterie, riviste o qualsiasi altro prodotto). In questo caso però le carte mostravano delle immagini tratte dalla serie animata Z e le meccaniche puntavano sul combattimento rudimentale ma dinamico e coerente con l’hardware del Famicon (nome giapponese del Nintendo).
Il periodo 16 bit e il caso francese
Qui si inizia a fare sul serio, Butoden su Super Nintendo e Retsuden per Mega Drive ricreano a dovere quello che dovrebbe essere lo spirito delle battaglie: personaggi che si muovono velocemente, spostamenti tra cielo e terra e onde energetiche in abbondanza. I tre capitoli di Butoden si concentrano sul ciclo dei cyborg, Cell e Majin-Bu, introducendo come ospiti anche i personaggi comparsi negli OAV come Bojack, Zangya e Broly. Butoden 2 in particolare offriva una modalità Storia in cui vincere o perdere gli incontri portava a diversi sviluppi della trama. Retsuden per Mega Drive viene assimilato alla serie Butoden per le numerose caratteristiche in comune nelle meccaniche, pur trattandosi di proposte diverse. Nel 1996, su Super Nintendo vengono sparati gli ultimi fuochi d’artificio dell’era 16 bit e se Street Fighter Alpha 2 e Super Mario Rpg sono i più famosi, un piccolo spazio se lo ritaglia Hyper Dimension, la cui qualità grafica e giocabilità sono forse le migliori tra i giochi di DB di quell’epoca.
Molti di questi titoli però non hanno ricevuto una localizzazione in inglese, cosa normale per i tempi, dato che spesso alcuni episodi restavano confinati al mercato giapponese e bisognava affidarsi all’importazione in assenza di una versione europea. La curiosità però è che Butoden 2 e Retsuden, per esempio, vennero convertiti in formato Pal-Europeo ma per la sola Francia, tradotti unicamente nella lingua di Flaubert anziché nel più diffuso idioma anglosassone. Questa particolarità è dovuta all’estrema popolarità che Dragon Ball riscosse oltralpe molti anni prima che da noi, grazie al mercato più aperto verso la diffusione di fumetti e manga, visti come vere forme di arte e letteratura quando nel resto dell’occidente ancora erano considerati prodotti per bambini o ragazzini.
Negli stessi anni vengono pubblicati anche dei J-rpg con combattimenti a turni come Super Gokuden, che ricopre gli eventi della prima stagione di Dragon Ball, dalla ricerca delle sfere sino allo scontro con il primo Grande Mago Piccolo. Durante l’avventura il giocatore era spesso incaricato di rispondere a dei quesiti sulle vicende narrate, richiedendo una certa conoscenza del manga. Il seguito, Super Gokuden 2, ricalca la storia dall’arrivo del secondo Piccolo all’avventura su Namec contro Freezer. Anche stavolta ritornano i quiz e le domande, permettendo però di biforcare la trama con sviluppi particolarmente eclatanti rispetto al canone conosciuto (come Piccolo intrappolato nella bottiglia da Tenshinan, spianando la strada al trionfo dell’invasione Sayan).
Goku in tre dimensioni
Legends (Idainaru Densetsu) sfrutta le specifiche dei nuovi sistemi 32bit per traghettare i combattenti delle sette sfere verso la terza dimensione. Sviluppato per Playstation e Saturn ma giunto in Europa solo per la console Sega, il titolo Bandai espande la formula 1vs1 riproducendo un’altro aspetto tipico dello Z: gli scontri tra più personaggi in contemporanea. Gli sprite bidimensionali si muovono in ambienti 3D abbastanza rudimentali, ma il ritmo è molto sostenuto e la presenza di più alleati su schermo contro un nemico più potente è molto fedele al clima del DBZ televisivo. Anche l’edizione Europea di Legends arriva grazie alla localizzazione francese.
Ultimate Battle 22 (Ps1) e Shin Butouden (Saturn) invece ricalcano gli episodi classici con due contendenti che si affrontano su di un piano bidimensionale. Piccola chicca presente in Shin Butouden è la modalità Mr.Satan, dove bisogna racimolare il denaro con cui il cialtronesco lottatore possa ripagare il suo debito a C18. Per riuscire nell’impresa bisogna scommettere sugli incontri del torneo di arti marziali e persino usare degli oggetti (come dinamite o bucce di banana) da lanciare sul ring per aiutare il lottatore su cui si puntano i soldi.
Su Playstation 2 debutta la serie Budokai, alzando il livello qualitativo delle produzioni sopra la sufficienza che in passato non veniva sempre raggiunta. I tre capitoli di questa etichetta vengono sviluppati dal celebre studio Dimps e sono stati riprodotti in alta definizione nella raccolta per Playstation 3 e Xbox360.
Budokai Tenkaichi invece mescola elementi dello stile 1vs1 con una telecamera più dinamica e nel secondo capitolo si arricchisce grazie al controller di movimento nella versione Wii, sfruttandolo per eseguire alcune mosse con movenze che mimano i gesti dei personaggi. Il tetto dei personaggi sfonda i 100, ma senza differenziarli particolarmente nelle mosse o nelle tecniche rendendo l’ampia gamma solo una questione estetica per dare un contentino ai fan. Da segnalare nel terzo, la presenza di Arale, protagonista di Dr.Slump e Arale, comparsa per un breve cameo in Dragon Ball e qui inserita come ospite.
Infinite World è l’ultimo capitolo sviluppato da Dimps e pubblicato da Atari, prima del ritorno dei diritti in casa Bandai. I lottatori possono essere personalizzati con diverse abilità tramite il sistema “Capsule” (un omaggio all’invenzione di Bulma). Nonostante quest’ultimo prodotto ormai fosse una reiterazione di meccaniche già viste, vengono implementati dei mini-giochi come la stanza a gravità incrementata e una modalità storia espressamente dedicata ai nemici comparsi nei film d’animazione, il risultato complessivo però inizia a mostrare come stesse diventando abusato il genere. Leggermente migliore invece Super Dragon Ball Z, più vicino allo stile grafico originale grazie al cel-shading.
La vendetta di Re Piccolo invece è un’esclusiva Wii. La formula del picchiaduro ad incontri viene accantonata in favore di un’avventura mista tra platform e azione rissaiola. L’idea di concentrarsi sulle imprese di Goku della prima stagione (come la ricerca delle sfere e la guerra all’esercito del Fiocco Rosso sino ad affrontare il Grande Mago Piccolo) segna una varietà che sembrava dimenticata dal continuo sfruttamento del filone Z. Il titolo è di buona fattura ed è adatto a tutti quelli che vogliono qualcosa di diverso dai soliti 1vs1.
Le sfere portatili
Su Nintendo DS bisogna citare i due Origins. Una ventata di aria fresca, vuoi per il genere (un’avventura esplorativa), vuoi per l’ambientazione (la prima stagione, con Goku bambino, incentrata sui viaggi anzichè sulle continue minacce aliene). Anche Attack of the Sayans spezza la ripetitività, riportandoci al genere J-rpg con combattimenti a turni alla Final Fantasy. AotS sfoggia una buona grafica e una rosa di personaggi diversificata ponendo Yamcha, Tenshinan o Crilin come scelte valide all’interno del gruppo, senza dover passare per forza dagli inflazionatissimi Sayan.
I giochi di ruolo vengono sfruttati anche con i due capitoli di Legacy of Goku, stavolta più orientati all’action-rpg mentre Dragon Ball GT Transformation si rifà ai picchiaduro a scorrimento alla Final Fight.
Ultimate Butoden invece sbarca su Nintendo 3DS e può vantare la firma dello studio Arc System Works (autore di Guilty Gear e BlazBlue). Tra combattenti utilizzabili e personaggi di supporto, sono presenti oltre 100 voci, ubriacando nuovamente il giocatore meno avvezzo ma gratificando l’appassionato con tutto questo fanservice. Nonostante le limitazioni dei controlli legate ai sistemi portatili, Ultimate Butoden mantiene un livello qualitativo discreto, anche grazie alla supervisione degli sviluppatori tanto esperti nella produzione di picchiaduro.
Shin Budokai per Psp invece è sempre un’opera dei Dimps e sfora dallo scenario del manga esplorando anche il “post-Z” mostrato nella serie televisiva al termine del canonico ciclo di Majin-Bu e presentando personaggi come Pikkon. Il riferimento maggiore è al film animato “Il diabolico guerriero degli inferi” mentre la giocabilità è paragonabile a quella di Budokai 3. L’anno dopo Shin Budokai riceve un seguito, riprendendo la strada delle storie alternative, ipotizzando l’arrivo di Majin-Bu nel futuro apocalittico di Trunks e includendo diversi bivi.
Il contemporaneo in alta definizione
Migrato all’alta definizione, Dragon Ball non poteva mancare all’appello. Meno utile dilungarsi su questo punto, dato che molti di questi titoli sono ampiamente conosciuti e diffusi tutt’ora. Basti ricordare gli inizi altalenanti di Burst Limit, Raging Blast e Battle of Z, che non hanno sempre garantito una qualità in grado di attirare un pubblico più ampio.
Su Dragon Ball Kinect ci volevano credere tutti, peccato che la tecnologia non fosse ancora matura per integrare movimenti così complessi, traducendosi in un pessimo risultato finale. Xenoverse riesce a riscattare la dignità videoludica del marchio, alzando il livello produttivo e integrando in modo interessante elementi da mmorpg o ruolistici, rimaneggiando la storia con qualche libertà per stuzzicare gli utenti.