Da quando viene annunciato un gioco a quando raggiunge gli scaffali passano mesi o anni e in quel periodo il rapporto tra sviluppatori e giocatori è un corteggiamento continuo, fatto di immagini promozionali che sembrano ammiccamenti di sguardo, filmati che paiono chiaccherate romantiche al chiaro di luna, versioni beta o demo a fare le veci dei primi appuntamenti, per poi arrivare all’acquisto e concludere il rapporto con un matrimonio riuscito o con un divorzio lampo. Quante volte le nostre aspettative sono state ripagate e quante volte sono state disattese? Che ruolo ricopre nell’industria videoludica questo strumento comunicativo che sovente torna indietro come un boomerang?
Per comprendere meglio questo meccanismo forse è il caso di prendere in esame diversi casi eclatanti, passati alla storia.
Il ridimensionamento grafico
Watch Dogs è diventato l’emblema di come adattare un motore grafico sia meno facile di quanto si pensi. Alla sua presentazione venne esibito un livello qualitativo notevole, che avrebbe soddisfatto in pieno l’utenza di Pc,XboxOne e PS4, mentre invece il prodotto finale aveva tutt’altra resa, minore dettaglio e minori elementi su schermo. Quale potrebbe essere il motivo? Lo sforzo di rendere il progetto compatibile anche con la generazione tramontante di Xbox360 e Ps3 avrebbe trattenuto la produzione verso un livello più basso? Oppure crediamo alla dichiarazione ufficiale per cui lo studio non aveva ancora maturato una certa confidenza con i nuovi sistemi e non era in grado di sfruttarli a dovere? Molte versioni preliminari vengono sviluppate su PC di alto livello, non accessibili per i prezzi del mercato di massa, richiedendo poi un adattamento per le configurazioni più economiche e per le console. Qualunque sia la causa, la lezione che se ne trae è di non esibire un motore grafico che non potrà essere garantito in fase finale. Avvenne molto peggio con Alien Colonial Marines, in cui la differenza tra ciò che fu mostrato dallo studio Gearbox e ciò che invece si trovava nella versione rilasciata era talmente evidente da indurre parecchie persone a fare una causa di gruppo, sentendosi truffate da una pubblicità ingannevole.
Il filmato civetta cinematografico
Un’altra ghiotta tentazione è quella di sfoggiare filmati dal taglio cinematografico, molto spettacolare e che non utilizza gli stessi modelli tridimensionali presenti nel gioco vero e proprio. Prendiamo in esempio Dead Island, che dal punto di vista registico è davvero geniale. Un flashback mostra una bambina in pericolo inseguita da diversi zombie, lasciando lo spettatore a tifare per la sua salvezza. Peccato che in alternanza scorrano le immagini dell’epilogo riavvolte all’indietro che suggeriscono la triste conclusione, creando un effetto per cui più entrambe proseguono, più si assiste ad una scena di lotta con l’angosciante consapevolezza della sua inutilità. Un trailer che ha sorpreso tutti e che riesce a colpire in un modo che molti film con a disposizione 120 minuti e ancora più parole, si sognano. Il gioco in sè però non raggiunge neanche lontanamente quei picchi, anzi consiste nel vagabondare uccidendo zombie a profusione ma senza offrire una storia capace di rendere più frizzante un ripetitivo girotondo di carne putrescente. Rientra nella categoria pure Final Fantasy 13, annunciato con sequenze degne di un film in computer grafica, salvo ridursi ad un j-rpg molto bello a vedersi ma estremamente limitato, dove l’esplorazione tipica del genere era completamente assente a favore di una linearità eccessiva.
In questo caso bisogna ricordarsi che un biglietto da visita sfolgorante serve a poco se ciò che pubblicizza è di bellezza inferiore.
L’indecifrabile
Molti giochi invece offrono contenuti estremamente sperimentali o innovativi. Questo significa far giocare gli utenti in modi che non hanno mai provato prima, creando esperienze che risultino originali, fresche ed esaltanti. Ma qualora non si possano distribuire demo prima dell’uscita, bisogna trovare un modo di spiegare le caratteristiche del prodotto in modo che siano chiare per tutti. Uno dei casi più recenti è l’imminente No Man’s Sky, in cui il punto forte sbandierato è la possibilità di pilotare un’astronave e visitare milioni di pianeti presenti in una galassia che è generata proceduralmente dal computer, mescolando elementi diversi sino a creare ambienti con caratteristiche diverse dotati di una loro flora, fauna e linguaggio. Numeri e prospettive altisonanti che però tradotte in termini di giocabilità a cosa ci portano? E’ difficile spiegare in cosa consista l’attività principale, tolta l’esplorazione e la scoperta. Ci sono diverse funzioni che potranno essere svolte, ma l’effetto finale non può essere definito dalla semplice presentazione. Intanto il termometro segna un misto tra incredulità ed entusiasmo generale, dove si è eccitati ma non si sa ancora bene per cosa. In questo caso l’aspettativa potrebbe contenere persino ciò che il gioco non riesce ad offrire? Una particolarità così ricercata pone il prodotto al di fuori di ogni classificazione ma al tempo stesso lo rende ricettacolo anche di ciò che forse non gli compete, col rischio di deludere chi si era fatto un’idea sbagliata.
Un’altro esempio sono i giochi di Suda51 (Goichi Suda, all’anagrafe), un pò il “Tarantino-Nolan” del settore. Capace di ideare titoli con ambientazioni grondanti violenza, visionarietà e colpi di scena. Killer7 (del 2005) narrava di un sicario dotato di sette personalità diverse, ciascuna delle quali è un assassino con il suo stile particolare, utilizzabile per completare le varie missioni. Una grafica volutamente fredda e asettica sottolineava le allucinanti situazioni viste attraverso gli occhi di ciascuna identità. Tuttavia ciò non è ben chiaro basandosi sulla semplice visione del trailer, col risultato che un’utenza occasionale poteva sentirsi confusa senza aver compreso su cosa vertesse il gioco. Chi lo ha provato poi lo ha apprezzato al punto da definirlo un piccolo classico e una delle produzioni più originali di sempre, ma per fare ciò bisognava rompere il ghiaccio con un prodotto che non faceva nulla per presentarsi in modo cristallino.
La trollata
La stampa e i giocatori spesso tirano per la manica gli studi quando sono famelici di nuovo materiale che riguarda il seguito di un gioco celebrato. Questo fu il caso di Metal Gear Solid 2, in cui le aspettative erano altissime dopo il successo del primo capitolo, divenuto un caso eclatante per il suo essere forse il primo gioco con contenuti di regia, scrittura e sceneggiatura paragonabili ad un film di alto profilo. Hideo Kojima, come la sua recente separazione da Konami ha ribadito, ama lavorare in pace, seguendo le sue idee e senza sentirsi in obbligo di dover fare cose scontate soltanto perchè qualcuno si aspetta che le faccia. Questo concetto fu espresso con il rilascio di foto relative allo sviluppo di Metal Gear Solid 2 che raffiguravano Solid Snake, confermando l’atteso ritorno del personaggio, salvo poi sorprendere gli utenti con la scoperta che invece il vero protagonista era l’inedito Raiden. Le foto preliminari e la demo allegata a Zone of The Enders in realtà facevano riferimento soltanto al prologo, in cui si controllava Snake, ma che finiva in disparte dopo neanche un’ora di gioco. Per diverso tempo si spesero commenti e speculazioni sulla nuova avventura, salvo scoprire poi che avrebbe riguardato Solid solo marginalmente. Se si fosse saputo sin da subito che non sarebbe tornato l’apprezzato eroe, qualcuno avrebbe di sicuro montato una polemica, riducendo la qualità del gioco al solo aspetto del protagonista. Così invece Kojima potè lavorare indisturbato, lasciando intatto l’hype per poi sorprendere con un titolo che spiazzò critica e pubblico con aspetti ben più importanti.
Vivere all’ombra del fratello famoso
Se un gioco invece viene da una serie che ha fatto storia, non soltanto si porta dietro l’aspettativa che sia grandioso come i predecessori, ma si confronta anche con i risultati dei capitoli precedenti. Di conseguenza si forma una guerra interna tra hype, in cui il gioco in uscita deve essere all’altezza di sè stesso e degli altri. Esempio lampante è Doom 3, un buon sparatutto, ma uscito in un periodo in cui Half Life aveva già ridefinito il genere con la stessa potenza con cui lo aveva fatto Doom 1 a suo tempo. Il terzo capitolo della serie di John Carmack invece reiterava semplicemente un concetto già visto, arricchendosi di un motore grafico di alta qualità, ma senza reinventare la ruota come tutti pretendevano. Su questo argomento ne sa qualcosa persino Call of Duty, come si era già discusso nello speciale precedente, in cui si analizzavano le tecniche di mercato di Activision e come lo stratagemma di affibbiare il marchio Call of Duty a Modern Warfare e compagni fosse servito a spingere le vendite sul primo periodo, ma avesse creato un hype che si portava dietro anche un perenne confronto, finendo per smontare prodotti che se non fossero stati legati a quel nome, sarebbero persino stati apprezzati sotto forma di una nuova serie.
Infinite Warfare dimostra in pieno questa tesi. Criticato ferocemente su youtube quando è stato presentato come “Il nuovo Call of Duty”, definito da molti come “una schifezza” basandosi solo su di un trailer di 2 minuti. Però quando è stato esibito all’E3 di quest’anno ha suscitato reazioni positive (osservate dai pr nelle chat dei canali Twitch più seguiti) mentre tutti assistevano alle sequenze in gioco di quella che poteva essere una IP differente, dato che il logo è apparso solo alla fine. Stratagemma furbo di Infinity Ward, che ha montato il trailer apposta per verificare quanto il pregiudizio avesse influito sulla valutazione del pubblico.
Cos’è veramente l’hype?
Potremmo citare ancora altri casi, come le promesse di grandiosità fatte da Peter Molineux di un mondo in continuo divenire, confluite in un pregevole ma normalissimo gioco di ruolo (Fable). Oppure la campagna pubblicitaria titanica messa in piedi per Destiny, costata più dello sviluppo del gioco stesso, che è giunto sugli scaffali senza contenuti ma con 2 DLC già pianificati sulla carta, tuttavia le promesse esagerate sono casi più classici e autoesplicativi.
In definitiva che cos’è l’hype? E’ quell’aspettativa che mescola attesa ed entusiasmo, è uno strumento fortissimo perchè può portare in alto ma lasciar anche cadere. E’ una reazione con cui i giocatori manifestano la loro contentezza ma anche uno strumento che viene sfruttato dagli editori per aumentare il clamore attorno ai loro titoli e moltiplicare per 10 o 100 ogni singolo centesimo speso in propaganda. Tuttavia è anche una bestia feroce, capace di mordere se provocata, rendendo consigliabile agli sviluppatori di non pungolarla troppo e agli utenti di tenerla al guinzaglio.