I videogiochi possono insegnare qualcosa? Sinceramente parlando, è da quando ho scoperto il videogame che mi batto strenuamente contro gli stereotipi (soprattutto nostrani) che tendono sempre a considerare questa forma d’arte come un becero intrattenimento poco impegnativo. I videogiochi possono dare moltissimo, possono insegnare una lingua per esempio: il 90% abbondante dell’inglese che conosco lo devo ai videogiochi per esempio. Nel caso però dell’ultima incarnazione dello spin-off Persona si va decisamente oltre, si percorrono sentieri tortuosi che consacrano il videogame non solo come opera artistica/mezzo di intrattenimento/strumento di apprendimento ma anche come storia in grado di esaminare spinosi argomenti della nostra attualità.
Da molti considerato un problema quasi esclusivamente giapponese, il bullismo scolastico è parte integrante del percorso di crescita in molte nazioni compresa la nostra. Ma andiamo con ordine: inizialmente nelle scuole giapponesi si parlava di 校内暴力 konai boryoku ovvero “violenza scolastica” ma si trattava di qualcosa di diverso. Il “konai” risalente a periodi precedenti gli anni ’80 era una sorta di ribellione giovanile attuata contro gli apparati dello Stato ed i valori che essi rappresentavano: durante l’età adolescenziale l’istituzione scolastica era il più accessibile e comprensibile tra questi apparati. Gruppi organizzati di studenti ribelli portavano a termine vere e proprie opere di sabotaggio e violenza verso la scuola e verso gli insegnanti, considerati “despoti” che volevano mettere un freno agli istinti naturali ed al desiderio di libertà degli adolescenti. Il governo giapponese reagì duramente a questa situazione diventata ormai endemica e riuscì, tramite controlli ed inasprimento delle punizioni, a reprimere il problema…ma era un’illusione momentanea. Il konai boryoku si trasformò nell’attuale いじめ ijime, letteralmente tradotto con “tormentare” e “perseguitare”. La rabbia ed il desiderio di ribellione si era semplicemente spostato ed evoluto: ora avveniva all’interno dell’istituzione, nell’apparente rispetto delle regole di buona condotta e di buon atteggiamento. Tutt’ora l’ijime fa parte stabilmente della cultura giapponese, tant’è vero che molte opere manga/anime/videoludiche l’hanno messo al centro delle vicende narrate.
Persona 5 si svolge principalmente all’interno di un edificio scolastico e “dentro” la vita degli studenti: è facile notare da subito quanto poco basti per essere etichettati come criminali da evitare. Nonostante spesso l’ijime si trasformi in vessazione fisica, in altri casi diventa un semplice ma insistente “rumor” che condanna la vittima ad una vita di costante emarginazione: chi non segue i dettami che impongono buone maniere sempre e comunque, atteggiamento remissivo ai “superiori” e rispetto totale delle regole è automaticamente un rifiuto della società che merita solo di essere scacciato. Proprio come succede al protagonista di Persona 5, emarginato soltanto per aver salvato una ragazza che stava subendo una vera e propria aggressione fisica da parte di un ricco e viscido pervertito. Il gruppo di anti-eroi in Persona 5 è di fatto composto da ribelli, da ragazzi che non accettano di dover sacrificare i propri sentimenti o le proprie aspirazioni sull’altare dell’ordinarietà. La società giapponese viene rappresentata come “vecchia”, chiusa ai cambiamenti, composta per la maggior parte da freddi calcolatori che voltano lo sguardo dall’altra parte quando si tratta di andar contro a personaggi celebri, potenti o ricchi. Questo concetto è reale non solo nel paese del Sol Levante, ma anche in moltissime altre nazioni: senza voler viaggiare troppo lontano, basta guardare in casa nostra. L’Italia è un paese celebre per la tendenza di gran parte della popolazione a riverire i potenti, emarginare chi non risponde alle aspettative del “maschio” forte o della “femmina” bella ed obbediente.
Benchè il tessuto sociale nipponico ed europeo siano distanti sotto molti aspetti, gli uomini rimangono uomini e Persona 5 ci mette nei panni di un manipolo di strani avventurieri che trovano una via alternativa: dove le istituzioni non ti aiutano e le persone fingono di non vedere, la soluzione è cambiare il cuore dei colpevoli dall’interno e spronarli a crollare sotto il peso delle loro colpe. Sarebbe un bel sogno scoprire che esiste un sistema per far si che tutti i “malvagi” si ritrovino costretti ad affrontare i loro stessi demoni vero? Joker & soci non sono dei “buoni” nel vero senso della parola, ma operano schiavizzando demoni presenti all’interno delle emozioni umane da utilizzare contro i veri malvagi. Interessante notare come la maggior parte dei nemici nel mondo reale in Persona 5 siano rappresentati da personaggi che normalmente verrebbero etichettati come “vincenti”: belli, famosi, potenti e ricchi. Un conflitto generazionale tra giovani e vecchi, tra innovazione e tradizione, tra regole e ribellione: forse una fase che abbiamo attraversato tutti, ma che ha creato probabilmente molti schiavi del sistema ormai talmente assuefatti ad esso che probabilmente combatterebbero per difenderlo. Una situazione “alla Matrix” per così dire, eppure Persona 5 è una rappresentazione impietosa della realtà odierna e non solo del Giappone: in tutto il mondo è possibile trovare personaggi simili ai villain mostrati nell’ultima fatica targata ATLUS. Diciamoci la verità: un semplice mezzo di intrattenimento potrebbe scatenare una riflessione così approfondita sul mondo attuale? Ciascuno di noi porta una maschera che utilizza per relazionarsi con gli altri esseri umani. D’altra parte la parola “persona” deriva dal greco πρόσωπον (prosopon) e significa proprio “maschera”. Sarà un caso?