Nei giorni appena precedenti ed in quelli successivi all’uscita di Agony il titolo è stato piuttosto chiaccherato, più che altro per un motivo che molto spesso genera malcontento negli appassionati del medium videoludico ovvero la censura, vista come nemico della libertà di espressione di un prodotto commerciale che per sempre più persone assume anche un valore artistico. Per chi non lo sapesse, andiamo a recapitolare ciò che sono gli avvenimenti che compongono l’antefatto e che mi hanno dato l’idea per questo articolo: Agony è un titolo finanziato tramite campagna Kickstarter nel 2016 che poneva particolare enfasi sull’atmosfera particolarmente macabra che doveva tingere tutto l’Inferno nel quale si svolge il gioco. Chiaramente per le tematiche piuttosto forti che il gioco tratta in modo piuttosto esplicito, il rating americano ESRB ha deciso di affibbiare ad Agony come valutazione un “AO”, ovvero di indicare che si tratta di un gioco per “Adults Only”, solo per adulti. Ricevere come valutazione AO non è per nulla vantaggioso per un’azienda che produce videogiochi perché le politiche di Sony e di Microsoft vietano la pubblicazione di un titolo con tale valutazione sulle loro console e chiaramente per un gioco la cui uscita è prevista anche su console non è una buona cosa essere valutato come un AO. Possiamo discutere quanto volete sul fatto che il videogioco sia o meno un prodotto derivante da un processo artistico ed in quanto tale debba essere considerato alla stregua di altre arti, ma c’è un motivo se qualche riga sopra ho usato voutamente la terminologia “prodotto commerciale”: un videogioco è un prodotto che richiede un non indifferente investimento per essere realizzato e di fronte alla possibilità di non essere retribuiti, il team di sviluppo ha deciso di stare alle regole del gioco e di autocensurarsi rimuovendo le scene più controverse (stupri, nudità, atti di violenza su infanti) per poter essere pubblicati su tutte le piattaforme, promettendo una patch quantomeno per la versione PC che avrebbe rimosso tali censure, patch che stando ad un comunicato del team di sviluppo non verrà realizzata per non meglio specificati “problemi legali”.
Chi vi scrive non è contrario alla spettacolarizzazione della violenza, anche ingiustificata, o altri temi controversi nei videogiochi: la precisa scelta stilistica di voler inserire tematiche forti oppure generalmente ritenute discutibili non deve essere vista come una limitazine nel giudizio di un gioco. Da Splatterhouse a Manhunt, da Mortal Kombat a Hotline Miami passando per i recenti RPG di South Park e God of War, la lista di giochi che non si sono fatti scrupoli a toccare temi come religione, sesso e vari gradi di violenza, ma alle spalle di questi giochi c’era un team che sapeva come si realizza un videogioco e non ha impostato il focus dello sviluppo unicamente sull’inserire elementi che scandalizzassero l’opinione pubblica. Dalla nostra recensione di Agony appare evidente un aspetto sul quale si fonda la nostra critica sul gioco ovvero che “gli sviluppatori siano partiti dalla semplice idea, senza preoccuparsi troppo di renderla qualitativamente valida in termini di esperienza videoludica”. Non basta avere una bella idea per realizzare un buon videogioco, bisogna anche avere in mente come implementare le meccaniche di gameplay che andranno a costruire l’interazione fra il gioco ed il videogiocatore. Chiaramente questa regola vale per tutti i videogiochi, ma titoli come Agony hanno una carta in più da poter spendere sul piano commerciale ovvero l’essere dei portatori di polemiche. “The most terrifying vision of hell in the history of gaming” riportava il trailer con il quale è stata lanciata la campagna Kickstarter di Agony, ma di elementi per capire di che tipo di gioco si trattasse in quel video non ce n’era l’ombra: tuttavia il gioco è stato finanziato, è stato atteso a lungo anche se già dalla demo rilasciata era possibile capire che c’era qualcosa che non stava prendendo la piega voluta. Diciamocelo, sbudellare qualche anima dannata è una cosa che fa piacere un po’ a tutti, siamo irrimediabilmente attratti da un certo tipo di esperienza di gioco e chi ha creato Agony e la campagna di marketing dietro al lancio del Kickstarter questa cosa la sa bene ed ha sfruttato la debolezza di noi giocatori per questi temi e l’indignazione dei benpensanti per cercare di far conoscere un prodotto che al di là di qualche spunto interessante non ha nulla da offrire. Non è comunque un caso isolato: qualcuno di voi ricorderà Hatred, un twin-stick shooter dove il protagonista è un omicida di massa che deve compiere una carneficina aprendo il fuoco su tutto quello che si muove, un gioco che in un primo momento a causa dell’alto tasso di violenza ingiustificata fu rimosso dallo Steam Greenlight ma a seguito delle pressioni degli utenti venne reinserito sulla piattaforma. La stampa specializzata ha demolito il gioco per il suo gameplay approssimativo, eppure se andate a leggere le recensioni degli utenti su Steam esse saranno per il 77% positive su un totale di quasi cinquemila recensioni: può benissimo essere che la stampa si sia sbagliata, tuttavia se andate a leggere le recensioni in italiano molte riporteranno le frasi “non adatto ai moralisti” o “ottima valvola di sfogo”. L’essere un gioco che spinge il giocatore a commettere le peggiori torture verso innocenti civili è da solo un elemento di marketing molto forte verso l’utenza che a quanto pare diventa cieca di fronte ai concreti difetti del titolo. Ancora più recente è il caso di Active Shooter, un gioco realizzato da uno sviluppatore russo, tale Ata Berdiyev, che a vedersi aveva tutte le caratteristiche di un FPS mediocre, privo di qualsivoglia elemento di originalità (alcuni asset parevano tra l’altro essere stati copiati da altri giochi), uno di quei giochi che viene pubblicato senza fare troppo clamore e finisce velocemente dimenticato nelle retrovie delle classifiche di Steam. Se non fosse che il gioco permetteva di vestire i panni di un serial killer e di fare irruzione in una scuola americana con l’intento di uccidere quanti più civili possibili prima dell’arrivo della polizia, facendo riferimento quindi ad eventi bui che fanno parte della cronaca americana. Ancora una volta il marketing della polemica colpisce ed Active Shooter da gioco dimenticabile finisce sulle pagine dei giornali americani, anche a causa della reazione delle varie associazioni nate dopo il massacro alla scula superiore di Parkland (Florida) accaduto lo scorso febbraio. Sfortunatamente per lo sviluppatore Valve ha rimosso il gioco da Steam ancora prima che potesse essere rilasciato, ma solo per aver toccato un tema tanto controverso sicuramente ci sarebbe stato più di un acquirente che lo avrebbe acquistato solo per essere un prodotto di dubbio gusto.
Non sono qui a farvi la morale sulla violenza all’interno dei videogiochi, ognuno ha la propria sensibilità e decide da sé se acquistare un gioco che presenta scene sanguinolente e disturbanti, siano esse contestualizzate o totalmente gratuite. Tuttavia mi preme che un altro concetto arrivi a voi: diffidate da quei giochi che hanno intere campagne di marketing basate sulla presenza di elementi. Nascondere la carenza di competenze dietro a qualche sbudellamento non rende il gioco migliore e l’acquistare tali giochi solo per sfogare la propria frustrazione su una rappresentazione virtuale della società rischia di far aumentare la diffusione di questi prodotti senza arte né parte.