Oramai Skate Story era già etichettato come gioco vaporware, svanito nel nulla dopo il primo trailer. Poi, però, Sam Eng e Devolver Digital hanno rianimato il pubblico due mesi fa svelando la data di lancio sempre sulle note indie pop dei Blood Cultures. Quando la speranza sembrava essere svanita – come per il recentemente uscito ROUTINE, solo che sono passati solo 3 anni e non oltre un decennio tra annuncio e lancio – è arrivato il bagliore di quello che si preannunciava già essere un possibile capolavoro fatto di vetro, ollie, kickflip e patti con il diavolo.
Bisogna dirlo subito: Skate Story è un gioco di skateboard, ma non lo è davvero. È vicino alla serie Tony Hawk Pro Skater, ma sta a distanza di sicurezza. Si tratta di un’opera alternativa che rappresenta l’essenza dell’indie nella sua follia, con uno schema tutto suo che trasforma il gioco in un viaggio filosofico senza eguali.
Lo Skater e il Bianconiglio

La premessa è semplice, tra molte virgolette. Il demone protagonista vuole ritornare nel mondo dei vivi e, per farlo, stringe un patto con il diavolo: arriva alla luna, mangiala e potrai uscire dalle profonde lande infernali. Tuttavia, dovrà fare tutto ciò usando uno skateboard e trasformando il suo corpo in una scultura “di vetro e dolore”. Correndo tra trick e grind, evitando spine e monoliti, il demone deve in realtà scendere più a fondo attraversando più livelli dell’inferno che assumono le sembianze di città sotterranee vissute da teste di marmo, teschi di cristallo, rane, pinguini e poeti piccioni.
Un percorso che incrocia aspetti di New York con la cultura vaporwave, il tutto con la guida di un coniglio. È un cammino dantesco vicino al contempo all’avventura di Alice nel Paese delle Meraviglie. Una fragile suggestione che si smarrisce a metà rischiando di risultare ripetitivo, riuscendo poi a ritrovare la strada giusta per un finale tanto stravagante quanto poetico.
Nell’insieme, Skate Story sfrutta ogni attimo per dare spunti di riflessione e togliersi di dosso le catene della “prigione” ludica. Ognuno dei nove capitoli fino all’epilogo si chiude con una poesia ad hoc, trasformando la storia del demone di vetro in un libro insolito, inebriante e che merita di essere letto – ergo giocato – più volte per una comprensione totale. Forse esagera in certi punti, ma è una stranezza che ammalia.
Skate Story è meno Skate e più Story

Con una premessa simile, diventa chiaro che il gameplay resta ciò che separa Skate Story dall’essere un’esperienza audiovisiva non interattiva. I controlli dello skateboard non sono complessi e vengono presentati capitolo dopo capitolo, partendo con trick semplici fino a giungere alla loro combinazione. Si premono più pulsanti e si ottiene un risultato più o meno complesso. In base al trick fatto e alla sua frequenza, cambiano i punti ottenuti dalla corretta esecuzione.
I trick hanno due funzioni chiave: da un lato, servono per superare quest triviali poste dai personaggi secondari e sconfiggere i boss. Dall’altro, permettono di accumulare anime che possono essere usate per personalizzare lo skate in ogni sua parte, aggiungendo anche sticker alla tavola. Nel primo contesto si fa notare e apprezzare la complessità e metodicità degli input. Ollie, flip e grind si susseguono con l’obiettivo di soddisfare qualcuno o distruggere qualcosa, rendendo i trick fonte di meraviglia. Nel secondo, invece, si passa a un approccio più naturale e intuitivo dove l’unico traguardo è il numero più alto possibile per sfizio personale, muovendosi in aree più o meno complesse per completismo.
Skate Story attinge quindi alle basi dello skateboard e gioca con esse avvicinandosi a THPS. Non si tratta però di un titolo in grado di raggiungere lo stesso stato di flow creato dalla serie di Activision. Questo è dovuto anche dalla inquadratura più cinematografica, meno agevole per l’esecuzione dei trick. Si può certamente spostare, ma tornerà sempre allo stato originale. Eppure, tutto ciò rende lo skate pesante e concreto, uno strumento che bisogna gestire per evitare di cadere e frantumarsi.
Pura arte, quasi impeccabile

Sin dal primo trailer pubblicato tre anni fa si percepiva un’aura riflettente come poche. È proprio l’aspetto che ha fatto impazzire migliaia di giocatori, rafforzato dalla tagline “You are a demon made of glass and pain. And yet, you must skate”. Una sequenza di parole micidiale, in grado di descrivere più generazioni di adolescenti che hanno reso lo skateboard la propria via di fuga dalle turbe giovanili. L’esecuzione di quelle parole? Rasenta l’eccellenza.
Skate Story esteticamente è un diamante, non è solo vetro. Non è puro, non è gigantesco, ma è splendido. La visione psichedelica di questo mondo contorto fatto di neon, spine e tappeti di stelle è selvaggia ed emozionante. Delle similitudini possono essere trovate in HYPER DEMON, arena shooter del 2022 fatto sempre di demoni, vetro e veleno. Si tratta però di rette parallele infine molto distanti: se quest’ultimo è frenetico, l’opera di Sam Eng è del tutto riflessiva. Ci sono anche alcuni richiami estetici a Neon Genesis Evangelion, ma solo in alcune istantanee degli ultimi capitoli.
Uno dei suoi punti di forza più evidenti è la colonna sonora firmata dai Blood Cultures. Il gruppo del New Jersey si è sbizzarrito con un album ad hoc, dove si toccano le loro tipiche sonorità pop ma si sfocia anche in sottofondi più aggressivi degni di Gesaffelstein, abbracciando nella sperimentazione l’estetica vaporwave e lo-fi. Sono proprio i brani a esaltare le boss fight e, soprattutto, le sequenze finali con Set it on Fire e The Age of Disbelief. Scandiscono il moto dello skateboard e l’eterealità di Skate Story, rendendolo molto più di un semplice gioco.
Giocandolo su Steam Deck OLED luci e colori risaltano ulteriormente per un effetto meraviglia garantito. Si fanno però sentire anche i problemi tecnici, in particolare i cali di frame rate (mai notati giocandolo su PC) nei momenti più caotici e ricchi di effetti visivi. Ci sono anche alcuni bug tra la personalizzazione dello skate e l’esecuzione dei trick, come anche collisioni piuttosto anormali.
La recensione in breve
Per definire completamente Skate Story servirebbero molti aggettivi. È astratto, fiabesco, filosofico, surreale, vaporwave, ma è anche altalenante e leggermente confuso nell’esecuzione. Più di ogni altra cosa, però, è artistico. Sam Eng ci ha messo parecchio tempo per dar vita a questa follia dove lo skate è più efficace come strumento narrativo che di gioco. L’esperienza alla THPS non sarà pienamente soddisfacente, ma fa il suo lavoro in un contesto più complesso dove l’apparenza conta molto anche per la storia. L’incontro tra l’estetica ispirata e la musica dei Blood Cultures si esprime come la vera magnificenza di questo titolo che, alla fine, non sarà perfetto ma resta singolare. Un prisma che prende un’idea e la trasforma in mille colori, sporchi e splendidi.
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Voto Game-eXperience
