Quando un videogioco tocca un tema controverso c’è sempre almeno un osservatore che solleva la polemica, mettendo in discussione la sua distribuzione alle masse. I giochi sparatutto (compreso il sempreverde Grand Theft Auto o GTA, ritenuto dai detrattori la vera causa della delinquenza tra i giovani) sono sempre nel mirino del pubblico e della stampa. In alcuni casi specifici, però, non viene valutato il valore educativo di un progetto che, da meramente ludico, diventa didascalico. È il caso, ad esempio di Six Days in Fallujah, per il quale anche il CAIR ha richiesto l’abbandono dello sviluppo.
Il titolo Highwire Games è stato a lungo rinviato, criticato, disprezzato e odiato da una fetta degli osservatori in quanto tratta, come lascia intuire il nome, l’aspra Seconda Battaglia di Fallujah del 2004. Il suo tortuoso percorso nel development hell si è concluso solo nel 2023, a quattordici anni dall’inizio dello sviluppo, e solamente con una build in Accesso Anticipato. Andiamo a scoprirla nella prova in anteprima di Six Days in Fallujah.
Six Days in Fallujah è un orrore reale
Six Days in Fallujah non vuole essere un semplice gioco, bensì un’esperienza educativa. A chiarirlo è l’approccio stesso del titolo nei confronti del giocatore: all’avvio, infatti, veniamo accolti da video-documentari con veterani che hanno combattuto ad al-Fallūja e civili che hanno vissuto il terrore del conflitto da potenziali vittime, i quali raccontano alternandosi la loro esperienza durante la seconda guerra del Golfo, ovvero per le strade di Falluja.
Per Highwire Games, che ha acquisito i diritti del titolo nel 2021 dopo dieci anni di silenzio, Six Days in Fallujah è una ricostruzione storica che assottiglia sensibilmente i confini tra finzione e realtà. Ci rende osservatori-giocatori delle azioni del terzo battaglione dei Marines americani contro Al-Qāʿida, dando un taglio narrativo e immersivo all’esperienza. Tralasciando l’eterno dibattito sulla partigianeria dei videogiochi di guerra occidentali, il messaggio è chiaro: la guerra è un orrore reale.
Mentre Call of Duty, Battlefield e innumerevoli altri titoli ci fanno dimenticare del mondo invitandoci in un conflitto fittizio puramente virtuale, Six Days in Fallujah ci fa entrare nella testa dei soldati che hanno vissuto una battaglia sul campo, proponendo una simulazione militare ben distinta da altri milsim, con connotati horror piuttosto evidenti. A incutere timore non sono fantasmi o zombie, ma esseri umani e abitazioni che, giocando tra luce e oscurità, tra silenzio e caos, sussurrano ai militari che la morte è dietro l’angolo, e basta poco per stuzzicarla.
Primi passi promettenti
Al momento del lancio Highwire Games non propone un pacchetto completo, affatto. Anzi, è molto distante da tale stato. La roadmap, per essere chiari sin da subito, prevede l’aggiunta di missioni notturne e meteo, altri incarichi in co-op e IA da guidare in singolo giocatore, oltre a una campagna, civili per la città, altre coalizioni e missioni Special Operator. Dunque, Six Days in Fallujah dovrebbe arrivare verso fine 2024 su PC e console nella sua iterazione definitiva.
Un lancio decisamente anticipato, ma che stupisce per le potenzialità. A differenza di ArmA, Escape From Tarkov o Squad, Six Days in Fallujah ripropone nel modo più autentico possibile il terrificante ignoto che i Marines hanno dovuto affrontare in Iraq, diventando un simulatore militare horror, un mix che forse potrebbe persino rendere questo progetto il milsim più credibile e schietto sul mercato.
Per le case in rovina di Fallujah, colpite dai bombardamenti e già rese roccaforti da parte di al-Qaeda, la sensazione di pericolo è costante. I colpi di mortaio martellano le strade e ci costringono a cercare riparo, ma nell’oscurità degli edifici si nascondono le forze locali pronte a tendere un’imboscata. Bisogna quindi agire sempre in squadra per sopravvivere, limitandosi all’arsenale accessibile 19 anni fa. M249, M16 ed M4 sono le uniche armi in dotazione al team composto da massimo quattro soldati, la cui comunicazione deve avvenire esclusivamente in-game.
La bellezza di Six Days in Fallujah sta difatti nel grado di immersione, garantito oltretutto da un comparto audio lodevole: le nostre parole riecheggiano per le stanze degli edifici da sgomberare, rimbalzando tra le mura. Usando la radio per comunicare a distanza, invece, diventa impossibile eseguire altre azioni poiché le mani sono occupate.
Six Days in Fallujah non scherza…
Non si tratta di una esperienza da prendere a cuor leggero ma, sorprendentemente, è davvero intuitiva. Il ventaglio di azioni accessibili richiede la pressione di pochi tasti, anche per mantenere viva la tensione degli scontri CQC (Close Quarters Combat). Il gunplay è fluido e molto realistico e ciò potrebbe fare tirare un sospiro di sollievo a chi non ha un buon rapporto con i milsim precedentemente citati. L’utilizzo degli organi di mira è curioso in quanto visto in pochissimi sparatutto, e potrebbe sorprendere non pochi giocatori: anche con un ACOG in dotazione, sarà meglio utilizzare il collimatore (con torcia accesa nelle stanze più cupe) per esplorare i dintorni e affrontare il nemico.
Il livello di sfida, però, è seriamente elevato complice l’implementazione di un’IA nemica guerrigliera, aggressiva, che non bada alla vita dei soldati di al-Qaeda ma alla sconfitta del nemico. In primis i nemici attendono i soldati, che si tratti di cecchini o fucilieri, per poi sparare all’impazzata al momento propizio. Dopodiché, agiscono ascoltando le voci e l’ubicazione del giocatore, aggirandolo o aspettandolo dietro l’angolo di un edificio. Peraltro, la città di Falluja viene generata proceduralmente a ogni missione, contribuendo alla sensazione di smarrimento e ansia per l’ignoto che ci aspetta.
Pur non essendo un progetto rivoluzionario, già allo stato attuale Six Days in Fallujah non scherza. La ricetta ludica è efficace: la pazienza del soldato viene premiata, la sua attenzione all’ambiente circostante viene amplificata dal terrore di sentire un proiettile lacerare la pelle da un momento all’altro. Servono comunicazione, coordinamento, occhi vigili e una solidità mentale che poche persone riescono a raggiungere.
…ma servono contenuti e cura
Ma Six Days in Fallujah non riesce a nascondere le sue imperfezioni, giustificabili essendo un Early Access dalla storia tutt’altro che banale. La missione è solo una, semplicemente con obiettivi casuali. Il matchmaking richiede attese molto lunghe, un problema la cui soluzione unica consiste nel trovare un gruppo di gioco stabile e attivo. Non essendoci server dedicati, bensì hostati da un membro del team, il lag può variare e le disconnessioni possono sorprendere la squadra anche a metà missione. La selezione del soldato è casuale; ergo, a volte ci si troverà nei panni del militare di supporto dotato di M249, altre volte il fucile d’assalto sarà il fedele compagno che ci proteggerà dal nemico.
Il comparto grafico cattura l’occhio e non lo lascia andare, con ambienti curati nei minimi dettagli e in alta definizione. Peccato però per le animazioni alquanto impacciate dei soldati (da ambedue i fronti), accompagnate da una realizzazione poco accurata dei modelli di armi, militari e milizia. Una maggiore interazione con l’ambiente e con le abitazioni in seguito all’impatto di esplosioni e proiettili aumenterebbe il grado di immersione, mentre il comparto audio beneficerebbe di qualche aggiustamento.
Con una ricca roadmap già annunciata e sviluppatori già all’opera sulla base del feedback dei giocatori, Six Days in Fallujah ha ampi margini di miglioramento e deve sfruttarli, poiché potrebbe diventare uno dei simulatori militari migliori a disposizione dei giocatori. Quella attualmente proposta su Steam è in sintesi una demo dal costo proibitivo, che verrà accettato soltanto da coloro che seguono lo sviluppo da anni e lo aspettano come gli amanti del calcio attendono Fifa (ora EA Sports FC) ogni anno. Solo in futuro, con l’inserimento di missioni aggiuntive e la risoluzione dei non pochi problemi ora presenti, il cartellino potrà essere accettato anche da chi si sente attratto da Six Days in Fallujah. Al momento, è un orrore per pochi.