Non il migliore dei giorni, per Selene. Un atterraggio di fortuna che sfiora lo schianto in un pianeta inospitale, dispersa in una foresta di Atropos dove le minacce, anche se ad un primo occhio non si vedono, si possono respirare ad occhi chiusi. Pochi timidi passi sotto una pioggia battente, col respiro affannato e l’ansia di chi sa di esser viva per miracolo, senza però sapere ancora per quanto. Poi, di colpo, una minaccia aliena, veloce e letale, spunta dalle fronde: i colpi illuminano il buio, i nemici aumentano e la foresta sembra lì lì per inghiottirla. Selene resiste, schiva, attacca con l’anelito di forza che la disperazione le concede: ma la salute è presto al limite, il caricatore della pistola è ad un passo dal surriscaldamento e la difesa che la tuta spaziale le può offrire, ora, è praticamente nulla. Un estremo sforzo sovrumano per eliminare anche l’ultima creatura rimasta: ma qualcosa si muove alle sue spalle, e non ci sono abbastanza istanti per schivare quella letale scia blu che, irrimediabilmente, la colpisce. Una fitta lancinante, l’ultimo respiro le strozza un grido e poi il buio: ma non è ancora finita. La pioggia batte ancora incessante sul casco, il vento sferza sulla vegetazione lussureggiante della foresta che ha malsanamente accolto Selene. E il relitto della sua nave è ancora lì, quando lei apre nuovamente gli occhi, come nulla fosse mai successo. O, piuttosto, come se lei fosse all’interno di un loop temporale che si resetta con la sua morte, riportandola ogni volta al punto di partenza. Dove nulla però è più uguale a prima, Atropos in primis: dove, forse, ogni “ritorno” potrebbe essere un passo in più verso una dannazione eterna e senza via di fuga. Seguiteci insieme a Selene nella nostra recensione di Returnal.
Benvenuta su Atropos
In questi primi giorni di Returnal, s’è fatto un gran parlare in merito al genere di appartenenza del titolo Housemarque. Questa prima esclusiva per PlayStation 5 appartiene chiaramente al filone dei rogue-like, segmento noto per essere non solo dannatamente punitivo, ma anche caratterizzato, per propria stessa natura, da un gameplay “a run successive” dove il fallimento di ciascuna comporta il dover re-iniziare da capo l’intera avventura. Returnal percorre il solco già tracciato da opere memorabili come Hades o il sempre ottimo Dead Cells, permettendo tuttavia – come vedremo a breve in dettaglio – di salvate pochi specifici item e potenziamenti da una run all’altra, fattore che ha contribuito a coniare il termine rogue-lite. Chiariamo da subito una cosa: questo tutto fa tranne che tradursi in un’accessibilità maggiore del titolo, che si rivela ostico e spietato praticamente da subito. Diciamo pure che, nelle prime ore di gioco, l’aver sbloccato un’arma da mischia o uno speciale rampino permetteranno sì di esplorare e di velocizzare alcuni passaggi, ma l’impressione di “dover ricominciare da capo” per l’ennesima volta si farà sentire in modo crudele e, credeteci, meraviglioso allo stesso tempo.
Returnal si compone di sei livelli principali, chiamati Biomi, ciascuno dei quali controllato da un boss – inevitabile, ovviamente, per progredire nella narrazione principale. La generazione dei livelli è organizzata su base procedurale, pertanto ad ogni run sarà impossibile non notare modifiche sostanziali alla mappa di gioco percorsa anche solo al giro precedente: alcune aree saranno modificate profondamente, altre saranno “shiftate” con un ordine differente rispetto a quanto atteso, garantendo in questo modo una sempre costante diversificazione della run. Anche i nemici presenti nelle varie location subiranno questo destino, e maggiore sarà la progressione nel gioco (e, parimenti, il numero di razze aliene incontrate), maggiori saranno le rispettive ricombinazioni e le possibilità di incontrare creature differenti – spesso brutalmente over powered – anche in aree di gioco iniziali. La proceduralità di Returnal funziona in modo esemplare, garantendo costantemente un livello di sfida che vira in modo preoccupante verso l’alto e richiede al giocatore un mix di riflessi, coordinazione e immancabile strategia – le occasioni in cui lo schermo si riempie istantaneamente di sfere energetiche, palle di fuoco e nemici che arrivano da ogni dove si perdono all’infinito già nella prima run. Ma, come già anticipato, nelle stupefacenti location di Atropos non saremo del tutto abbandonati a noi stessi.
The end is the beginning of the end …
Il piatto forte di Returnal, in estrema sintesi, è la sua ciclicità. La morte di Selene non è definitiva, ma è al contrario il “canale” attraverso cui si espleta il concetto di ricorsività che governa l’essenza dell’universo di Atropos. Morire in battaglia ci riporte costantemente al punto di partenza, a pochi metri dai rottami della navicella da cui tutto ha avuto origine. E tutto ha inizio di nuovo, come se nulla fosse mai successo: ma, l’avrete capito, non sono certo questi i piani dei designer di Housemarque. Se narrativamente la stessa Selene, ciclo dopo ciclo, matura sempre più la consapevolezza di questa situazione paradossale (complici gli audio-diari spari per il pianeta e gli incontri, spesso pericolosi, con il suo stesso corpo esanime, caduto nelle battaglie precedenti), anche il gameplay di Returnal adotta accorgimenti intelligenti che lo rendono una mosca bianca di caratura primaria all’interno del proprio nucleo di appartenenza.
Gran parte dei collezionabili e dei potenziamenti disponibili su Atropos non è permanente nel passaggio da un ciclo all’altro. È questo il caso degli Oboliti, una sorta di energia aliena cristallizzata che funge, in questo scenario, da moneta spendibile in game per accedere a potenziamenti per armi, salute, item speciali e via dicendo. Anche per questi ultimi vale il medesimo destino: potranno essere raccolti, equipaggiati (in base agli slot disponibili di Selene) e utilizzati nella sessione corrente, ma saranno persi inesorabilmente in caso di morte della protagonista. Sotto questo fronte, il bilanciamento del gioco è ottimale: la varietà di perk e potenziamenti offensivi/difensivi è encomiabile, e – man mano che la pratica aumenta – permette ai giocatori più bravi di modellare un proprio stile di combattimento personale. Il che, inutile dirlo, diventa fondamentale quando, superato il giro di boa, ciascun bioma è un autentico inferno. Non bastassero tali collectibles a rimescolare per bene le statistiche di Selene, arrivano anche i parassiti, organismi alieni di natura simbiotica che, una volta “connessi” alla protagonista, le garantiscono ulteriori skill uniche – in alcuni casi al limite del game-changer. Il tutto però ha un prezzo: qualsiasi vantaggio fornito viene soppesato da un malus, più o meno sensibile, che il parassita porta con sé (calo della difesa, abbassamento della maestria delle armi, letteralmente mille altre cose): cosa equipaggiare, o in generale SE equipaggiare un parassita, sarà dunque visceralmente legato all’andamento della run. Una mossa folle nel mezzo di un ciclo tutto sommato positivo, potrebbe rappresentare invece l’unica via di salvezza quando la situazione attorno a noi è ad un passo dal tracollo. Ovviamente, anche i parassiti non sopravvivono al concetto di ciclo, e saluteranno il loro ospite alla nostra morte.
Elencare tutte le cose run-dependant di Returnal sarebbe inutile, oltre che estremamente lungo: al netto di tutti gli oggetti strettamente legati all’evoluzione narrativa della storia, praticamente qualsiasi altro oggetto raccolto da Selene muore con lei nel passaggio da un ciclo all’altro. Fa eccezione l’Etere, rarissimo materiale utilizzabile sia per purificare scrigni, Oboliti e chiavi maledetti (che, altrimenti, portano in dono una probabilità più o meno alta di mandare in avaria la nostra tuta spaziale), sia per attivare il Replicatore del Bioma – che, in soldoni, è l’unica cosa di vagamente simile ad un save-game disponibile in Returnal. E ovviamente è una delle prime cose con cui vi suggeriamo di familiarizzare, laddove vi darà una chance in più (in modo simile alla Statuina dell’Astronauta) per ripartire da dov’eravate arrivati senza passare per l’odiata navetta. Aggiungiamo pure gli Infocubi, misteriosi xeno-relitti che, tramite opportuno macchinario, permettono di upgradare armi, tuta o altre skill di Selene in modo permanente: ma, per quanto si tratti di orpelli dannatamente utili, avrete già capito che, da un ciclo all’altro, non vi ritroverete certo con le tasche piene di roba…
Shooting di altissimo livello
Inutile sottolineare che, in un titolo che a tratti sembra la reinterpretazione in terza persona di Ikaruga misto agli Xenomorfi di Prometheus, la componente shooting è parimenti importante alla gestione del loot appena descritta. Prima di festeggiare, ricordatevi però che tutte le armi da fuoco di Returnal sono run-dependant: l’unica compagna fedele al vostro fianco dall’inizio alla fine sarà la sola pistola di Selene. Pistola che all’inizio vi sembrerà poco più che una spara-coccole, visti i mostriciattoli che attendono di friggervi nei modi più disparati, ma che in realtà cela qualche sorpresa. Questo grazie alla meccanica dei tratti, aggiunta interessante del titolo Housemarque che permette di sbloccare “skill” specifiche di ciascuna arma, a patto di utilizzarla con costanza attraverso i biomi. Ebbene, i tratti sono costanti, quindi accompagneranno Selene da un ciclo all’altro – a patto di essere abbastanza fortunati da recuperare la stessa arma al ciclo successivo. Ogni bocca di fuoco ha due varianti differenti (identificabili da un diverso “colpo alternativo”) ciascuna con i propri tratti – quindi attenti a non fare confusione. All’aumentare della progressione non solo verranno sbloccate nuove armi, ma saranno disponibili versioni più potenti di quelle in vostro possesso: scegliere se affidarsi alle nuove arrivate, magari all’apparenza più potenti, a sfavore di altre per le quali il vostro livello di maestria è già salito, fa parte esclusivamente della vostra tattica e del modo in cui decidere (di morire) di approcciarvi al playthrough. Di sicuro, affezionarsi ad una sola tipologia di arma da fuoco non è la soluzione migliore, visto che nemici – e boss in primis – sono particolarmente versatili e godono di punti deboli che, in molti casi, specifici attacchi non sfiorano nemmeno…
Al netto della meccanica di ricarica veloce delle armi e annesso sovraccarico, combo letale con cui dovrete imparare presto a convivere, la gestione dei boss è uno dei passaggi cruciali nell’avanzamento della storia di Returnal. Non tanto perché si tratti di sfide difficilissime dove riflessi, coordinazione e padronanza delle schivate sono la base per sopravvivere, ma anche perché il loro superamento è molte volte legato all’arma che stringerete tra le mani una volta raggiunta la relativa arena. Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle, dopo una mezza dozzina di cicli andati a vuoto, come la bocca da fuoco giusta – e, inutile dirlo, la build di perk, potenziamenti e item favorevole – rendano questa sfida più abbordabile. Ne consegue che, anche una volta sbloccato il percorso per correre velocemente alla boss fight, buttarsi a testa bassa per riprendere istantaneamente la rivincita sia tutto tranne che un’idea intelligente: meglio, piuttosto, perdersi nuovamente nel bioma alla ricerca di qualsiasi collezionabile la sorte procedurale vi porti in dono, visitando sia le aree secondarie accessibili (identificate nella mappa dai portali triangolari), sia quelle “segrete” sparse nelle aree più pericolose. Una volta “pronti”, e solo a quel punto, fate un bel respiro e scendete nuovamente nel campo di battaglia: e ricordate, una volta sconfitto un boss, questi non sarà più presente alla run successiva, con tanto di percorso veloce già sbloccato per accedere al bioma adiacente.
Next gen, finalmente…
Giunti a questo punto, avrete capito che il mix di Housemarque non solo gode di personalità e stile unici, ma offre allo stesso tempo un gameplay frenetico e punitivo con cui instaurerete inesorabilmente un rapporto di amore-odio come poche cose sino ad oggi. E nonostante le crisi di nervi a cui andrete incontro, le grida contro lo schermo e il numero di volte in cui scagliereste DualSense contro lo schermo, l’ultimo nato del papà di quel capolavoro di Resogun funziona che è una meraviglia. Se proprio vogliamo trovare il proverbiale elemento debole in questa ricetta vincente, forse, lo dovremmo cercare all’interno della compagine narrativa: che sia chiaro, tutto è tranne che pretestuosa o priva di mordente. I segreti di Selene, materializzati in quella casa del XX Secolo che appare dal nulla tra le foreste di Atropos, sono estremamente accattivanti e, complici i diari nascosti nei biomi, spingono fortissimo sulla curiosità del giocatore, dandogli un ulteriore stimolo per venire a capo della delicata questione. Il cuore della faccenda, tuttavia, è che un titolo come Returnal è composto per il 90% da gameplay e per il 10% da narrazione: tradotto, Housemarque racconta una storia che merita d’essere ascoltata, ma la frenesia della lotta, la tattica necessaria a sopravvivere ai biomi, lo studio degli item per migliorare la propria build e via dicendo ne usurpano rapidamente l’importanza, divenendo rapidamente i focal point dell’intero playthrough.
Fatta quest’ultima postilla, chiudiamo l’analisi di Returnal soffermandoci su un ulteriore punto a favore del titolo, il comparto tecnologico. Dal punto di vista grafico c’è davvero pochissimo da dire: 4K e 60 fps, ogni elemento del titolo è ispiratissimo e realizzato con estrema cura, design dei nemici in primis. Le atmosfere che tanto sanno di Ridley Scott sono convincenti e, per quanto vaste ed enormi, riescono a trasmettere un senso di claustrofobia opprimente, complice quella sensazione di sentirsi perennemente braccati e soverchiati dal nemico. Certo, inevitabile un riutilizzo evidente degli asset di gioco (specie in termini di scenario): ma per un titolo procedurale come Returnal, come potremmo definire senza troppi indugi la prima Tripla A rogue-like apparsa sul mercato, è un dazio che si paga senza pensarci due volte. Visivamente, lo ribadiamo, Returnal è tanto bello da vedere quanto doloroso da affrontare, quando lo schermo si riempie di sfere energetiche in direzione di Selene: sulla recitazione della protagonista, visibile chiaramente nelle sequenze video, e annesse animazioni, ancora una volta niente da dire. Un livello altissimo che, finalmente, inizia a fare capolino sull’ammiraglia di casa Sony.
Dove Returnal eccelle ulteriormente è nel comparto audio: l’Audio 3D di Sony è un’autentica manna dal cielo per il titolo, che regala un’immersione strepitosa specie se affrontato in compagnia delle Pulse 3D. Il suono della pioggia sul casco di Selene, i tuoni in lontananza, la foresta battuta dal vento e le “grida” degli alieni quando entrano nel campo visivo sono alcuni degli elementi che, grazie alla spazializzazione sonora del Tempest Engine, donano un ulteriore grado di realismo all’avvicendarsi delle gesta della nostra eroina. Il risultato è assolutamente pazzesco, e va ben oltre quanto sinora avessimo sperimentato in campo ludico. A questo si aggiunge un supporto intelligentissimo di DualSense, che si concretizza sia in un sistema di Rumble di precisione chirurgica, sia e soprattutto in un supporto intelligente ai trigger adattivi: la resistenza offerta da tali pulsanti è significativa, soprattutto nel caso di quello sinistro – che, a seconda del livello di pressione, mette in canna un colpo normale o speciale. Piccoli accorgimenti, questo è chiaro, che testimoniano la ricerca certosina di Housemarque di dar vita ad un prodotto con un’identità ben definita. Una ricerca che, credeteci, si può dire assolutamente riuscita.
Ci fossero ancora dubbi a riguardo, Returnal è la dimostrazione perfetta di come Sony, in questa nona generazione, creda e spinga fortemente progetti trasversali, dove innovazione e sperimentazione vanno a braccetto nel tentativo, non sempre scontato, di offrire esperienze stratificate e diversificate all’utente finale. Quattro anni sono voluti ad Housemarque per portare alla luce questo rogue-like Tripla A di altissimo livello: e l’attesa, lo saprete tutti, è stata abbondantemente premiata da un titolo che, assieme ad Hades, verrà ricordato da qui in avanti come uno dei paradigmi del genere. Returnal è un tripudio di azione e di frenesia, un loop irrefrenabile che, come un buco nero, trascina il giocatore in un vortice di emozioni dove la rabbia e la frustrazione fisiologica vengono trasformate progressivamente in quella benzina che, ciclo dopo ciclo, ci accompagna all’epilogo. Un’avventura sulla cui durata è inutile pontificare, che lascerà un segno indelebile su milioni di giocatori: non è un titolo per tutti, questo è assodato, ma è una di quelle esclusive così dirompenti da dare un senso assoluto ai primi mesi di nuova generazione. Che amiate il genere o meno, essere tra i pochi possessori di PS5 e non dare a Selene una possibilità sarebbe uno di quegli errori a cui nessun loop temporale potrebbe trovar rimedio.
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Voto Game-Experience