È impossibile non scorgere le influenze videoludiche, ancor prima che culturali, che hanno segnato lo sviluppo di Yonder: The Cloud Catcher Chronicles, opera prima dello studio Australiano Prideful Sloth. Cheryl Vance e Joel Styles, fondatori della giovane software house nonché veterani dell’industria, non fanno segreto di aver tratto ispirazione dai giochi che hanno segnato la loro vita, a partire da Zelda e The Elder Scrolls, fino ad arrivare a serie ideologicamente distanti come Harvest Moon, ma che comunque condividono una struttura, grossomodo, a mondo aperto. Peccato che, nonostante le buone premesse e la comprovata esperienza del team, il titolo, già disponibile su PS4 e Steam, non riesca a convincere appieno, nonostante provi con tutte le sue forze a puntare in alto, oltre quelle nuvole che danno forma al sottotitolo del gioco.
PICCOLI CACCIATORI DI NUOVE CRESCONO
Le vicende che sottendono la storia narrata in Yonder: The Cloud Catcher Chronicles, ricalcano grossolanamente quelle raccontate in The Legend of Zelda: Breath of the Wild, incentrate su di regno in rovina (Gemea) collocato su di una (non più) fiorente isola ormai funestata da venefici miasmi che hanno costretto alla fuga l’intera popolazione.
Il linguaggio adoperato per la narrazione, qui, è essenziale, privo di virtuosismi, quasi a voler rimandare – senza però riuscirci – a una certa tipologia di opere che non demanda a uno scambio di battute il compito di istruire il giocatore su fatti e circostanze, bensì lascia la “parola” al mondo circostante e ai suoi simbolismi. Esempi, in tal senso, non possono che essere il già citato Breath of the Wild, Little Nightmares o il più recente Rime. Yonder, a dispetto di questi titoli, manca di dialettica, non tenta di intavolare un discorso con il giocatore lasciandolo, solo, al comando di un anonimo protagonista la cui creazione è demandata a un fin troppo semplicistico editor. Sarà comunque possibile agghindare il proprio alter ego con vestiti di ogni fattura e forma, acquistabili nei tanti negozi sparsi per il mondo o rinvenibili qua e là dentro qualche scrigno mentre, magari, si è alla ricerca di fiori, semi, minerali o quant’altro sia necessario per l’espletamento delle proprie mansioni, principali o secondarie che siano. Tempo, ora e stagione permettendo, sia chiaro. Cercare funghi in estate potrebbe essere più complicato di quel che si possa pensare, così come catturare alcuni tipi di pesci in inverno, con gli specchi d’acqua congelati nelle regioni più fredde, un vero incubo. Ma di cose da fare, anche nei periodi dell’anno per così dire “sbagliati”, ce ne sono a bizzeffe, a partire dalla caccia ai 26 folletti che popolano Gemea, unica arma contro l’inarrestabile miasma che ha pervaso il regno. Queste magiche creature, infatti, sono in grado di dissipare le concentrazioni venefiche che affliggono la terra, liberando contestualmente l’acceso a nuove zone della mappa, prima precluse.
Oppure, ci si potrà tuffare nella ricerca dei numerosi collezionabili, tra paffutissimi gattini appartenenti alla gattara di un villaggio e costellazioni intrappolate in pietre ancestrali da liberare e risplendere fulgide nel cielo notturno. Elementi spalmati su di una mappa di gioco non particolarmente estesa a dire il vero, ma che si rivela, paradossalmente, un ottimo contraccettivo alla noia e alla frustrazione scaturiti dal dover correre avanti e indietro da un punto all’altro dell’isola senza soluzione di continuità. Certo, sarebbe bastato velocizzare gli spostamenti attraverso l’uso di qualche strumento o introdurre dei validi punti di teletrasporto, immediati e di facile utilizzo per rendere l’esperienza meno tediosa, ma, purtroppo, così non è stato.
Eppure, nonostante i difetti e le imperfezioni in cui annaspa, Yonder riesce a farsi apprezzare grazie alla più sottovalutata delle doti, cioè la sua semplicità. Seppur mutuando aspetti da titoli ben più blasonati come Harvest Moon o il più recente Stardew Valley, l’opera di Prideful Sloth riesce a ritagliarsi il proprio spazio e una propria identità adottando scelte coraggiose come quella di rinunciare a qualsivoglia forma di combattimento in favore di sistemi alternativi per ampliare la proprio inventario. L’accumulo di risorse, nel regno di Gemea, passa attraverso l’allevamento dei tenerissimi e buffi animali che popolano l’isola, ognuno in grado di produrre materiale differente e in quantità variabile a seconda della qualità della fattoria nella quale alloggiano. Anzitutto sarà necessario costruire e collocare sul terreno stalle, mangiatoie e quant’altro possa tornare utile a far sentire a casa i nostri amici pelosi; dopodiché basterà assumere un aiutante a tempo pieno per tenere la struttura pulita e ordinata e il gioco è fatto.
In realtà, Yonder consente di edificare su appositi terreni, ben più di una sola fattoria di cui prendersi cura nel corso del gioco: operazione non strettamente necessaria ma comunque utile per accelerare il processo di raccolta dei materiali e limitare, così, la compravendita con i commercianti del posto. Ogni transazione, però, non si traduce nel classico scambio oggetto/valuta, bensì in semplice e puro baratto. Potrà sembrare complesso e artificioso all’inizio destreggiarsi tra il proprio inventario e la merce messa disposizione dai mercanti ma basterà qualche ora per imparare a padroneggiare il sistema e, materiali alla mano, gettarsi a capofitto nella creazione di oggetti e costruzioni. Come avviene in Dragon Quest Builders, anche qui sarà necessario munirsi dell’apposita ricetta prima di mettersi ai “fornelli” e realizzare piatti prelibati, lingotti di acciaio o semplicemente una stalla in legno per i propri animali. Ovviamente le formule non cresceranno sugli alberi e il primo passo per ampliare le proprie conoscenze sarà divenire allievi delle gilde (sei in tutto) che detengono il sapere legato a uno specifico ramo tecnico/artistico: dalla cucina alla sartoria, fino all’edilizia. Sempre che riusciate a trovare i capi mastri sparsi per il mondo.
QUESTIONE DI STILE
Graficamente parlando, Yonder è una continua alternanza tra cose fatte bene e altre meno.
Se lo stile risulta essenziale e offre paesaggi 3D pieni di vita e piacevolmente colorati, dall’altro la poca varietà, oltre che una certa ripetitività degli ambienti, penalizza la resa finale del titolo, già piagata da uno spiacevole e persistente effetto aliasing.
Ottima compagna di avventure, invece, la colonna sonora che richiama alla mente, seppur non raggiungendone i fasti, le opere realizzate dal maestro Koji Kondo.
PRO
- Tante cose da fare e tante da scoprire
- Il sistema di crafting è semplice ma efficace
CONTRO
- Pessima gestione degli spostamenti da un capo all’altro della mappa attraverso il teletrasporto
- Tecnicamente non eccelso
VERSIONE TESTATA: PS4