L’uscita nel 2012 di Kingdom Hearts 3D: Dream Drop Distance su Nintendo 3DS destò non poco entusiasmo tra i fan di The World Ends With You, gioco di culto dell’era DS sviluppato dagli studi Jupiter e h.a.n.d. e pubblicato da Square Enix in America ed Europa nel 2008. Per la prima volta, nel mondo di Sora, Topolino e Riku fecero infatti il loro ingresso, in formato 3D, gli iconici personaggi del titolo, anche questo firmato da Tetsuya Nomura. Certo, Neku, Joshua, Beat, Rhyme e Shiki non avevano un mondo dedicato, relegati com’erano all’immancabile Città di Mezzo di KH, ma la loro sola presenza bastò a fomentare gli animi dei fan, desiderosi di tornare nella Shibuya spirituale di The World Ends With You ancora una volta. C’è da dire che già poco dopo l’uscita di KH 3D Square Enix aveva gettato acqua sul fuoco rilasciando, in barba a chi chiedeva a gran voce un seguito, una versione iOS del gioco denominata Solo Remix. Delusione replicata, in tempi recenti, con la presentazione della versione 2.0 del gioco per Nintendo Switch, disponibile dal 12 ottobre, dal nome The World Ends With You: Final Remix. Questa volta però, a differenza delle classiche rimasterizzazioni a cui Square Enix ci ha abituato negli ultimi anni, il titolo mette da subito in mostra tutto il lavoro resosi necessario in termini di estetica, colonna sonora e gameplay per cancellare quei dieci anni di troppo accumulati sulle spalle di TWEWY. Tutto ciò senza contare che, per la prima volta, il gioco gode finalmente di una localizzazione in lingua italiana e di un capitolo aggiuntivo alla storia: aspetti che, complessivamente considerati, giustificano ampiamente la cifra di 50 euro a cui il gioco viene venduto.
Il mondo finisce con te
The World Ends With You inizia e finisce a Shibuya. Sì, proprio il quartiere più caotico e camminato al mondo, un ricettacolo di moda e influenze straniere il cui luogo di culto è il famoso megastore di abbigliamento 109 (104 nel gioco), che si affaccia sull’ancor più rinomato incrocio visto tante volte alla TV e in qualche film ambientato a Tokyo. Proprio da questa piazza, TWEWY dispiega uno degli intrecci narrativi più riusciti del team di Nomura, che fa del mistero e del colpo di scena uno dei suoi punti di forza senza lasciare nulla al caso e offrendo, nel corso delle oltre trenta ore di gioco, un quadro chiaro e coerente di ciò che sta succedendo sullo schermo.
TWEWY si apre su un giovane ragazzo, Neku, tramortito al centro dell’incrocio di Shibuya. Tutto intorno a lui si muove freneticamente, in un flusso di volti senza nome e immagini e suoni sconnessi che riverberano dagli schermi pubblicitari sparsi nel quartiere. Neku di tutto quel caos non è mai stato parte: non segue mode, detesta i rapporti personali e ancor più dipendere dagli altri. Tutto il suo universo è nelle vistose cuffie viola che lo isolano e proteggono dal rumore del mondo esterno, ma al suo risveglio non è più lui a dettare le regole del “gioco”: dopo essere stato attaccato da Rumori, strane creature dalle fattezze animali, è costretto a legarsi a un partner per sopravvivere, sfruttando i poteri psichici contenuti in delle strane spille che si è ritrovato in tasca. Della presenza dei mostri, però, le persone intorno a lui sembrano essere ignare. E così è: Neku rappresenta infatti uno dei tanti partecipanti di un gioco al massacro organizzato da un gruppo di demoni, i Reaper (esseri umani con vistose ali nere), che si svolge su un piano astrale differente da quello nel quale si muovono gli abitanti di Shibuya. “Cuffiette” (come viene scherzosamente soprannominato nel gioco) può vedere e sentire, grazie alla sua Spilla Giocatore, i pensieri di chiunque si trovi nel quartiere, senza però poter interagire con loro: agli occhi dei passanti, Neku, i Rumori e tutti gli altri partecipanti al gioco, sono praticamente invisibili, salvo in alcuni locali contrassegnati da un simbolo posto dai demoni. Uno di questi, il Game Master, ha il compito di organizzare il gioco preparando sette missioni che i giocatori devono completare in sette giorni, ognuna entro un certo lasso di tempo: chi fallisce verrà cancellato; chi sopravvive potrà tornare alla sua vecchia vita. Quale sia il motivo che ha portato Neku a partecipare al gioco dei demoni è un mistero persino per lui che non ha ricordi all’infuori del proprio nome. Tutto ciò che può fare è completare le missioni, difendersi dai Rumori ed esplorare Shibuya, per lo meno quelle porzioni del quartiere di Tokyo che i demoni non hanno delimitato con barriere invisibili per impedire ai giocatori di scappare.
Ogni giorno sarà possibile visitare nuove zone prima inaccessibili, sbloccare alcune aree completando brevi incarichi e fare acquisti di abbigliamento o cibarie in uno dei tanti negozi sparsi per il quartiere. Ogni venditore propone un brand particolare e l’efficacia di spille e vestiti varia a seconda della moda del momento in quella specifica area; la stessa, si può influenzare combattendo con indosso il marchio che si intende rilanciare. Si tratta di una caratteristica che non verrà illustrata subito dal gioco ma che diverrà fondamentale nel prosieguo dell’esperienza. In fin dei conti, Shibuya è il centro nevralgico della moda giapponese, una vetrina che muta costantemente il proprio outfit per stare sempre un passo avanti alle richieste del momento. Ogni zona, area e persino vicolo ha la propria identità stilistica che traspare dal tratto ora marcato e dai toni caldi, ora delicato e morbido nelle scelte cromatiche. Una resa visiva esaltata dallo stile grafico adoperato, che richiama i fumetti shounen della tradizione giapponese in un susseguirsi di background iper dettagliati nei quali muovono i loro passi Neku e gli altri comprimari. Persino gli edifici, nella loro straniante sproporzionalità, necessaria ad aprire il più possibile la visuale del giocatore, sono espressione delle tendenze del momento: pubblicità di cemento in continuo divenire.
Questa reinterpretazione di Shibuya – estremamente fedele nel riproporne la topografia – riesce a catturare l’essenza del luogo reale, sostenuta da una colonna sonora importante (arrangiata e remixata appositamente per questa riedizione) che già nell’originale offriva quella commistione di generi che da sempre caratterizza il pop giapponese: dal metal all’elettronica fino a sfociare nell’hip hop, sfumando con una tale naturalezza dall’uno all’altro da sembrare un’unica, magnifica traccia.
Un lavoro enorme pari almeno a quello svolto sull’intero comparto grafico, qui completamente restaurato per garantire una nitidezza delle immagini impressionante e che raggiunge una risoluzione di 1080p in modalità dock.
Ma la modifica più sostanziale di TWEWY: Final Remix è stata sicuramente dettata dalla mancanza del doppio schermo di cui godeva il Nintendo DS e riguarda, non a caso, il sistema di controllo. Ma andiamo con ordine.
L’intero gameplay ruota intorno alle spille, vere e proprie armi che donano a Neku capacità sovraumane, come congelare i nemici, scatenare terremoti o tirare fendenti psichici in rapida sequenza. Ognuna di esse accumula esperienza in combattimento e può, al pari di Neku, salire di livello incrementando le proprie statistiche oppure, in alcuni casi, evolvere in tipologie più potenti e performanti. È possibile arrivare a equipaggiarne fino a un massimo di sei alla volta, nonostante gli slot di partenza siano limitati a uno. In ogni caso, ciascuna spilla per essere attivata richiede di eseguire un certo tipo di movimento che può limitarsi al semplice tocco dello schermo o allo swipe in una determinata direzione. Per consentire l’utilizzo del titolo in ogni situazione, è stato tuttavia introdotto un duplice sistema di controllo: quello touch, di cui si è parlato, da sfruttare in mobilità (non molto comodo a dire il vero, vista la larghezza della console), e quello attraverso un singolo Joy-Con, con Nintendo Switch in modalità stand o inserita nel dock. In quest’ultimo caso, il controller svolge una funzione di puntatore simile a quella del Wii Mote che, combinata alla pressione dei dorsali, consente di spostare Neku e attivare le singole spille. Purtroppo però, anche se è possibile ricalibrare velocemente il Joy-Con indirizzandolo verso lo schermo e premendo un tasto, la mancanza di una barra sensore fa sì che troppo spesso il cursore si disallinei, spiazzando il giocatore per qualche secondo; in compenso, quando calibrato i movimenti del controller risultano essere molto precisi e consentono di eseguire buona parte delle azioni richieste senza sforzo. Bisogna inoltre sottolineare che spesso la somiglianza tra i movimenti che attivano le spille rischia di innescare poteri diversi da quelli voluti, senza contare che alcune abilità risultano molto più facili da attivare con il touch screen rispetto al Joy-Con e viceversa: il consiglio è quello di predisporre due set di spille differenti da utilizzare a seconda che si giochi sfruttando l’uno o l’altro sistema di controllo.
Altra differenza, di non poco conto, rispetto alla versione per Nintendo DS del gioco riguarda i combattimenti: se sulla vecchia portatile l’azione era divisa sui due schermi, quello in basso dedicato a Neku e quello in alto al suo partner, qui si svolge in sincrono sul medesimo piano. Il partner di Cuffiette può essere richiamato nello scontro attraverso uno specifico movimento sullo schermo, così da dar vita a combo devastanti con gli attacchi di Neku che incrementano anche l’apposita barra di sincronizzazione. Questa, una volta carica, permetterà di effettuare un attacco speciale dalla potenza incalcolabile che farà piazza pulita dei nemici in pochi secondi. Anche in questo caso, però, non sarà sempre facile eseguire gli attacchi combinati senza che si attivino spille indesiderate, e per non incorrere in questo problema è stata aggiunta una modalità co-op che consente a due giocatori di impersonare Neku e partner simultaneamente, ognuno con il suo Joy-Con; quest’ultimo ha tuttavia un set di spille predeterminato e la sua influenza all’interno di TWEWY è limitata esclusivamente alle fasi di combattimento.
Ci sono due modi in cui è possibile ingaggiare uno scontro: volontariamente, ricorrendo al potere di scansione di Neku e toccando uno dei simboli rossi che fluttuano sullo schermo, o obbligatoriamente, come ad esempio nel caso dei Boss. Vi sono numerose tipologie di Rumori contro cui combattere nel corso del gioco (ben 123, per l’esattezza) e questo spiega, di converso, la presenza dell’enorme quantità di spille disponibili. Ciascun nemico, oltre a essere esteticamente molto intrigante, vanta una quantità di animazioni eccezionale, oltre a un pattern di attacchi molto vario. C’è da dire però che, nonostante sia possibile selezionare il grado di difficoltà o addirittura ridurre il proprio livello per incrementare la possibilità di ritrovamento degli oggetti, soltanto alcuni Boss presentano un tasso di sfida elevato e richiedono di utilizzare le giuste spille per avere la meglio.
Sempre parlando di spille, oltre a svolgere le funzioni fin qui dette queste possono essere usate anche all’interno di un particolare minigioco chiamato Tin Pin. Lo scopo è semplice: scagliare le proprie spille contro quelle dell’avversario per buttarle giù da un ring. Oltre alla forza bruta, per vincere è sempre possibile ricorrere alle abilità speciali di ciascuna spilla, ognuna con uno specifico numero di utilizzi e distinte in quattro tipologie: Meteora, Aculeo, Martello, e Supporto. L’effetto delle prime tre sulla pin avversaria è il medesimo, cioè uno stordimento temporaneo; l’ultima invece, consente alla propria spilla di tornare in campo una volta che viene sbalzata fuori dal ring: una sorta di salvavita, insomma. Pur essendo un passatempo divertente, Tin Pin non è certo entusiasmante anche se, andando avanti nel gioco, troverà il suo spazio nell’evolvere della storia.
Pro
- Colonna sonora eccelsa
- Graficamente ammaliante
- Storia coinvolgente
Contro
- Sistema di controllo non sempre preciso
- Alcune spille risultano molto più facili da attivare con il touch screen rispetto al Joy-Con e viceversa