Avevo più o meno cinque anni quando mio padre, un pomeriggio, rincasò con una copia nuova fiammante tra le mani di The Legend of Zelda: A Link to the Past – in versione americana e con tanto di scomodissimo adattatore al seguito.
Troppo piccolo per avventurarmi da solo per le piane di Hyrule, troppo affascinato da tutti quei colori per riuscire a orientarmi. Fortunatamente, mio padre era sempre al mio fianco ogni volta che impugnavo il joypad del Super Nintendo: io guidavo Link, e lui guidava me consultando la mappa.
Ricordo bene ogni strappo, ogni singola piega di quel foglio di carta, così come le indicazioni riportate a penna per evidenziare dungeon, grotte nascoste o portacuori non ancora recuperati. Mi teneva per mano a ogni singolo passo, dicendomi dove andare e cosa fare… mentre io puntualmente me ne andavo a spasso per il solo gusto di giocare. E a pensarci ora capisco anche il perché di tutte quelle annotazioni.
Il tre marzo 2017 The Legend of Zelda: Breath of The Wild ha finalmente raggiunto gli scaffali dei negozi. Ma l’entusiasmo, una volta inserita la mini cartuccia nel Nintendo Switch, ha lasciato il posto alla malinconia.
Chi mi guiderà ora per le Piane di Hyrule? E quella sensazione di smarrimento è tornata ad assalirmi come ventidue anni prima. Un mondo troppo grande da affrontare e io, troppo piccolo per comprenderlo fino in fondo.
Ma a conti fatti Breath of the Wild è esattamente questo: un viaggio da assaporare attimo dopo attimo… mentre mio padre oggi se ne può rimanere comodamente sdraiato sul divano a guardare 90° minuto.
IL RESPIRO SELVAGGIO
Zelda: Breath of the Wild è un inno alla natura.
Una forza selvaggia, incontrollabile, che travolge ogni cosa al suo passaggio riappropriandosi dei propri spazi. Come un terremoto, un uragano… o una calamità. Per l’appunto, la Calamità Ganon: un mostro di essenza incorporea con cui gli abitanti di Hyrule ormai convivono da quasi un secolo. E l’umanità è andata avanti imparando ad accettare la sua presenza. A differenza dei tanti mondi post-apocalittici propinati dalle produzioni videoludiche degli ultimi anni, quello di Breath of The Wild non è un cumulo di macerie dietro alle quali i pochi sopravvissuti si sono trincerati in attesa di un riscatto. Villaggi, fiumi e praterie incontaminate e una natura rigogliosa costellano ogni angolo del globo. Se non fosse per qualche rudere sparso qua e là non sembrerebbe nemmeno esservi traccia del solco lasciato dalla Calamità.
La stessa Calamità contro cui persino Link non ha potuto far nulla, ridotto in fin di vita e costretto a un sonno ristoratore lungo ben un secolo.
Ed è col suo risveglio, che The Legend of Zelda: Breath of The Wild ha inizio: un eroe solo in un mondo di cui non ha più alcun ricordo e, al pari del giocatore, tutto acquista il sapore della scoperta perché, più di ogni altra cosa, ciò che lascia a bocca aperta in quest’ultima iterazione del franchise è proprio la libertà d’azione offerta. Arrampicarsi su ogni superficie, nuotare verso mete apparentemente irraggiungibili o usare lo scudo a mo’ di snowboard per discendere il fianco di una montagna senza che ci sia alcun tipo di tutorial a spiegarti cosa, come e dove, ha dell’incredibile. E tutto è semplice e immediato fin da subito.
Questo perché libertà e vastità costituiscono un connubio indissolubile in Breath of The Wild. La verticalità del mondo di gioco unita alla possibilità di planare da un luogo all’altro con la Paravela (una sorta di deltaplano), amplia a dismisura il senso di meraviglia ed esplorazione che pervade l’intero titolo. Decidere come e dove andare, se a cavallo, in volo o ricorrendo ai teletrasporto è una scelta demandata esclusivamente al giocatore.
Il colpo d’occhio offerto da ogni singolo ambiente è letteralmente estasiante: contribuisce non poco lo stile grafico adottato che ricorda, persino nell’estetica di Hyrule, le opere del maestro Miyazaki dello studio Gibli.
E volersi soffermare sugli sporadici cali di frame rate (ancor meno se giocato su Nintendo Switch in modalità portatile) è solo la dimostrazione di non aver colto quanto The Legend of Zelda: Breath of The Wild ha da offrire: un gameplay eccezionale e tanta, tantissima avventura, risaltata ancor più dalla splendida colonna sonora che accompagna il peregrinare di Link nelle piane di Hyrule. Poetica, malinconica, fedele eppur lontana dalla tradizione.
Indubbiamente la classica struttura che da sempre accompagna la serie di The Legend of Zelda è stata stravolta per adattarsi a questo immenso open world, ma la sua anima, davvero, è rimasta lì al suo posto. Scordatevi i classici livelli fatti di accessori, bussola, mappa e chiave del boss; per completare i quattro dungeon presenti in Breath of The Wild, basterà l’equipaggiamento che avrete già nell’inventario. Tutto ciò che Link ha a disposizione fin dal principio è la tavoletta Sheikah, una sorta di paddone del Wii U attraverso il quale sarà possibile far uso degli accessori che il giocatore potrà ottenere fin dalle prime battute. Parlo del Kalamitron, dello Stasys, del Glacyer e delle classiche bombe, che diverranno la chiave per risolvere ogni singolo enigma: che sia spostare un oggetto metallico, fermare un particolare meccanismo, creare colonne di ghiaccio o far saltare in aria una parete, poco importa.
A compensare il numero esiguo dei dungeon presenti nel gioco, a fronte della vastità di spazi e contenuti offerti, sparsi per Hyrule saranno presenti ben cento sacrari: mini-dungeon che nel 99% dei casi si configurano come dei puzzle in miniatura, ognuno diverso dall’altro e tutti curati fin nel più piccolo dettaglio. Anche qui la libertà di azione è massima e aguzzando l’ingegno non sarà difficile trovare modi alternativi (e molto più sbrigativi) per raggiungere il proprio obiettivo. Perché Breath of The Wild incentiva il pensiero laterale del giocatore, spingendolo a ragionare fuori dagli schermi e dalle meccaniche in cui, volente o nolente, finiscono per incartarsi la maggior parte delle produzioni contemporanee. Ma il vero rompicapo, in definitiva, è proprio il mondo di gioco.
Esistono decine di modi diversi per raggiungere la propria meta, lasciando anche qui una libertà mai vista tra le mani del giocatore. Tanto citare un esempio, a un certo punto si è costretti a raggiungere un sacrario collocato su una montagna innevata, ed è risaputo che tanto il freddo intenso quanto il caldo torrido non facciano bene al “cuore”. Potevo provare a cucinarmi qualche piatto a base di Caldoperone, un ortaggio che, oltre a esigue proprietà curative, vanta la capacità di scaldare il corpo di chi se ne ciba ma il suo effetto è (ovviamente) limitato, e quindi non mi sembrava l’idea migliore. Dopo aver girovagato per un po’ alle pendici della montagna, ho scoperto una piccola capanna con dentro un diario. Nel leggerlo ho appreso che “qualcuno” nella zona possedeva una tunica antifreddo ed era disposto a donarla in cambio di una ricetta di cui, però, aveva dimenticato uno degli ingredienti. Inutile dire che ho optato per la via del baratto. E tutto questo, senza il ben che minimo tipo di indicazione o aiuto da parte del dal gioco.
Appare chiaro che il mondo di Breath of The Wild abbia le sue regole ed essendo la natura la colonna portante di questo gioco non possono che essere legate a doppio filo con essa. Il clima dinamico influisce pesantemente sull’intero gameplay: basta un acquazzone per rendere le arrampicate praticamente impossibili a causa della scarsa aderenza, oppure un incremento della temperatura esterna per vedere infiammarsi un’arma in legno tra le proprie mani. Un consiglio: togliete ogni tipo di equipaggiamento in metallo durante un temporale se non volete trasformarvi in un parafulmini vivente.
PRO
- Tematica toccante e mai come oggi attuale
- Gameplay all’ennesima potenza
- Comparto grafico e colonna sonora da brividi
CONTRO
- Qualche lieve calo di frame rate
- …
- Davvero, non c’è altro da aggiungere
Versione testata: Nintendo Switch