Avete presente il cosiddetto “effetto farfalla”? Si tratta di una locuzione della fisica, più specificamente nella branca della teoria del caos: senza che ci si intrattenga a ricordare quello splendido personaggio cinematografico che è Ian Malcolm di Jurassic Park, la teoria del caos è tutt’altro che farfugliamenti teorici. L’effetto farfalla venne anticipato dal matematico Alan Turing con la frase “lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza”. Il caso, che quindi caso non è, può portare due eventi diversi e lontani ad influire su un terzo evento anch’esso diverso e lontano. Perchè questa lezione di statistica/fisica/matematica? Perchè il nuovo lavoro dello studio Supermassive Games mette come fulcro del gameplay proprio questo concetto. Già autori del celebre Until Dawn e dell’interessante Until Dawn: Rush of Blood per Playstation VR, i ragazzi del team britannico ampliano ulteriormente il setting di questa saga con un nuovo titolo in esclusiva per PS VR, a dimostrazione che la realtà virtuale è un mercato in rapida espansione. Quali tenebrose avventure ci aspettano in The Inpatient?
BUON ODORE, CATTIVO SAPORE
Gli eventi narrati in The Inpatient hanno luogo circa 60 anni prima della storia vissuta in Until Dawn. Verremo messi nei panni di un misterioso paziente che si trova nel Blackwood Sanatorium, amena località che risulterà sicuramente familiare agli appassionati del capitolo originale. Guidando i passi del paziente senza nome, dovremo cercare di scoprire cosa si cela dietro i nostri ricordi in un primo momento oscurati da una misteriosa ed opprimente amnesia: il luogo sembra tranquillo e quasi accomodante inizialmente, ma presto inizieremo ad addentrarci nella soffocante oscurità che permea ogni stanza dell’enorme struttura. The Inpatient abbandona del tutto i toni da “Horror B Movie” che caratterizzano Until Dawn in favore di una trama decisamente più matura e seria: il butterfly effect prima menzionato è parte integrante del gameplay, focalizzato sulle scelte da parte del giocatore che influenzeranno lo svolgersi della storia. Per prendere decisioni sarà sufficiente pronunciare la frase relativa: The Inpatient utilizza un software di riconoscimento vocale che permette di pronunciare semplicemente una frase per compiere la propria scelta. Meccanica interessante che si unisce al buon sistema di controllo ed interazione, ovviamente associato ai due PS Move. A differenza di molti titoli VR esplorativi che affidano il movimento al teletrasporto in zona (pessimo a mio avviso nel 90% dei casi) l’ultima fatica dei ragazzi di Supermassive Games utilizza un move per camminare tramite la pressione del tasto centrale mentre l’altro permette di ruotare su sè stessi in base alla direzione puntata.
Potersi muovere ed interagire adeguatamente utilizzando i Move è una piacevole sorpresa, ma ancor di più è piacevole osservare il buon livello tecnico offerto dalla produzione. Senza dubbio The Inpatient offre molto a livello visivo: il Blackwood Sanatorium si presenta molto bene ed offre scorci egualmente tenebrosi ed affascinanti. E’ chiara l’ispirazione del team di sviluppo a classici letterari come alcuni scritti di H.P. Lovecraft, ma pare che qualcuno lì dentro sia anche appassionato della bellissima serie TV Hannibal con protagonista il buon (si fa per dire) Mads Mikkelsen: alcune situazioni ricordano le oscure apparizioni del Wendigo in alcune puntate della serie. Doppiaggio interamente in italiano, ottima resa visiva e la particolare scelta di mostrare per intero il corpo del giocatore piuttosto che le classiche “mani volanti” tipiche dei giochi VR. Dov’è dunque il “cattivo sapore” citato nel titolo del paragrafo? E’ presto detto.
GIOCARE CON L’ANSIA, NON CON LE CORONARIE
The Inpatient si presenta sotto ottimi auspici che purtroppo crollano pezzo dopo pezzo a causa di un gameplay generalmente intrigante ma “rotto” in continuazione da una delle scelte peggiori che uno sviluppatore di videogiochi horror potrebbe fare: i jumpscares. Quei maledetti, infami momenti in cui si sceglie di offrire lo spavento più facile possibile ed al tempo stesso il più insopportabile se proposto troppo spesso. Osservi le architetture del Blackwood Sanatorium e BAM! Ti si piazza davanti al naso un’orrenda faccia urlante che ti spacca timpani e coronarie. Poi arriva l’ansia, ma non quella “bella” vista per esempio nell’indimenticabile sezione della caverna in The Vanishing of Ethan Carter. Lì il jumpscare arriva per chiunque abbia osato finire nel campo visivo del minatore non-morto, ma poi sai cosa ti aspetta ed il gioco viene fatto dall’ansia instillata dalla splendida e cupa ambientazione, dalla colonna sonora straniante, dagli effetti sonori raggelanti. In The Inpatient è un susseguirsi di spaventi gratuiti ed improvvisi che fanno saltare prima il cuore e poi la voglia di andare avanti: qualche spavento improvviso qui e là può starci senza dubbio, ma seguire le orme di Five Nights at Freddy’s è davvero una pessima idea soprattutto per un titolo VR che non ha certamente bisogno di simili mezzucci per affascinare o inquietare.
La cosa che fa più rabbia di The Inpatient è che si tratta di un grande potenziale sprecato: l’ambientazione è accattivante, il sistema di controllo più che dignitoso, eppure tutto viene rovinato quasi completamente dalla scelta di inserire numerosi ed improvvisi spaventi. Il jumpscare è il più “cheap” tra gli stratagemmi per dare un senso di paura, e non vi parla un ragazzino pavido che considera horror qualunque cosa meno colorata di un Kirby qualunque: ho amato e sviscerato titoli targati Frictional Games come Amnesia, completato la versione VR di Resident Evil VII, vivo “a pane ed horror”. Un gioco interamente focalizzato sul VR, a maggior ragione, dovrebbe andarci piano con certe scelte di gameplay proprio in favore dell’alto grado di immersività offerto dalla piattaforma. Il rischio è quello di sfiancare i giocatori con continui spaventi improvvisi che fanno perdere il gusto della storia nel vano tentativo di schivare l’ennesimo attacco di cuore. Se The Inpatient avesse limitato i jumpscares per dare più spazio alla trama, ai personaggi ed agli oscuri corridoi del Blackwood Sanatorium avremmo tra le mani un titolo VR di tutto rispetto in grado probabilmente di tener testa al gioco originale. In questo modo invece abbiamo solo un Five Night at Freddy’s in versione VR: se ne sentiva davvero il bisogno?
PRO:
- Ambientazione intrigante
- Sistema di riconoscimento vocale e sistema di movimento funzionali
CONTRO:
- Gameplay letteralmente avvelenato dalla presenza di jumpscares protratti oltre il sopportabile
- Controlli motion a volte imprecisi
Versione Testata: Playstation 4
Voto: 6