La saga di spadaccini firmata Bandai Namco ritorna oggi dopo un’assenza di sei anni, tuttavia ritroviamo i suoi eroi sempre intenti a sfidarsi all’arma bianca e a singolar tenzone, in un 1500 esotico, dove la storia si trasforma in leggenda ed è imbevuta di magia come fosse una spugna incantata.
SoulCantibur….Soulchintibur……”SOUL CALIBUR! IMBECILLE!”
SoulCalibur 6 si propone come il capitolo della restaurazione dell’ancienne regime, dopo la rivoluzione che aveva “ghigliottinato” buona parte del cast originale, sostituendolo nel quinto con dei personaggi che purtroppo non erano riusciti ad eguagliare il carisma dei predecessori. Gli sviluppatori hanno approfittato della lunga pausa per rielaborare questo ritorno come una nuova partenza, riallacciandosi soltanto agli eventi del primissimo Soul Edge, ma rinarrando praticamente da zero la storia originale. Una scelta più dovuta al ricucire i rapporti con gli appassionati e a scrollarsi di dosso un capitolo controverso, che non ad ammiccare ai nuovi giocatori, per i quali invece sono stati studiati dei piccoli accorgimenti nella giocabilità.
Le vere protagoniste della trama però rimangono le due lame Edge e Calibur, che rappresentano rispettivamente male e bene, le quali passano di mano in mano tra oriente e occidente e diventano strumenti delle loro stesse nature. Due artefatti che smobilitano spadaccini da ogni parte del mondo, intenti a cercarli per fini altruistici od obiettivi nefasti. Queste avventure vengono narrate in una modalità Cronaca che dipana le molteplici vicende nel corso di alcuni anni, mostrando su di una cartina i passi compiuti dai personaggi, sino a creare un mosaico che intreccia le trame e fa scontrare le lame con eguale frequenza.
Prima delle storie di cappa e spada
Tolta la sequenza principale, dedicata a Kilik e ai suoi amici, ogni combattente dispone del suo segmento, per seguirne il punto di vista attraverso una serie di scontri con la cpu e sequenze narrative incorniciate sulle illustrazioni di Hiroaki (artista già conosciuto dai fan di picchiaduro per il suo lavoro presso SNK).
Questa però è solo una parte della consistente offerta per il gioco in singolo che SoulCalibur mette a disposizione dell’utenza. Già in passato la serie si era distinta per l’elevato numero di ore che poteva garantire anche senza affrontare amici in salotto o online e pure questa volta non è da meno. Non mancano certo i classici duelli in locale e in rete, così come l’arcade mode più classico, ma il punto forte rimane la campagna, intitolata Bilancia dell’Anima. Qui, gioco di combattimento e di ruolo si sovrappongono, andando a coinvolgere un’altro aspetto tipico: la creazione dei personaggi. Iniziata la partita infatti viene chiesto di assemblare un personaggio selezionando una tipologia base che spazia dai classici esseri umani, sino a sfociare in innumerevoli citazioni all’iconografia medievale classica, al fantasy tolkieniano e allo sword&sorcery alla Conan, grazie alle altre classi. Su questi modelli si può agganciare lo stile di combattimento legato all’arma che più si preferisce, per poi concludere con una personalizzazione estetica che riguarda i tratti somatici, il doppiaggio e i costumi.
La progressione si articola lungo una serie di tappe, in cui affrontare gli avversari in condizioni normali, così come in situazioni “alterate”, che possono prevedere degli svantaggi mirati, per rendere gli scontri più frizzanti e stimolanti da giocare. Avanzando tra le caselle che rappresentano i luoghi visitabili, sarà possibile cambiare il proprio armamento, così come equipaggiare lame dotate di statistiche o effetti diversi, reclutare mercenari come supporto, usare oggetti per abilitare bonus passivi e accumulare punti esperienza utili ad incrementare il livello e statistiche di potenza e resistenza. Un approccio che a molti potrà sembrare anomalo, ma che riesce ad imbastire un’alternativa single player per rendere questo genere videoludico una valida forma di intrattenimento anche per i meno smaliziati verso il gioco competitivo. A completare il tutto ci pensano i numerosi extra come l’enciclopedia, la galleria di illustrazioni e locandine, i bozzetti preparatori, che possono servire ai neofiti per conoscere qualche retroscena in più sull’ambientazione, così come fungere da album celebrativo per chi ha provato tutti i precedenti capitoli.
Brandire una spada
Pad, o stick, alla mano, SoulCalibur rimane forse uno dei più intuitivi titoli di combattimento in commercio. Due pulsanti sono dedicati ai fendenti, orizzontali e verticali, uno per le parate e uno per i calci. Le meccaniche offrono all’utente più esperto molteplici strumenti per primeggiare, ma non ne mancano altri per rendere le cose più confortevoli ai meno navigati. Le supermosse infatti sono di facilissima esecuzione (forse troppo, dato che basta premere anche solo un pulsante dorsale), mentre le combo sono meno complesse rispetto quelle di altri concorrenti. Gli spostamenti in obliquo, che seguono la tridimensionalità dell’arena, sono effettuabili con più libertà rispetto a come richiesto dal “passetto laterale” di Tekken, creando quindi un contesto dove non ci sono scogli legati all’esecuzione manuale, lasciando libero qualsiasi tipo di giocatore di padroneggiare tutte le meccaniche con relativa facilità. Un aspetto questo che non va sottovalutato, dato che è possibile vincere una ripresa non soltanto per atterramento, ma anche spingendo il nemico fuori dal quadrante, pertanto la mobilità è stata resa quanto più dinamica possibile.
Per i veterani invece rimangono disponibili strumenti come la Guardia Reattiva, con cui deflettere i colpi e contrattaccare, o la Lama Caricata, la quale al prezzo di una tacca di energia speciale, attiva un boost che in mani capaci potrà essere sfruttato con risultati ben più incisivi rispetto alla supermossa citata sopra. Unica nota forse stonata è la Lama Inversa, che dovrebbe rappresentare una versione semplificata della Guardia Reattiva, anche questa evidentemente studiata su misura di principianti, ma che nell’attuazione pratica risulta piuttosto ambivalente. Dopo aver parato un colpo infatti si attiva una fase al rallentatore, dove ciascun giocatore può eseguire un comando, che verrà confrontato con quello avversario secondo un principio simile a quello di carta, sasso e forbice (ampliato ulteriormente includendo schivate e parate per renderlo più complesso) determinato così l’esito dell’ingaggio.
Per quanto questo sistema non sia abusabile, almeno stando alle prime prove, la sua utilità risulta però abbastanza ridondante. Non è comunque un meccanismo superficiale, dato che una componente di tattica è comunque presente, ma alla lunga finisce per sembrare una sovrastruttura che appesantisce l’architettura ludica di cui fa parte, più asciutta e fluida. L’idea degli sviluppatori è palesemente orientata ad offrire una parentesi per enfatizzare la tensione con dei momenti di climax che lasciano con il fiato sospeso, tuttavia lo stesso effetto si sarebbe potuto raggiungere grazie ad una semplice implementazione automatica del rallentatore durante determinati scambi di colpi, come succede già per Tekken 7.
L’elsa istoriata di una spada
Il motore grafico si basa sull’Unreal Engine 4, ma implementandolo in modo soltanto discreto. Ad un confronto con il quinto capitolo, questo sesto sembra beneficiare di un salto qualitativo contenuto, con risultati più vicini alla scorsa generazione che non a quella attuale. Lo stesso Tekken, prodotto sempre internamente a Namco usando l’UE4, ma dallo studio parente gestito da Katsuhiro Harada, ha compiuto un balzo ben più netto. L’effetto generale non fa quindi gridare al prodigio, tuttavia è estremamente fluido e stabile nel mantenere i 60 fotogrammi al secondo e riesce ad abbellire dei modelli poligonali non sempre eccezionali con dei gradevoli effetti di illuminazione. Il punto in cui si nota maggiormente questa debolezza è forse nella creazione dei personaggi, dove sembra spesso di ritrovarsi di fronte a del materiale copiaincollato da SoulCalibur 5 del 2012.
La rosa degli spadaccini ufficiali invece è più rifinita e sopratutto è composta da un’attenta selezione per garantire non soltanto i personaggi più carismatici, ma anche differenziare l’offerta degli stili di combattimento in modo veramente variegato. Diciamo pure addio ai personaggi fotocopia che in passato erano forse troppo frequenti nei picchiaduro Namco, dato che qui le somiglianze sono ben poche e anzi, gli stacchi sono sempre molto netti, sia nella varietà di lame da utilizzare, che nel parco mosse. Particolarmente apprezzabile la scelta di inserire Geralt di Rivia come personaggio ospite, che qui coniuga in modo calzante l’implementazione di un personaggio di richiamo all’interno dell’ambientazione e della giocabilità di questo titolo. Certo, lo strigo di The Witcher è forse più legato ad un contesto alto-medievale e non riesce a condividere l’epoca storica con la stessa sincronia che poteva vantare Ezio Auditore nell’episodio precedente, tuttavia la sua adattabilità alle meccaniche di gioco è decisamente migliore, rendendolo più gratificante in termini prettamente ludici. Non mancano comunque dei volti nuovi, questa volta più intriganti di quelli del 5, nella fattispecie Groh e Azwell, i quali non soltanto denotano un’identità originale, ma anche un character design e uno stile di combattimento di maggiore impatto.
Pro
- molti contenuti per gioco in singolo, tra cui un’ottima campagna con aspetti ruolistici
- rosa di personaggi ben assemblata, sia nelle caratterizzazioni che negli stili di lotta
- giocabilità apprezzabile da qualsiasi categoria di utenti
Contro
- grafica di qualità non sempre elevata