Rilanciare una serie è sempre un’attività complicata: da un lato bisogna mantenere i tratti distintivi, dall’altro sono necessarie delle innovazioni. Nel caso di Shadow of the Beast parliamo di un gioco proveniente da un’era dove molti aspetti erano abbozzati e ancora dipendenti da limitazioni tecniche abbastanza marcate, lasciando così carta bianca allo studio Heavy Spectrum per ricreare da zero il capolavoro di Psygnosis.
C’era una volta, su di un Amiga…..
Il primo compito degli sviluppatori è stato ricostruire il mondo di Aarbron; quella bizzarra e affascinante terra fantasy popolata di creature mostruose ed anacronistica tecnologia che si incastonava in maniera discreta nel mosaico. Da questo punto il lavoro svolto è encomiabile e raramente si è vista una simile cura nel riprendere elementi tipici ed ampliarli e migliorandone i dettagli. Karamoon ora è una landa variopinta e suggestiva, composta di secchi deserti dorati, morbide pianure lussureggianti, granitici castelli imponenti e cimiteri marcescenti che echeggiano alle atmosfere narrate da Robert Howard (autore di Conan il Barbaro). In tutto questo si inserisce una tecnologia futuristica e antica allo stesso tempo, sotto forma di navi volanti dalle forme insettoidi e una magia che spesso si confonde o si spiega con la scienza.
Il protagonista ora deve superare l’esame dell’alta definizione, mostrando per forza dei connotati più precisi rispetto l’aspetto essenziale sfoggiato ai tempi di pixel. Le fattezze bestiali assumono tratti inquietanti, composti da occhi vacui e privi di pupille, zanne sporgenti da una bocca che sembra fatta solo per azzannare e dilaniare e due artigli su ciascuna mano che ricordano il Wolverine più pericoloso. E similmente al personaggio dei fumetti, Aarbron è stato soggiogato per diventare un’arma al servizio di qualcuno, nella fattispecie lo stregone Maltoth, che lo rapisce trasformandolo in una bestia furiosa da usare come cane al guinzaglio.
L’avventura comincia così, tra sangue e rabbia, scenario perfetto per imbastire il massacro in cui la bestia eccelle; dopo aver ucciso il padre però, Aarbron riottiene la sua ragione umana, liberandosi dal giogo degli stregoni e partendo alla ricerca di vendetta.
La strage si articola lungo sette livelli in cui fare conoscenza con una buona varietà di razze che popolano Karamoon, ciascuna caratterizzata da un’aspetto particolare. Sia umani che mostri parlano lingue proprie, sottotitolate secondo una grafia incomprensibile, che ne fortifica l’identità esotica e fantasiosa, senza però penalizzare la comprensione di quello che alla fine rimane un semplice canovaccio. E’ tuttavia possibile sbloccare la traduzione, ma rimane superflua, limitando solo a specificare dettagli facilmente intuibili rispetto una narrativa che parla più per immagini e azioni, piuttosto che per parole.
Graficamente il lavoro svolto è encomiabile, SOTB poggia su di un motore sontuoso per un titolo indie, arrichito di effetti di luce, modelli e fondali ben dettagliati. La regia spesso offre raffinate soluzioni estetiche: personaggi che assomigliano a silhouette nere mentre si stagliano dinanzi al sole del deserto, inscenando scontri che sembrano balletti di ombre contornati di sangue. Oppure allargamenti e restringimenti di visuale, enfatizzando i campi larghi nelle fasi di esplorazione, rimpicciolendo l’eroe ed ingigantendo panorami ed architetture per amplificarne la maestosità, con un metodo simile a quello usato per God of War. Il sonoro invece ricalca musiche epicheggianti dal sapore tribale, molto familiari al pubblico di pellicole fantasy o sword&sorcery, tutte adatte alla storia.
……un Kratos bidimensionale
Il paragone con la saga di Kratos non è casuale visto che la raffigurazione della violenza è marcata, brutale, come nel titolo di Santa Monica. Aarbron dispone di un variegato set di mosse, capaci di produrre effetti diversi e dotate di animazioni differenti a seconda del tipo di nemico su cui vengono impiegate. Tra questi l’attacco base, un colpo stordente, una presa, una parata ed una contromossa, sono essenziali e vanno alternate con buon tempismo per ottenere risultati decenti nelle combo e per non essere colpiti dagli avversari. Nonostante questa immediatezza possa risultare troppo semplice giocando semplicemente per finire il titolo, il sistema di combo e il moltiplicatore di punteggio svolgono un ruolo importante per attingere alla varietà di azioni offerte.
Ogni combattimento difatti viene ricompensato con un grado, a seconda del punteggio ottenuto e dai colpi subiti, portando a variare gli attacchi e prestare bene attenzione ai colpi in arrivo. Svolgendosi su di un’asse orizzontale, le minacce possono arrivare anche alle spalle, portando a mettere in pausa una combo per usare una parata o una contromossa ed evitare che il danno subito azzeri la nostra sequenza. Il risultato è una danza di tasti abbastanza articolata, in cui non è consigliabile usare un solo pulsante senza badare alle azioni ostili.
Una supermossa consente di falciare i mostri rapidamente, usando una combinazione QTE molto serrata, consumando però tutta la barra del sangue necessaria per attivare artefatti (che offrono potenziamenti dopo essere stati raccolti) o mosse speciali. Queste ultime giungono in aiuto per semplificare alcuni processi, offrendo punti extra per aumentare il punteggio complessivo, ricaricare la barra del sangue o riguadagnare punti ferita, ma esponendo a facili counter se eseguite senza il giusto tempismo.
Questo meccanismo funziona abbastanza bene e offre una profondità adeguata per un titolo indie, richiedendo anche un metodo maggiore rispetto alla pressione continua di un solo pulsante. Tuttavia il modo in cui vengono orchestrati i combattimenti finisce per restringere il ritmo di gioco.
Queste sequenze avvengono in determinati punti della mappa, in cui gli avversari fuoriescono da due portali che “chiudono” l’estremità sinistra e destra, ponendo Aarbron al centro. Se ingabbiare il protagonista è un’espediente necessario per sfruttare il meccanismo di schivate, parate e contrattacchi sotto un’assalto incessante da ambo i lati, questo sistema alla lunga crea una certa ripetività e manca di conferire fluidità all’azione.
La soluzione migliore sarebbe stata alternare queste “gabbie” con combattimenti liberi, in cui la difficoltà restava sostenuta mescolando nemici con minacce ambientali, cosa presente nell’originale ma assente in questo. In questo rifacimento fasi platform e scontri sono quasi esclusivamente slegati tra loro e separati, questi ultimi spesso finiscono per diventare ripetitivi e fanno sentire la mancanza di una maggiore integrazione tra risse e salti, tra mostri che attaccano e spuntoni ferrosi da schivare in contemporanea.
Sbatti il mostro in prima pagina
Sul fronte della longevità non serve molto tempo per completare i sette livelli, ma esistono degli incentivi per aumentare le 3 ore e mezza necessarie alla sola campagna. Sono presenti diversi finali (ben 6), zone segrete, sequenze e bonus sbloccabili che offrono buoni spunti per riprendere in mano il gioco, aumentando la rigiocabilità e premiando il miglioramento delle proprie prestazioni con qualcosa di più di un semplice posto nella classifica online. Ottenere medaglie d’oro in alcuni scontri attiva altre battaglie nascoste, distruggere sfere e rinvenire rune regala nuovi filmati e artefatti. Giocare in modalità Difficile inoltre disabilita i continua infiniti, permettendo di riprendere dal punto del game-over solo utilizzando degli elisir, reperibili raggiungendo il voto massimo nelle schermaglie.
Questo sistema ridefinisce completamente l’approccio, obbligando a prestare attenzione ad ogni salto e padroneggiare il sistema di combattimento, per non soccombere e per ricevere al tempo stesso dei continua extra molto preziosi. Ogni scontro va affrontato esplorando il repertorio mosse e doversi guadagnare i continua scongiura ogni deriva verso la pressione distratta dei tasti.
Si può quasi dire che è a Difficile che SOTB mostra la sua vera essenza, facendosi apprezzare pienamente. Si tratta di un titolo inadatto a concedere troppi aiuti e semplificazioni ad un pubblico ormai disabituato a giocare senza continui checkpoint, che risulta snaturato e penalizzato nella longevità proprio per voler essere troppo accessibile a livello Normale.
Collegandosi online si abilitano anche delle incursioni contro altri giocatori, in maniera simile a quanto avviene rinvenendo le tracce di sangue di Dark Souls, ma questa forse è la meccaniche che appare più estranea e posticcia nel contesto. Decisamente più sensata la presenza dello Shadow of The Beast originale dell’Amiga,inserito come tributo insieme ad altri dettagli, bozzetti, musiche.
Pro
- Direzioni artistica eccellente e grafica di livello molto alto per un’indie
- Presenza di diversi finali
- Molte mosse e meccaniche articolate
- L’originale Shadow of the Beast come bonus
Contro
- Combattimenti gestiti in modo ripetitivo e rigido
- Scarsa durata della campagna principale