Sono ormai trascorsi due anni da quando il reboot di Tomb Raider del 2013 ha fatto conoscere a tutti la nuova direzione che Crystal Dinamics stava intraprendendo in questa saga. Abbandonato lo stile di gioco “alla Core Design”, ancora caro agli appassionati di vecchia data, la casa produttrice statunitense ha gradualmente cercato la formula vincente nel corso degli anni. Dopo una paio di capitoli validi (Legend e Underworld) e un ottimo remake del primissimo episodio (Anniversary) l’obiettivo è stato finalmente raggiunto: con Rise of the Tomb Raider lo scopo è potenziare quanto di buono era stato già fatto nel 2013, senza deludere le enormi aspettative che circondano lo sviluppo di questo titolo. Il verdetto? Eccolo.
Rise
Seguito diretto del titolo del 2013, Rise of the Tomb Raider riprende a seguire le vicende della giovane Lara: dopo gli eventi sconvolgenti di Yamatai, le motivazioni che spingono la nostra giovane archeologa ad immergersi in un’altra avventura spericolata stavolta sono più intime e personali. Raramente nei titoli precedenti si era approfondito il rapporto di Lara con i suoi genitori (se non vagamente con la madre in Tomb Raider: Legend), mentre qui la relazione tra la nostra giovane archeologa e suo padre fa da motore all’intera produzione: Lara non sarà mossa solo dalla sua celebre voglia di scoprire, ma anche dalla ferma volontà di riabilitare la figura di Richard James Croft, ritenuto pazzo e caduto in disgrazia per la sola colpa di credere fermamente in ciò che stava per scoprire. Accompagnata dal vecchio amico Jonah, cuoco dell’endurance, sulle tracce di un leggendario Profeta di Costantinopoli, Lara si troverà ad affrontare una setta di origini antiche, la Trinità, alla disperata ricerca del segreto dell’immortalità con l’aiuto della “solita” varietà di mercenari pronti a farsi prendere a calci come da tradizione. Sebbene sulla carta la premessa narrativa non appaia particolarmente originale e sappia di già visto, è nell’esecuzione che questo Rise of the tomb raider riesce a brillare: la storia è raccontata gradualmente, in modo da non risultare mai noiosa o eccessivamente nozionistica. Tutti i personaggi in ballo sono caratterizzati con grande cura sia nelle animazioni dei volti che nelle motivazioni che li spingono ad agire. I pezzi del puzzle si uniscono meravigliosamente soprattutto grazie al vero punto di forza di quest’avventura: il ritmo. Esso è scandito perfettamente, tra fasi esplorative, combattimenti, cutscenes e racconti di leggende, è praticamente impossibile annoiarsi. Il modo migliore per godersi quest’avventura è proprio quello di lasciarsi avvolgere, senza fretta, ascoltando i vari documenti opzionali che incontreremo e che contribuiranno a dare un carattere e una personalità propria non solo ai miti che stiamo rincorrendo, ma anche ai nostri nemici. Capiterà di ritrovare registrazioni che descrivono le intenzioni dei capi della setta, o i dubbi del più semplice dei soldati mercenari assoldato dalla setta della Trinità. Insomma, un modo di raccontare che riesce ad adattarsi ad ogni palato, riuscendo a risultare godibile e coinvolgente sia per chi vuole rushare fino alla fine, sia per chi invece cerca più background e approfondimento. Aggiungiamo al mix un paio di personaggi ben caratterizzati, qualche colpo di scena ben piazzato e dialoghi in generale ben scritti, e otteniamo un’avventura incalzante e magnetica per tutta la sua durata.
More of the same…awesomeness
Come abbiamo anticipato, la parola chiave per descrivere Rise of the Tomb Raider è “ritmo”: se questo vale per la storia, vale ancora di più per il comparto gameplay, che si snoda tra momenti di esplorazione, furiosi combattimenti e rocambolesche fughe. Ma andiamo con ordine, partendo dalla fase esplorativa: innanzitutto appare evidente come le meccaniche alla base del capitolo precedente siano sostanzialmente rimaste quasi immutate qui. Se escludiamo alcune fasi a corridoi necessarie per lo svolgimento della storia, l’ambientazione è per lo più open world, caratterizzata da accampamenti sparsi nelle varie macrozone con tanto di viaggio libero ottenibile fin da subito. La struttura è ancora una volta simile: per riuscire a garantirci l’accesso a tutti i segreti sparsi per il mondo dovremo ottenere abilità necessarie ad aprire una porta, o a creare una molotov per incendiare un passaggio. Non sarà quindi sufficiente attraversare le aree di gioco una sola volta per riuscire a scoprirne tutte le peculiarità nascoste. Gli upgrade ottenibili variano da abilità già conosciute (come l’attaccare una corda ad un cancello di legno per tirarlo via) ad abilità ancora non viste (come la possibilità di tagliare corde per risolvere enigmi ambientali). I segreti e i collezionabili sono di natura anche diversa tra loro: dovremo andare alla ricerca di affreschi, o di bandiere, o di monoliti con sopra incise informazioni interessanti che non sempre saremo in grado di decifrare: una novità di rilievo riguarda infatti la necessità di migliorare la propria conoscenza della lingua per riuscire ad interpretare informazioni nascoste su un recente manifesto propagandistico russo o su un antico monolite scritto in greco. Cosi facendo potremo aggiornare la nostra mappa e ottenere informazioni sulla posizione di oggetti utili, di risorse o di monete da spendere: è infatti presente la possibilità, con un piccolo espediente narrativo, di acquistare oggetti o potenziamenti come silenziatori e simili direttamente dai rifornitori della Trinità, sparsi non troppo frequentemente lungo il corso del gioco. Sarà perciò necessario riuscire a trovare quante più monete possibili, cosi come i punti Esperienza, utili ancora una volta per potenziare le varie caratteristiche di Lara secondo i 3 alberi di abilità già visti nel capitolo precedente (caccia, sopravvivenza, combattimento)ma, sebbene le categorie siano le stesse, molte abilità sono comunque completamente nuove. Sarà inoltre importante tenere sempre gli occhi aperti per cercare risorse di vario genere, dalle bende ai metalli, vista la presenza di un sistema di crafting semplice, ma funzionale, che permette di fabbricare all’occorrenza bombe improvvisate, frecce o strumenti di cura senza neanche dover aprire un menù apposito come si era visto in titoli come The Last Of Us. Torna il sistema di caccia, utile per ottenere esperienza e materiali ma del tutto simile a quanto già visto nel capitolo precedente.
The Tomb Raider
Per riuscire a trovare tutti i segreti delle varie sezioni, oltre al considerevole aiuto datoci dalla modalità istinto che evidenzia i raccoglibili, troveremo di tanto in tanto degli zaini abbandonati da esploratori che hanno fatto visita alle lande ghiacciate della Siberia prima di noi: grazie ad essi otterremo una mappatura più completa di ciò che potremo trovare in giro permettendoci di fare piazza pulita senza doverci rivolgere a videotutorial o guide strategiche. Quelli potrebbero servirvi per altro: le tombe opzionali. Se nel precedente capitolo esse erano talvolta non brillanti nè particolarmente difficoltose, qui la situazione è decisamente migliorata: in ognuna di esse c’è un particolare che le rende uniche e interessanti, che sia un’ambientazione particolare o un enigma un pò sopra la media della difficoltà. Siamo ovviamente lontani dal level design ermetico e decisamente complesso che caratterizzava gli enigmi dei capitoli originali come TR2, con momenti di disorientamento che talvolta potevano sfociare nella frustrazione, ma di sicuro si tratta di sezioni a parte che, pur rallentando il ritmo incalzante della narrazione, rappresentano un diversivo molto valido e decisamente stimolante, regalando sfide piacevoli che non mancheranno di tenere impegnate per un pò le vostre meningi da esploratori da salotto. Un ultimo cenno merita infine l’introduzione di un sistema di quest secondarie, ottenibili da alcuni NPC amichevoli che incontreremo di tanto in tanto sul nostro cammino: si tratta di piccoli incarichi da svolgere per ottenere oggetti utili, talvolta indispensabili (ad esempio, il grimaldello). Sebbene sia un sistema basilare ed evidentemente senza la pretesa di avvicinarsi ad una componente ruolistica, si integra perfettamente nel mix proprio grazie alla sua semplicità, aggiungendo una leggera ma tangibile sensazione di reward in seguito allo svolgimento dei compiti e garantendo qualche piccolo diversivo nella progressione del gioco.
“Nessuno ti ha mai detto per chi suona…la campana?”
La citazione per intenditori nel titolo del paragrafo (Molo sul Tamigi, Tomb Raider 3) ci introduce ad un altro aspetto che, diversamente da altri, è presente da sempre nella saga di Tomb Raider: la scia di cadaveri (non solo di umani) che la nostra eroina si lascia alle spalle. La metamorfosi (rapidissima) di Lara da ragazza innocente a killer spietata è ormai compiuta e, sebbene siamo ancora lontani dalla donna freddissima (e tremendamente affascinante) che pronuncia quelle parole in TR3, possiamo dire tranquillamente che in Rise of the Tomb Raider la nostra Lara è ancora di più una piccola macchina da guerra, piena di risorse e di possibilità. Innanzitutto, le ottime meccaniche di shooting presenti nel capitolo precedente sono state integralmente riprese e potenziate: avremo ancora una volta il nostro fidato arco, utilissimo per cacciare e svelare le nostre origini da giocatori di Metal Gear con precise kill stealth, anche doppie (sbloccando l’apposita abilità), insieme ad un arsenale ben fornito e interessante, utile per combattere sia corpo a corpo che a distanza. Novità già citata è proprio la possibilità di fabbricare al volo oggetti come molotov e granate esplosive o fumogene improvvisate. Dove il titolo riesce a colpire, come il predecessore, è proprio nel feeling e nella sensazione di appagamento e fluidità che le bocche di fuoco, unite al sistema di copertura, riescono a dare. Le armi appaiono diverse tra loro e risultano uniche sia a livello visivo (suoni ed effetti) sia nella giocabilità: ogni upgrade sarà ben tangibile fin da subito, e ci sarà un vero abisso prestazionale tra un fucile a zero e uno completamente potenziato. L’ottima sensazione scaturisce anche dal pad di Xbox One, che si conferma ancora una volta grandioso soprattutto grazie agli effetti di vibrazione anche sui grilletti. Buona l’IA, che mantiene quanto di buono fatto nel capitolo precedente senza rivoluzionare e mantenendo sempre un comportamento discretamente credibile, sebbene sia evidente come essa sia molto più realistica alle più alte difficoltà: altro pregio del gioco è infatti proprio la sua scalabilità, vista la presenza di quattro livelli di difficoltà. La nostra prova è avvenuta ad una difficoltà intermedia per completare l’intera playthrough senza troppi grattacapi, mentre abbiamo fatto qualche tentativo in “sopravvivenza” e le cose sono cambiate sotto diversi aspetti. Oltre a trovarci di fronte ad un’IA molto più aggressiva e credibile, la rigenerazione della vita era completamente disattivata, costringendoci a curarci utilizzando scorte la cui scarsità si fa davvero sentire. Sarà molto più importante ingegnarsi per riuscire ad avere la meglio sugli avversari con il minimo spreco di risorse, attirandoli con frecce o lanci di oggetti nell’ombra per finirli silenziosamente, o finendoli tutti in un colpo solo con un bel regalo esplosivo fabbricato sul momento: diversi approcci sono consentiti rendendo l’esperienza complessa ma appagante, molto più vicina alla natura survival che molti si aspettavano anche dal capitolo precedente. Uccidere con stile sarà comunque premiato con punti esperienza aggiuntivi. Senza volerci dilungare troppo, gli scontri a fuoco sono comunque discretamente bilanciati, non troppo invasivi, e riescono a scandire il ritmo tra una situazione di gioco e l’altra. La scalabilità della difficoltà del titolo è comunque un valore aggiunto molto importante, perchè di fatto lo rende godibile anche per coloro che vogliono godersi l’esplorazione e l’avventura senza doversi concentrare sulle fasi di shooting. E di avventura ce n’è tanta.
Falling
Uno degli elementi più caratteristici del reboot del 2013 era l’abbondanza di momenti overthetop, spettacolari ed adrenalinici. In Rise of the Tomb Raider, questi momenti sono ancora di più e ancora più spettacolari, tanto da risultare anche un pò esagerati: la distruttibilità e friabilità quasi innaturale dell’ambiente mette fin troppo spesso Lara in situazioni al limite dell’umano, ma di fatto tali fasi riescono a fare il loro dovere e a divertire grazie a QTE che sanno essere non invasivi in quanto perfettamente integrati nel gameplay, come la necessità di saltare nel caso in cui vediamo il pavimento sbriciolarsi per evitare di finire impalati in una trappola. Anche l’elemento violenza è abbastanza marcato, visto che scene molto gore e anche molto violente giustificano pienamente la classificazione di PEGI 18. Sono presenti questa volta anche delle fasi subacquee, molto limitate nel precedente capitolo ma grande marchio di fabbrica della serie (chi si ricorda di 40 Atmosfere o del Cancello di Lud, livelli completamente subacquei di TR2 e TR3?): dimenticatevi i polmoni d’acciaio della vecchia Lara però, qui è nuovamente umana e le sezioni nell’acqua gelida della Siberia sono si intense, ma comunque relativamente (e realisticamente) brevi, almeno fino a quando non sbloccherete un determinato accessorio. Insomma, come detto in fase di introduzione, tutti questi elementi danno vita a un mix perfettamente bilanciato, in grado di tenere incollati allo schermo per ore senza mai annoiare.
Siberian Beauty
Se a tutto questo gameplay aggiungiamo un comparto tecnico davvero ben realizzato, capiamo di fronte a che titolo ci troviamo. Le ambientazioni sono realizzate con una tecnica e una direzione artistica davvero straordinarie, piene di atmosfera, di riflessi e di panorami mozzafiato. Più volte vi capiterà di fermarvi solo per poter guardare il panorama che vi circonda. La buona sensazione dura per quasi tutta l’avventura, con qualche passaggio leggermente meno ispirato in quanto a texture e impatto generale, ma nulla che possa in alcun modo influenzare la qualità generale, tangibile praticamente in ogni momento. I movimenti di Lara sono ancora una volta credibili e realistici: vedremo spesso Lara sistemarsi i capelli uscendo dall’acqua, avere un’espressione di sofferenza mentre si trova in in profondità, o tendere le mani verso il fuoco per riscaldarsi. L’acqua, soprattutto nelle fasi subacquee, è ottimamente realizzata in molti dettagli, come l’effetto “sporco” che limita la visibilità e oggetti sommersi (sebbene la superficie a volte risulti troppo piatta, soprattutto in alcune zone paludose). Se escludiamo questo e qualche asset un pò troppo simile a ciò che abbiamo visto nel predecessore, è davvero difficile trovare sbavature evidenti. Nota di merito per la cura dei volti, eccezionale sui protagonisti principali, un pò meno sui comprimari ma comunque all’altezza della situazione. L’Xbox One fa egregiamente il suo dovere mantenendo saldissimi i 30 FPS e dando una gran sensazione di pulizia grafica e fluidità. Durante l’intera partita non siamo incappati in nessun bug evidente, se escludiamo qualche leggera indecisione nella gestione dei cadaveri e qualche piccola animazione non perfetta facilmente giustificabile in situazioni di terreno irregolare. Considerando i dayone di molte uscite recenti è da ammirare un titolo che, ancora prima del giorno di lancio, riesce ad essere non solo pulito, ma quasi perfetto. Ottimo il comparto audio, sia a livello di effetti (soprattutto con cuffie valide) sia con riferimento alla colonna sonora, che riprende i temi principali del capitolo precedente riuscendo ad accompagnare in modo incalzante e assolutamente appropriato tutti i momenti, che siano di calma, di tensione o di spettacolare azione. Un plauso anche al doppiaggio italiano, davvero eccellente sia nell’espressività che nel sincrono del labiale, un lavoro che si può facilmente paragonare a capolavori di doppiaggio come Uncharted e The Last of Us, dove i nostri compatrioti hanno davvero fatto un lavoro egregio rendendo giustizia ai titoli originali.
Riguardo alla longevità, il titolo si mantiene leggermente sopra la media: nel caso vogliate rushare fino alla fine della storia impiegherete probabilmente intorno alla 12/14 ore per completarlo, ma se vorrete godervi tutto ciò che il titolo ha da offrire, tale tempo è decisamente destinato ad aumentare. Considerando l’enorme numero di segreti, di collezionabili, i livelli di difficolta multipli e il fattore rigiocabilità che il titolo offre, Rise of the Tomb Raider vi terrà impegnati per molto tempo risultando uno degli action adventure più completi e appaganti sul mercato. Ad arricchire il tutto è presente inoltre una modalità spedizioni, che permette di rigiocare determinate missioni della storia applicando dei modificatori, similmente a quanto visto con i teschi di Halo: potremo inoltre ottenere delle carte spendibili, aggiungendo un pizzico di varietà al gameplay di base del titolo e anche qualche possibilità sopra le righe, come l’attivazione di letali polli esplosivi.
Pro
- Ritmo incalzante e ben bilanciato
- Grande giocabilità
- Buona longevità e rigiocabilità
- Grafica e direzione artistica eccezionali
- Doppiaggio italiano e comparto audio eccellenti
- Adattabile a tutti
- Le novità si integrano perfettamente
- Trama ben raccontata…
Contro
- …ma dalle premesse non troppo originali
- Innova poco rispetto al predecessore
- Alcuni momenti, pur spettacolari, sono comunque esagerati