Alcuni giochi hanno lasciato un segno sulla scena spesso per via delle loro meccaniche, semplici, eppure capaci di diventare emblematiche di un certo tipo di esperienza. Nella scorsa generazione di console in molti sono passati sotto quella pressa videoludico-idraulica che era Super Meat Boy, restandone sconvolti e coinvolti in contemporanea. In questa se ne può trovare qualche aspetto in Rifter, accomunato da una velocità frenetica, una giocabilità esigente e una grafica minimale.
Il protagonista di Rifter è un omino di luce, capace di correre e saltare attraverso una miriade di ostacoli sino a raggiungere il punto crepato della superficie rocciosa di ogni pianeta, ovvero l’obiettivo da distruggere per aprire un varco nella crosta che ricopre i globi del suo sistema solare.
Unica compagnia un piccolo drone senziente, il quale svolge un ruolo di assistente e narratore, al fine di spiegare le meccaniche di gioco e offrire un pizzico di storia e dialoghi. Per il resto è la velocità la grande compagna di avventure, una costante in aumento, sempre presente e sempre più forte, man mano che si padroneggiano le meccaniche e si prosegue. Le prime scorribande infatti sono incentrate sul librarsi da una piattaforma all’altra aiutandosi con dei punti di aggancio per sfruttare lo slancio e l’inerzia di una liana, tuttavia più si avanza, più il level design riesce a diventare elaborato e coinvolgente, grazie a solo un pugno di elementi ben combinati. Molto spesso si arriva persino a poggiare raramente i piedi per terra, rendendo la progressione un continuo balzare da un punto all’altro, evitando ostacoli, burroni o spazzando via i nemici sulla scia degli scatti.
I livelli garantiscono diversi passaggi o angoli secondari, più o meno facili da raggiungere, al fine di ottenere delle schegge bonus che possono essere barattate per guadagnare nuove abilità. Ciò incentiva la rigiocabilità di ogni area non soltanto per migliorare i propri primati o adempiere a obiettivi secondari, ma anche per potenziare il proprio omino.
La sfida aggiuntiva ha spesso il sapore della speedrun, rivolgendosi ad un pubblico ben abituato ad approfondire un gioco, al punto da ottimizzare ogni singolo salto o scatto grazie ad una pratica perfetta e confermando un’ampio margine su cui dedicarsi anche una volta giunti al termine della campagna. Non mancano le condizioni specifiche, come completare un’area senza toccare il suolo, le quali sono altrettanto difficili e stimolanti.
Il grado di sfida comunque non arriva ad essere troppo frustrante o punitivo nelle fasi principali, nonostante alcuni punti avanzati o alcune sfide extra riescano ad offrire una gran dose di filo da torcere, mantenendo la difficoltà complessivamente alta, ma ragionevole e ben progettata.
La giocabilità è quindi “facile da imparare, ma difficile da padroneggiare”, secondo quel tipo di impostazione ludica che porta ad un effetto droga da “ancora una partita e poi basta”, grazie alla sfida accattivante che crea.
Nonostante la longevità sia più che buona, per via dell’elevato numero di livelli, questi però spesso appaiono poco diversificati, trovando il loro unico senso nel presentare semplicemente una sfida di completamento, confermando quindi come l’intento di Rifter sia quello di essere un platform più impegnativo, che non esplorativo.
Il comparto grafico è minimale, asciutto, caratterizzato da tinte spente, spesso interrotte da macchie di colore intensissimo ma pur sempre acido, con un contrasto cromatico a metà strada tra Tron e la copertina di un album dei Daft Punk. E su ritmi musicali simili si assesta anche la colonna sonora, elettronicamente energica e sostenuta, perfetta per seguire l’azione costante e adrenalinica delle partite. I controlli invece sono facilmente configurabili secondo più esigenze, risultando agevoli sia con il joypad che con mouse e tastiera.
Pro
- Giocabilità semplice, immediata e coinvolgente
- Buon grado di sfida
Contro
- Nonostante il numero elevato di livelli, alcuni finiscono per assomigliarsi