Andando in controtendenza con quanto fatto per Wolfenstein e Dishonored 2, Bethesda ha deciso di pubblicare dei nuovi contenuti per Prey, ma stavolta senza produrre una vera mini campagna, quanto una semplice espansione, piuttosto fuori dagli schemi.
Man on the Moon – R.E.M.
I presupposti di Mooncrash sono piuttosto semplici: il protagonista deve eseguire una simulazione ambientata sulla base lunare della Transtar, da cui far fuggire tutti i membri del personale sopravvissuti all’attacco dei Typhon.
L’idea di giocare nei panni di un individuo estraneo ai fatti, anziché controllare direttamente i malcapitati, non è però un artifizio narrativo e si coniuga bene con la giocabilità alla base di questo DLC.
Per completare adeguatamente la fuga dalla stazione spaziale infatti bisogna salvare tutti e cinque i personaggi, compito non semplice e che passa attraverso sequenze trial&error costanti.
Il game over infatti ricorre spesso e volentieri all’interno di una partita, venendo messo in conto al punto da permettere al giocatore di conservare punti esperienza utili a sbloccare oggetti, armi e altri aiuti al rientro successivo.
Anche la riuscita della missione principale non è che l’inizio, dato che allo sblocco di un’altro sopravvissuto si amplia la rosa di abilità da utilizzare, consentendo l’accesso ad altre aree e impostando la giocabilità in modo diverso.
L’idea impiegata per rendere il tutto meno ripetitivo possibile infatti passa da due aspetti: il primo è il sistema di classi diversificate, l’altra è la gestione procedurale degli oggetti, dei nemici o degli ostacoli.
I protagonisti infatti possono utilizzare solo una parte delle abilità o capacità che nel gioco principale potevano essere attribuite a Morgan Yu, dividendosi così i compiti secondo un sistema di pregi e difetti e di aree di competenza. C’è chi è più specializzato nell’utilizzo dei poteri typhon, ma è fisicamente indebolito dall’eccesso di neuromod, chi invece punta sull’utilizzo della tecnologia o delle armi e si ritrova un massimale di punti vita maggiore. La dislocazione dei mimic e delle risorse invece è diversa ad ogni riavvio, lasciando il giocatore sempre allo sbaraglio circa la mole di nemici da sconfiggere e le risorse disponibili per farlo.
“Houston, abbiamo un problema”
Unendo questi due aspetti si crea quindi una buona varietà anche in una mappa che strutturalmente rimane la medesima e si estende su di un’area ristretta se pensiamo a quanto era grande la stazione Talos 1.
E’ abbastanza palese che Mooncrash è stato realizzato con un parziale riciclo di asset avanzati dal gioco originale, tuttavia la sua idea di fondo lo rende molto fresco e godibile. In particolare proprio la natura roguelite e il sistema di classi, spingono l’utente a familiarizzare anche con branche di abilità che magari aveva trascurato di usare nella campagna principale. Questa sua inventiva riesce a far dimenticare molto in fretta l’assenza di una narrativa vera e propria, valorizzando invece la giocabilità, che rimane uno dei punti di forza di Prey.
La sfida generale si mantiene morbida (le abilità neuromod non vengono azzerate dopo ogni game over, per esempio), ma al tempo stesso non è immediato arrivare a completare le sfide secondarie più complicate o far fuggire tutti senza riavviare la simulazione, complice anche un timer che obbliga a non abusare delle agevolazioni.
Nel complesso Mooncrash è un contenitore di sfide per i giocatori che hanno apprezzato la versatilità e la rigiocabilità del titolo base, nel fare ciò mescola elementi roguelite, survival e time attack creando un insieme davvero ben congegnato, seppur scevro di narrativa.
Pro
- un contenitore di sfide originale e con una buona rigiocabilità
- valorizza in modo intelligente le peculiarità di Prey
Contro
- narrattivamente piuttosto povero
- tolte le sfide secondarie la sua durata non è elevata