Eric Chahi non è uno che i giochi li fa tanto per fare. Si è cimentato nella produzione di nuovi titoli ogni volta che l’industria videoludica gli offriva un contesto innovativo in cui cimentarsi. La sua opera maestra, Another World, fu all’insegna della tecnica del rotoscoping per modellare animazioni di qualità eccellente per i sistemi 16 bit di allora. Con Heart of Darkness colse l’importanza della narrazione cinematografica, che sui sistemi 32 bit non era più trascurabile. From Dust fu l’incursione in una scena indie che iniziava a fiorire, permettendo di realizzare progetti innovativi che non avevano spazio nelle produzioni Tripla-A più commerciali. Con Paper Beast Chahi trova nella realtà virtuale lo strumento capace di esprimere la sua visionarietà, tratto che da sempre accompagna i suoi lavori.
Il mondo di Paper Beast è infatti puro materiale lisergico poligonale, un sogno ad occhi aperti nel verso senso della parola, reso possibile tramite Playstation VR. Non appena l’avventura inizia ci si ritrova in panorama fatto di tinte rossastre, un deserto cremisi popolato da una fauna di origami viventi, che simulano il comportamento di animali veri e propri, diventando le “bestie di carta” del titolo. Il giocatore deve avanzare lungo questo scenario risolvendo enigmi ambientali, interagendo sia con la natura che con le bizzarre creature cartacee, in una specie di ecosistema fantasioso, ma per certi versi simile a quello reale. Predatori e prede, animali da soma, acqua e fuoco, seguono tutti ruoli analoghi a quelli del mondo vero, dando traccia al giocatore su quale sia la soluzione dei rompicapo, lasciando ad una suggestiva messa in scena il compito di rendere le cose memorabili e sorprendenti.
Tolto questo però, Paper Beast ignora completamente il giocatore, in tutti i sensi. Non solo perché non gli fornisce alcuna imbeccata su come superare un determinato punto o come risolvere uno specifico passaggio, ma anche perché il nostro avatar non può essere danneggiato o portato al game over in alcun modo. L’utente è quindi un supervisore che segue gli avvenimenti in modo interattivo, ma restando a tratti quasi poco più che uno spettatore. Il comparto ludico sotto questo aspetto si assottiglia, poggiando la giocabilità vera e propria unicamente sulla risoluzione degli enigmi, al pari di un The Witness. Ma come scritto poco sopra, il divertimento non manca ad arrivare tramite altre forme, intrattenendo grazie ad una messa in scena talmente creativa e originale, da lasciare frequentemente a bocca aperta anche chi, specialmente nella realtà virtuale, pensava di averle viste tutte. Le trovate sono ingegnose e riescono a suscitare un continuo compiacimento per l’inventiva che c’è dietro la soluzione di un puzzle o la rappresentazione di qualcosa.
Forse però un’interfaccia talmente sobria da sfociare nell’inesistenza totale, finisce per penalizzare eccessivamente il giocatore nel momento in cui non è chiaro cosa fare. Al pari di come avviene in altri giochi forse sarebbe stato meglio lasciare anche solo qualche parziale suggerimento attivabile, per rendere più scorrevole la progressione di fronte i puzzle più difficili. E’ vero che questa è una tipologia di gioco che difficilmente si presta ad essere rigiocata e che deve sostenere la sua longevità, tuttavia non sempre alcune soluzioni sono lampanti, e questo potrebbe congestionare l’avanzamento. Quest’ultimo aspetto inoltre è ulteriormente appesantito da un sistema di spostamento regolato solo dallo spostamento istantaneo, per cui si indica un punto specifico tramite i controller e il personaggio viene posizionato immediatamente laggiù. Una soluzione che di certo viene in aiuto per chi soffre di nausea motoria, per evitargli problemi, ma che risulta limitativo e lento per tutti gli altri.
Trattandosi di un gioco non particolarmente elaborato in termini di “peso” poligonale, numero di oggetti su schermo, privo di azione convulsa o interazioni rapide, sarebbe stato lecito aspettarsi un selettore. Cosi si sarebbe consentito di giocare con il ritmo di una normale camminata, anziché secondo un continuo stop&go, alla lunga scomodo. Una pretesa non esagerata, specie perché ormai da anni molti titoli VR anche di umili dimensioni, fungono da contenitori di azione e interazione ben più complessa e concitata, il tutto senza rinunciare ad un doppio sistema di movimento.
Giunti al termine di questa esplorazione fantasiosa, ci si può dedicare ad una modalità sandbox dove sfogarsi letteralmente con tutto l’ecosistema di Paper Beast, piazzando creature a piacere e scatenando il clima e gli elementi naturali a piacimento. Per quanto anche questa opzione sia priva di un contenuto ludico vero e proprio, risulta la scelta migliore per riprendere in mano il gioco dopo averlo concluso, in quanto in questo modo è possibile godere al meglio della suggestiva virtualità scenica senza dover riaffrontare la campagna. Rimane però leggermente alto il prezzo, considerando quanta sostanza vera e propria c’è in questo contenitore, per quanto bello; 30 Euro infatti appare un prezzo eccessivo per ciò ha da offrire.
Pro
- Graficamente suggestivo e visionario, come pochi titoli sanno essere
- Idee creative e divertenti nella soluzione e messa in scena degli enigmi
Contro
- Sistema di movimento lento e stopposo
- La totale assenza di interfaccia e indicatori potrebbe complicare le cose nel risolvere i rompicapo meno chiari
Versione Provata: Playstation VR
VOTO 7,5
Paper Beast è l’ennesima conferma della visionarietà creativa di Eric Chahi, il quale come pochi in questo media, riesce ad immaginare e mettere in scena mondi suggestivi e capaci di sorprendere anche chi pensava di averle ormai visto di tutto. C’è però qualche limite tecnico e contenutistico a rendere la progressione più lenta e meno godibile di quanto non si sarebbe potuto fare, ponendolo sotto questi aspetti, al di sotto di altre esperienze simili in realtà virtuale.
Per chi volesse scoprire il primo capolavoro di Chahi, Another World, è disponibile un’edizione in cui viene riproposto assieme ad un’altro classico dell’epoca.