Lo spazio profondo inquieta le persone e gli astronauti stessi, che consci dei loro limiti potrebbero perdere la rotta, esplodere ancora prima di essere partiti, perdere ossigeno dalla tuta e tutta un’altra serie di problemi che sulla terra non esistono o sono poco relativi. Qualcuno ha pensato: e se unissimo tutto questo ad un racconto di Lovecraft, cosa ne verrebbe fuori? E a quanto pare dev’essere andata più o meno così con Moons of Madness, avventura grafica che ci porta nelle profondità dello spazio per poi accompagnarci mano a mano in una bella discesa nella follia.
Le due lune di Marte
Moons of Madness ci deposita in un futuro non troppo lontano, all’incirca il 2063, dove l’uomo è arrivato finalmente a toccare Marte con i propri piedi: non con la NASA o con Space X come ci aspetteremmo, ma con Orochi, azienda multinazionale che in tutta segretezza ha organizzato spedizioni di esplorazione e raccolta per analizzare le potenzialità di Marte. In questo mondo – in realtà legato all’universo di Secret World Legends, sempre della stessa Rocket, ma godibile tranquillamente anche a sè stante – impersoneremo i panni di Shane Newheart, uno dei tecnici che lavora alla struttura di ricerca Trailblazer Alpha sul pianeta rosso. Come ingeniere con un livello di accesso alla sicurezza infimo, il lavoro di Shane consiste principalmente nel tenere in funzione la struttura in tutte le sue parti fino all’arrivo della Cyrano, la navetta di trasporto per il nuovo team di astronauti. Un lavoro difficile che non ha avuto il coraggio di rivelare al padre, convinto che lui sia in Antartide a lavorare tra i pinguini, e che lo fa soffrire per l’isolamento tipico delle lunghe permanenze nello spazio. Fosse solo per quello…
Moons of Madness inizia col suo risveglio su Marte dopo un brutto incubo, e con l’inizio delle attività quotidiane legate alla sistemazione della struttura. Durante quello stesso giorno dovrebbe arrivare la Cyrano, portando nuovi membri dell’equipaggio e provviste – un evento che Shane aspetta con ansia assieme al suo amico Declan, tecnico delle comunicazioni. Come veri professionisti fuori forma (il visore mostra 72 battiti al minuto, che per un astronauta sono un mezzo infarto) iniziamo la mattinata testando le interazioni con un filetto di pesce idratato, un quadrato di torta salata e riempiendo 10 tazze di caffè da bere obbligatoriamente, il minimo per una routine sana ed equilibrata. Dopo aver trovato il nostro biometro, l’incarico è quello di prendere il mezzo di trasporto e andare a riparare i pannelli solari che – coincidenza! – paiono rompersi e cambiare posizione ogni notte. Da qui, scopriremo molte altre cose strane nella base.
Un titolo che avrebbe potuto fare la storia
Moons of Madness è un’avventura sì, ma narrativa e incentrata sull’incedere della storia, molto più simile ad un walking simulator con qualche puzzle che ad un vero action in cui smanettare e sparare. Armi non ce ne sono, e l’unica cosa di cui abbiamo il controllo a parte i movimenti del protagonista sono i sistemi della base e il livello dell’ossigeno nella tuta durante le passeggiate spaziali. Di conseguenza, chi ha apprezzato Firewatch potrà più facilmente godersi il titolo rispetto a chi l’ha odiato – siete stati avvertiti.
Il gioco inizia molto lentamente, presentandoci il personaggio, i comprimari e suggestionandoci lentamente con l’atmosfera straniante di Marte, ricreata in maniera ricercata e fedele agli studi della NASA. Per la prima ora di fatto viviamo l’introduzione alle regolari funzioni della base, con un vago accenno di inquietudine per alcune cose che non funzionano come dovrebbero, e nel tempo che trascorre approfondiamo i documenti recuperabili a bordo ed i rapporti tra l’equipaggio: l’amicizia che lega Shane a Declan, la comune irritazione per il comportamento del biologo Lukas, la presenza del membro più repellente dell’equipaggio, la xenobiologa Volkova. Nonostante questa lentezza scomoda agli inizi, il livello di immersione che si viene a creare in questo modo risulta di molto maggiore ad un titolo di pari livello, permettendoci di calarci poco a poco nella sottile aura di tensione che permea ogni passo del protagonista. Il gioco è diviso in capitoli che vengono raccontati in maniera lineare senza interruzioni, inserendo solo il titolo in sovraimpressione all’immagine senza scomodare schermate nere o altri elementi, e grazie all’ambientazione marziana il level design è estremamente accurato e sviluppato sia in verticale che orizzontale senza ripetersi. A spezzare il ritmo dell’esplorazione abbiamo puzzle differenti tra loro che richiedono una discreta capacità di risoluzione: la loro presenza salta subito all’occhio rispetto all’approccio passivo adottato da altri titoli come Layers of Fear e Outlast, dimostrando che è possibile raggiungere un equilibrio tra scene di intermezzo, esplorazione ed enigmi senza spezzare la narrazione, l’atmosfera e senza accellerare troppo sulla difficoltà. Seppur ben costruito e con un’ottima trama scritta e narrata in maniera curata, Moon of Madness non regge quando si tratta di andare oltre e spaventare davvero il giocatore: troppi jump-scare sono banali, facili da anticipare, e rompono prepotentemente un setting con un incredibile potenziale. A parte qualche eccezione rilevante che arriva dritta nelle reni e fa scorrere l’adrenalina all’improvviso, non si riesce mai ad avere quell’insondabile “paura dell’ignoto” che caratterizza i racconti Lovecraftiani, dove per la maggior parte del tempo si teorizza (e non si vede) quale forma abbia l’orrore. A parte questi improvvisi crolli, la storia regge, intriga e unisce due fili narrativi – quello cosmico e quello Lovecraftiano – riuscendo a fonderli con efficacia, riuscendo a risultare godibile sia per l’appassionato dei Miti, sia per chi non ne sa nulla e si avvicina per la prima volta al genere.
Parlando di controlli e gestione, in Moons of Madness avremo a disposizione pochi tasti buoni a tutto: il tasto sinistro del mouse, che viene usato per interagire in generale col mondo, spingere e tirare, salire o raccogliere oggetti; il tasto destro per scannerizzare l’ambiente circostante, connettersi all’apparecchiatura ed evidenziare gli obbiettivi tramite il biometro; TAB che ci permette di controllare gli obbiettivi e l’inventario a schermo e il Left Shift per correre. Il tasto F, ovvero l’uso della torcia, è largamente irrilevante a meno non abbiate impostato una luminosità molto bassa sul vostro schermo.
Quando non è nella base, Shane viaggia sulla superficie di Marte in tuta spaziale o col rover sulle lunghe distanze, con un casco che limita poco o per nulla la visuale, senza intralciarci con HUD pieni di informazioni. Semplicemente guardando in basso durante questi frangenti potrete trovare la registrazione del battito cardiaco e il livello d’ossigeno della tuta, che sarete in grado di ricaricare grazie alle stazioni di rifornimento sparse in giro per i livelli. Non si rischia mai di rimanere senza aria a discapito della percentuale che scende velocemente, ma un altro elemento d’ansia che funziona alla perfezione è il continuo dover pensare al risparmio di una risorsa preziosa e vitale come l’ossigeno, evitando di correre al di fuori di determinati frangenti o di spingere il personaggio al panico, maneggiando portelloni e seguendo sequenze di depressurizzazione perfettamente nella norma per ogni astronauta. Banalmente, l’amore per i dettagli salta fuori nei momenti più difficili, nelle interazioni con l’ambiente che riproducono il calo della gravità marziana (il 38% rispetto a quella terrestre, pensate ad un salto da più di 5 metri), nel segnare i Sol (rotazioni solari) al posto dei giorni, che rispecchiano in modo fedele la realtà.
Se proprio vogliamo trovare un vero difetto a Moon of Madness, il sistema di checkpoint è piuttosto squilibrato. La morte non è comunque in questo videogioco, ma quando succede a volte si viene mandati indietro di parecchio – non troppo da perdere i progressi fatti ma non abbastanza vicini da non farci ripetere delle sezioni. Altri aspetti negativi sono praticamente assenti: forse il titolo non sarà il miglior horror in circolazione, ma gli elementi inseriti lavorano bene insieme e lo rendono assolutamente godibile.
L’orrore “realistico”? Perchè no!
Moons of Madness è un progetto di alta qualità, e per di più ben rifinita. Le visuali mozzafiato, l’interfaccia pulita e quasi perfetta, i modelli curati, l’uso delle luci e delle fotografie spaziali per rendere il più verosimile possibile il nostro pianeta rosso e non ultimo, gli ambienti ricchi di dettagli ovunque, rendono questo gioco graficamente eccellente. Purtroppo, come già citato, ben poche volte sono riuscita a farmi spaventare a causa di quelli che definirei “limiti di game design”, o jump-scare fatti male. I modelli dei mostri sono ottimi ma è comunque difficile spaventarsi, quando si può quasi stare davanti al mostro di turno con una bella faccia da poker e la sicurezza che – a meno non ci siano eventi scriptati – esso non ci farà nulla o quasi.
Molta dell’ansia e della tensione, al contrario, la creano un ottimo sonoro che funziona bene sotto ogni punto di vista, dal più piccolo effetto al rumore del respiro del nostro protagonista in panico, ai passi che variano rispetto alle superfici. Gli attori che interpretano i personaggi sono stati scelti accuratamente e nonostante il tentennamento iniziale, riescono tutti quanti a dare vividezza al personaggio loro assegnato, che potrebbe portarci inevitabilmente ad avere cura di Declan – l’amico di Shane nonchè la persona con cui ha il maggior numero di comunicazioni.
Moon of Madness purtroppo non è un gioco lunghissimo, può essere macinato in 3-4 ore se si va dritti o 6 al massimo, fermandosi a leggere tutti i documenti. Il titolo è molto lineare e l’unico motivo di rigiocarlo sarebbe quello di ottenere un finale diverso tra i due disponibili. La rigiocabilità punta tutto sulla gradevolezza della storia, sulla voglia lasciata al giocatore di scoprire o teorizzare di più.
In quanto a problemi tecnici, abbiamo potuto riscontrare un problema all’avvio col firewall attivato, problema risolto in dieci minuti grazie all’immediato supporto della produzione, ed un altro problema con i sottotitoli che inspiegabilmente ad un certo punto hanno cambiato lingua passando al francese per poi tornare, dopo cinque minuti e nessuna azione intrapresa, all’italiano. A proposito di sottotitoli: benchè le voci originali siano in inglese, i sottotitoli italiani risultano piuttosto accurati nonostante il piccolo problema di cui sopra. Il risultato è un’ottima resa dei dialoghi sotto ogni punto di vista.
PRO:
⦁ La storia fonde efficacemente il dramma personale di Shane con problemi cosmici e antichi, connettendoli in maniera soddisfacente.
⦁ Ottima grafica, pulita e particolareggiata
⦁ Temi Lovecraftiani finalmente trattati con freschezza, nello spazio e non nell’era vittoriana, negli anni venti o cinquanta a dispetto di titoli come The Sinking City.
⦁ I puzzle sono tutti ben congeniati e assolutamente nel contesto
CONTRO:
⦁ E’ un walking simulator, ne più, nè meno
⦁ Il gioco è pieno di tensione e atmosfera ma fallisce nello spavento puro e crudo
⦁ In caso di inseguimento, alle prime è difficile capire cosa fare e dove andare, scadendo in un procedimento a prove-ed-errori noioso e che distrugge la tensione
Piattaforma: Pc, Ps4, Xbox One
Pegi: 18+
Longevità: 4-6 ore
Sviluppatore: Rocket Pocket Games
Editore: Funcom
Distributore: Steam
Lingua: italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, coreano, norvegese, polacco, russo, cinese, portoghese (interfaccia e sottotitoli), inglese (voci e testi)
Anno: 22 ottobre 2019
Tipologia: Avventura grafica, puzzle
Versione provata: Pc, Steam