Dopo Doom e con qualche giorno di anticipo su Skyrim, anche la remaster di L.A. Noire (comprensiva di tutti i DLC pubblicati all’epoca) ha raggiunto Nintendo Switch. Il titolo sviluppato dal compianto studio australiano Team Bondi nel lontano 2011 è la riprova – se mai ce ne fosse ancora la necessità – dell’impegno e degli sforzi profusi dal colosso di Kyoto per ampliare la line-up della propria console attraverso un ventaglio di titoli dai contenuti più “adulti” che, la storia ci ha insegnato, raramente hanno trovato spazio in casa Nintendo.
Insomma, nel nuovo corso dell’era Kimishima, oltre agli immancabili Zelda e Mario c’è spazio anche per un titolo 18+ come, appunto, il succitato L.A. Noire.
ERA UNA LOS ANGELES BUIA E TEMPESTOSA…
Ah, Los Angeles! La Città degli Angeli. Metropoli cosmopolita di sogni, speranze e possibilità zampillate dal boom economico che sul finire della seconda guerra mondiale stravolse la piccola contea californiana: la scoperta di giacimenti petroliferi intorno al 1920; lo sviluppo dell’agricoltura; la costruzione dei cantieri navali per la difesa che trainò l’occupazione nel dopoguerra; la nascita delle prime compagnie cinematografiche (che da lì a poco avrebbero dato inizio al grande mercato di Hollywoodland) negli anni ’40. Tutto questo rese la città il simbolo della ricchezza e della prosperità californiana. Ma non sempre quel che luccica ha la consistenza e il valore dell’oro: l’opulenza della Los Angeles di quel periodo, infatti, è solo una quinta di teatro che cela una criminalità (più o meno) organizzata e problemi di corruzione timidamente contrastati da una polizia dal grilletto facile, ammanicata con i gangster e la mafia locale.
Una città che annaspa nel grigiore delle periferie, nella violenza dilagante che esplode al calare del sole, mentre la foga del boom edilizio ne ridefinisce la fisionomia tra il cemento e le lamiere dei cantieri a cielo aperto.
Per farla breve: tutto questo è L.A. Noire.
Di certo un solo uomo non può bastare a contrastare il marcio che si annida tra i vicoli della contea, nemmeno se quest’uomo si chiama Cole Phelps: ex ufficiale dei marine decorato e ora poliziotto semplice chiamato a ripulire Los Angeles dalla criminalità, un cancro che tutto altera e corrode necrotizzando progressivamente la parte buona della metropoli. Ma Cole è un idealista, ligio al dovere e soprattutto, è uno che vuole puntare in alto. Il distintivo appuntato sulla divisa non gli basta e ogni caso risolto è solo uno scalino verso la sua ascesa al successo, un percorso che passa anche per la famigerata sezione omicidi. Ma quasi ogni crimine in L.A. Noire nasconde una morte sospetta e va risolto facendo sfoggio di ingegno e doti investigative.
Il primo passo ovviamente è la ricerca di prove e indizi in giro per Los Angeles, una città/open world incredibilmente viva, dettagliata e che spesso conduce il giocatore verso brevi e inaspettate missioni secondarie. Quest’ultime non sono altro che dei piacevoli diversivi che interrompono momentaneamente le indagini principali basate sulla raccolta di indizi, testimonianze e deposizioni da ricavare attraverso quello che rappresenta un unicum di questo titolo: la particolarissima dinamica dell’interrogatorio. Tutto si basa sulla credibilità o meno delle affermazioni rilasciate dall’interrogato che potremmo assecondare, incalzare o mettere alle strette confutando quanto detto in precedenza mediante le prove raccolte nel corso delle indagini. Ma per comprendere la fondatezza di ogni testimonianza, è necessario osservare scrupolosamente il volto e le espressioni del nostro interlocutore: scuote la testa mentre parla? Sbatte le palpebre in maniera quasi ossessiva? Distoglie continuamente lo sguardo dal giovane Cole? Allora molto probabilmente c’è qualcosa che non va. Prendere qui una scelta sbagliata potrebbe privare il giocatore di importanti informazioni per risolvere il caso, ma esistono comunque numerosi modi per arrivare alla verità, così come numerosi sono gli esiti a cui si può giungere; nella peggiore delle ipotesi l’indagine potrebbe concludersi in un bagno di sangue.
Ovviamente, tutte queste meccaniche possono funzionare solo grazie agli impressionanti risultati raggiunti dal motion capture di L.A. Noire: ogni minima grinza, movenza o piega sul viso dei personaggi è incredibilmente realistica e riesce a trasmettere l’intensità delle emozioni di cui, in quel momento, il singolo interrogato è portavoce. Spesso sembra davvero di assistere a una pièce teatrale, con attori che sovraccaricano la propria espressività per far emergere lo stato d’animo del momento. Attori comunque di serie A, che riescono a far breccia nel cuore del giocatore grazie alla forza e alla potenza dei dialoghi, probabilmente mai così curati in nessun altro gioco: gli scambi di battute tra Cole e i suoi colleghi, il botta e risposta con i sospetti, persino le testimonianze degli astanti di un anonimo bar adiacente al luogo del crimine assurgono a vette altissime di storytelling, sempre lucidi e ragionati e mai meri riempitivi per fare presenza. Anche per questo motivo ogni crimine che Cole è chiamato a risolvere coinvolge e sconvolge il giocatore, costantemente impegnato a ricostruire l’ennesimo, insensato delitto di cui Los Angeles è teatro. Eppure, non si tratta mai di casi fini a se stessi, episodi autoconclusivi che non hanno alcuna ripercussione su eventi passati e futuri. In L.A. Noire, infatti, c’è una marcata visione di insieme grazie al mastodontico lavoro fatto dal Team Bondi che è stato in grado di ricostruire, con assoluta coerenza, il celato contesto socio-culturale di quel periodo, tristemente squallido ed alienante. Ma in fondo, quel che realmente conta a Los Angeles sono solo le apparenze e il rivoltante perbenismo: tutti gli ispanici sono criminali, gli ebrei degli sporchi affaristi e i negri, beh, con i negri è meglio prima sparare e poi eventualmente dar fiato alla bocca.
In linea di massima, comunque, indipendentemente dalla razza o dal colore della pelle, i sospetti non si arrenderanno tanto facilmente e tenteranno di fuggire o di fare secco il povero Cole non appena si sentiranno con le spalle al muro. Anche perché, già all’epoca, per gli omicidi di primo grado era prevista la camera a gas e quindi tanto valeva impugnare un’arma e combattere piuttosto che attendere l’inevitabile condanna a morte per mano di un giudice.
Purtroppo però, è proprio qui che il lavoro del Team Bondi inizia a mostrare le proprie criticità:
le sparatorie, le scazzottate e le sezioni di inseguimento sono inficiate da una considerevole mole di glitch e da una eccessiva semplificazione delle meccaniche di gioco che porta L.A. Noire a reiterare le medesime soluzioni e situazioni. Mai come in questo caso, però, si tratta di problemi del tutto marginali per un titolo che sembra impossibile pensare appartenga alla precedente generazione videoludica.
UN ENGINE DAL PASSATO
Passiamo ora alle note dolenti.
Nonostante la versione Nintendo Switch si collochi un gradino al di sotto rispetto alle controparti per Ps4, PC e Xbox One, il comparto grafico di L.A. Noire se la cava egregiamente, seppur con texture complessivamente meno definite, colori molto più netti e una sky box un tantino vuota. Peccato soltanto per quel fastidioso effetto pop-up che spesso e volentieri fa apparire alberi o addirittura interi palazzi dal nulla, ma si tratta di un problema che affligge in egual misura tutte le versioni della remaster di questo titolo che, vale la pena ripeterlo, è datato 2011. Unico colpevole, insomma è il motore grafico che non riesce a renderizzare correttamente gli oggetti quando sono ancora in lontananza e che palesa ancor più i propri limiti in modalità dock.
PRO
- Recitazione e dialoghi da oscar
- I casi non sono mai fini a se stessi
- Una scorcio incredibilmente realistico della Los Angeles degli anni ’40
CONTRO
- Tecnicamente arretrato
- Sparatorie, scazzottate e inseguimenti lasciano un po’ a desiderare
- Pop-up eccessivamente fastidioso
Versione testata: Nintendo Switch