Il fenomeno “Final Fantasy” ha raggiunto dimensioni enormi nell’era 32 bit in cui la grafica 3D consentiva di dare libero sfogo alla sperimentazione più sfrenata.
Da lì in avanti la saga di Square ha sempre rappresentato questo eclettismo, questo sapersi rinnovare ad ogni capitolo. Tra retrogaming e nuove uscite ho potuto giocare tutti gli episodi principali, più diversi derivati, e coglierne la grande versatilità, che per me è diventata uno dei punti cardine della serie. E questo XV di cambiamenti ne apporta tanti, persino troppi, forse gravato dalla responsabilità di dover risanare le finanze aziendali dopo anni di sviluppo al punto da inglobare dentro di sè tantissime differenze per piacere ad ogni tipo di giocatore, ma finendo per diluire la sua stessa essenza.
Uno sviluppo travagliato e il rischio del “vaporware”
Versus XIII inizialmente doveva essere un derivato del tredicesimo capitolo assieme a Type-0, componendo un progetto ambizioso, eccessivo per una Square che, come molte case giapponesi, ha sofferto la difficoltà del passaggio tra bassa e alta definizione, finendo per bloccarsi in una crisi che ha pesantemente ridimensionato FFXIII e lasciato Versus XIII in un oblio durato anni. Uno sviluppo impantanato in continue revisioni, ripartenze, cambi di direzione artistica, gonfiando i costi di sviluppo con risultati nefasti per le casse della software house nipponica. Ma a distanza di sette anni che pubblico poteva trovare il derivato di un capitolo che aveva deluso le aspettative? Da qui l’idea di cambiare il titolo, rendendolo il quindicesimo capitolo ufficiale della serie (nel 2013) per evitare che la cancellazione mandasse in fumo tutto il denaro investito su di esso.
“Siamo drammatici, però ci facciamo gli autoscatti sorridendo perché il lutto è noioso”
L’avventura inizia quando il principe Noctis parte assieme a tre compagni di viaggio per raggiungere la sua promessa sposa e ufficializzare un fidanzamento stipulato per riappacificare due regni in guerra. Tuttavia poco dopo l’inizio si scopre che questo matrimonio non s’ha da fare: l’impero di Nifhleim sferra un attacco a tradimento e uccide il re Regis, padre di Noctis, occupando militarmente la capitale nel tentativo di impossessarsi del potere del prezioso cristallo custodito dalla famiglia reale nemica. Il protagonista si ritrova così solo, costretto a cercare gli esuli del suo regno, recuperare le forze e riprendersi ciò che gli appartiene. Il viaggio cambia scopo, porta il protagonista a prendere atto di sè stesso e del suo ruolo, spinto lungo una parabola che lo proietta verso la maturità con slancio brusco. Nelle prime ore tuttavia emerge una discrepanza tra il voler narrare una storia drammatica ma mantenere al tempo stesso un clima giovale, amichevole, solare.
Su questo FFXV punta molto, assegnando a Prompto il compito di fotografo del gruppo, che scatta istantanee in ogni momento, da guardare e conservare a fine giornata, disponibili per la condivisione sui canali social da parte del giocatore. Esiste anche un ciclo di giorno e notte all’interno del gioco, che scandisce bene lo scorrimento del tempo, forzando l’utente a prendersi dei momenti di pausa nelle ore notturne a causa della comparsa di nemici particolarmente forti che complicano gli spostamenti in automobile. E’ possibile piantare le tende o andare in un albergo o roulotte, ottenendo l’assegnazione dei punti esperienza totali maturati nel corso della giornata e mangiando cibi cucinati da Ignis, dopo aver reperito gli ingredienti, che potenziano temporaneamente punti vita e statistiche.
Nonostante occasionalmente si inneschi qualche dialogo che porta avanti la caratterizzazione, le scene sullo sfondo sono sempre quelle di chiaccherate solari davanti al falò oppure partite a carte vivacissime.
Abbastanza stridente come dopo neanche due giorni dalla caduta del suo regno, dalla morte del padre, Noctis è presentato nelle scene di vita quotidiana sorridente e allegro, come se questa avventura in fondo fosse una simpatica gita tra amici, di quelle piene di bei ricordi di risate e fotografie in cui ci si mette in posa. Salvo poi ricomparire grave e preoccupato nelle sequenze filmate che raccontano la trama, segnando dei cambi talmente repentini da stonare. Di Versus XIII rimane poco della vicenda solenne voluta da Nomura e parecchi spunti che furono annunciati all’epoca sembrano essere andati persi per fare spazio ad una storia “on the road” che sarebbe persino originale all’interno della serie, ma che cerca di tenere il piede in due scarpe sui sentimenti e talvolta scivola nel superficiale. In passato Final Fantasy ha sempre alternato allegria e tragedia, ma in maniera più ordinata e coerente con la storia che raccontava, garantendo un trasporto emotivo impeccabile e privo di sbavature.
Le cose migliorano dopo metà gioco, quando gli eventi entrano nel vivo, lasciando però un pò di amaro in bocca per gli stereotipi marcati su cui si basano i protagonisti. Qualsiasi conoscitore di anime e manga riconoscerà categorie ormai abusatissime come il forzuto dall’aria selvaggia, quello intelligente e composto con gli occhiali e il ragazzino mascotte che scherza sempre. Un design forse troppo ancorato agli archetipi e cosplay-friendly, in una campagna dove i comprimari ottengono poco spazio (come Lunafreya, Ravus o Cor Leonis), sarebbe stato lecito aspettarsi di più dagli eroi, sviluppandoli anche meglio. Si paga anche la scelta di aver lasciato diversi fatti e spunti di caratterizzazione sparsi tra il film Kingsglaive e la serie animata Brotherhood (e i prossimi DLC annunciati). Interessante invece la scelta dell’antagonista principale, su cui però è meglio non soffermarsi in questa sede per evitare sgradevoli anticipazioni.
Hajime Tabata ha giocato a The Witcher 3
Sul design del mondo di gioco invece si trova un open world esteticamente maestoso. Le aree visitabili sono enormi e unite tra loro da una geografia curatissima, dove ogni sasso, casupola diroccata, conduttura o oggetto, sembra essere inserito secondo una scelta precisa e non alla rinfusa per riempire a casaccio uno spazio aperto come avviene in altri titoli. Durante i viaggi in automobile o sui chocobo è possibile smorzare i tempi morti ammirando come il paesaggio e lo scenario cambino gradualmente e offrendo panorami molto suggestivi, segno di una attenzione tutta nipponica per i dettagli che molti colleghi occidentali non riescono ad avere.
Forse la stessa elaborazione ambientale non è riscontrabile nelle città, architettonicamente molto suggestive e bellissime da vedere, con rimandi a La Havana o Venezia, ma limitate (ci sono praticamente solo due città visitabili in maniera estesa in tutto il gioco), mentre sovrabbondano nella prima metà le stazioni di servizio che sembrano essere l’unico tipo di centro abitato esistente nella regione di Lucis. Questo aspetto si fa sentire specialmente verso il finale, in cui si intravedono a malapena quelli che potevano essere luoghi molto caratteristici da conoscere, di cui alla fine si sente solo parlare.
In aggiunta, nella seconda metà si giunge ad un punto in cui la progressione diventa lineare, pilotata, e anche frettolosa nella narrazione. Viene comunque offerta una scappatoia, tramite un espediente, per tornare a rivisitare le zone e completare le missioni secondarie. Queste forse sono l’aspetto su cui si è puntato di più, spaziando tra il classico reperimento di oggetti da consegnare, alle cacce ai mostri (questi apprezzabili per l’originalità e il rinnovamento rispetto al bestiario classico). Scorazzare liberamente è piacevole anche per chi non stravede il genere free-roaming proprio grazie al modo in cui viene cadenzata l’azione. Tra combattimenti, missioni, esplorazione a piedi, sessioni di guida o pesca, pause culinarie e campeggi notturni, non si ripetono sempre le stesse cose, producendo una buona scorrevolezza. In mezzo alla natura si trovano anche delle rocce elementali, da cui estrarre fuoco, ghiaccio o fulmine, con cui distillare le magie dopo averli combinati con gli oggetti dell’inventario. Mescolando la percentuale di elementi si determina il tipo di magia e la sua potenza/quantità e questo sistema rimane un’idea interessante per giustificare l’acquisizione di un’abilità tipica.
Dal punto di vista tecnico il motore grafico svolge bene il suo lavoro, assestandosi sui 30 fotogrammi al secondo, ma garantendo un buon compromesso tra estetica e vocazione free roaming. Non siamo ai livelli di The Witcher 3 o altre produzioni di punta nel coniugare dettaglio ed estensione, ma rispetto al XIII si riesce ad unire una qualità degna della generazione attuale con una vastità di ambienti da titolo open world. Ottimo il comparto sonoro, con una versione rifatta di Stand By Me davvero bella e avvolgente e un serie di temi inediti all’altezza della tradizione Square, con tracce che sfumano le sonorità più volte al loro stesso interno.
Meccaniche e stravolgimenti
Sul sistema di combattimento però è avvenuto il cambiamento più brusco: mentre rimane ancora acceso il dibattito tra i fan se sia necessario mantenere l’impostazione a turni con i menù o se sia meglio usare un approccio più dinamico, questo capitolo porta al massimo la natura action che era voluta per Versus XIII, ma in quanto derivato e non capitolo ufficiale. Pertanto le battaglie si svolgono in tempo reale, utilizzando solo Noctis e tramite l’uso di un pulsante per l’attacco, che produce combo premendolo ripetutamente, e uno per l’evasione. Quest’ultimo attiva le schivate, ma tramite un Quick-Time-Event, anche un meccanismo di parata e contrattacco.
Gli alleati sono gestiti dal computer e non è possibile impartirgli direttive complesse, salvo coinvolgerli in una counter/assalto di coppia o richiedere l’uso di una tecnica speciale ad uso limitato. Il fattore strategico è trascurato in favore di una semplicità ed immediatezza eccessiva, che permette di trionfare in molti scontri senza doversi ingegnare e premiando il button mashing alternato da qualche schivata/parata, spesso ulteriormente guidata dai citati QTE. Fatta eccezione per alcuni boss (e neanche tutti) e le fasi avanzate sui livelli alti (l’endgame), generalmente i nemici non richiedono particolari tattiche lasciando poco determinante il peso del giocatore.
Impossibile fare game-over
Anche a queste condizioni la sconfitta è improbabile: terminati i punti vita si entra in uno stato incapacitato da cui si può uscire curandosi con una pozione o venendo rianimati da un alleato con una manovra simile al “rialzamento” di Gears of War o Resident Evil 5. Qualora capiti a Noctis, viene messo a disposizione un ulteriore lasso di tempo in cui è possibile usare un oggetto curativo come ultima risorsa prima del game-over, che sopraggiungerà quindi solo al terzo atterramento dell’eroe principale. Come non bastasse, in molte occasioni si riesce a cacciare mostri di anche 8-10 livelli superiori al proprio senza preoccupazione e richiedendo solo un pò di tempo e qualche pozione in più, annullando il senso della crescita per livelli di esperienza. Aggiungiamo una sovrabbondanza di checkpoint, come piovessero, per polverizzare qualsiasi parvenza di sfida anche a difficoltà normale.
L’uso delle magie invece rischia di essere controproducente. Gli scontri, specie quelli con i mostri, spesso diventano un’ammucchiata in cui si confondono amici e nemici (anche a causa di una telecamera poco funzionale, specie nelle zone boschive con molti alberi o al chiuso); lanciare una magia può quindi causare danni collaterali ai compagni a cui non si può impartire l’ordine di stare nelle retrovie e che sono guidati da una cpu con tendenze suicide. Siamo quindi lontani dal Gambit System di FF12, in cui era possibile gestire i comprimari ma anche affidarli alla cpu a piccoli gradi, con dei compiti prioritari e secondari, per venire incontro sia ai novizi che ai veterani con elasticità. A poco serve il sistema “riflessivo” che mette in pausa il gioco in assenza di input sulla tastiera, frammentando il ritmo ma senza offrire particolari spunti tattici.
Le battaglie con gli astrali (gli spiriti da evocare) invece sono incentrati su altri Quick-Time-Event, assomigliando a quelle di un God Of War, anzichè alle boss- fight in stile Emerald Weapon. Il loro stesso impiego inoltre rimane troppo circostanziale e legato a fattori su cui non si può sempre contare (Leviathan può essere evocato solo in prossimità di zone d’acqua, Ramuh quando lo scontro dura troppo a lungo, Titan quando il gruppo è incapacitato e via dicendo), creando un sistema originale ma su cui il giocatore non può fare affidamento nel gestire la sua strategia. Il risultato consiste in dei bellissimi filmati, spettacolari, ma utili come una imprevedibile roulette. Inutilmente complicata e fuori luogo anche la gestione delle magie nei combattimenti, per cui dopo aver utilizzato un incantesimo, bisogna ricaricare i punti magia posizionandosi dietro una copertura (che molto spesso manca) o teletrasportandosi fuori dalla zona calda abbandonando i compagni.
Pro
- ottima grafica e colonna sonora eccezionale
- ambiente open world creato con credibilità e attenzione ai dettagli
Contro
- giocabilità impoverita di spessore strategico rispetto i precedenti e troppo orientata all’azione
- difficoltà sovente molto bassa
- narrazione con evidenti lacune e con scarso spazio per i comprimari