Fin dall’alba del videogioco, i “primitivi del digitale” hanno sempre cercato riparo e conforto nelle caverne, luoghi tetri e oscuri dalle fattezze labirintiche pieni di pericoli e insidie ma, al contempo, stracolmi di tesori. In gergo videoludico, tutto questo è traducibile col termine dungeon crawler, un genere in voga tra tutti i primi uomini (ormai over trentenni) muniti di PC e tanto, tanto tempo libero. In fondo, quella nata a cavallo tra gli anni ‘80 e ’90 è pur sempre una generazione cresciuta nei cinema, tra Goonies e Indiana Jones, e con D&D intorno al tavolo di casa (spesso quella di qualche amico ben disposto a ospitare orde di nerd agguerriti), affascinata dal mistero e dalla scoperta che solo una caverna è in grado di regalare. Una generazione spettatrice della lenta ma inevitabile evoluzione del videogioco, che ha iniziato a parlare sempre meno di questi luoghi angusti e sempre più di orizzonti sconfinati, in barba a chi con questo genere ci è nato e cresciuto.
Fortunatamente ad appagare questa insaziabile nostalgia, dal 2007 ci ha pensato Etrian Odyssey, una delle serie Atlus più acclamate dagli amanti dei dungeon crawler che ha raggiunto oggi, su Nintendo 3DS, la sua quinta iterazione con questo Beyond the Myth.
Posso già anticiparvi che, dopo aver solcato cieli e mari sconfinati nei precedenti due capitoli, questo episodio del franchise ci riporta finalmente con i piedi per terra.
FOLKLORE, MITI E LEGGENDE
Tutto ha inizio con una leggenda e, come ogni leggenda che si rispetti, esistono innumerevoli versioni della medesima storia a seconda dell’angolo di mondo in cui viene tramandata. Tutte queste varianti hanno però sempre un nucleo comune, un contenuto che rappresenta il fondo di verità di ogni racconto. Nel nostro caso, il mito vuole che in cima allo Yggdrasil, il mastodontico albero divino che troneggia al centro del mondo, ci sia un tesoro di inestimabile valore. Un motivo sufficiente, insomma, per spingere chiunque ad avventurarsi tra le tortuose spire dei suoi rami, sempre più su, fino alla vetta, alla ricerca del prezioso bottino; che poi, cosa sia è ancora oggi oggetto di dibattito tra le diverse specie che popolano il mondo di Etrian Odyssey V: Beyond the Myth. Ovviamente, anche il giocatore è in prima fila per tentare l’ardua scalata, ma non in qualità di avventuriero: in linea con la serie, infatti, egli non ha un vero e proprio alter ego a rappresentarlo, ma ricopre per lo più il ruolo di burattinaio che muove le fila da dietro le quinte. Oltre a fondare e a dare un nome alla propria gilda, i suoi compiti sono limitati alla creazione di nuovi membri per la neonata compagnia (fino a un massimo di trenta), alla ridistribuzione dei punti abilità e alla gestione dell’inventario.
Proprio in fase di “arruolamento” spiccano le maggiori novità di questo capitolo rispetto ai precedenti Etrian Odyssey, a partire dai parametri che definiscono le statistiche dei singoli membri del gruppo. Queste, infatti, non dipendono più dalla classe del singolo personaggio, bensì dall’appartenenza di quest’ultimo a una delle quattro razze presenti sul pianeta, (Earthlain, Celestian, Therian e Brouni), ognuna di esse votata ad alcune specifiche carriere: un Brouni, specie rinomata per le sue portentose arti curative, non potrà ad esempio diventare un pugile, classe di assalto prerogativa dei Therian. È vero che, seppur inizialmente la costruzione del proprio party potrebbe apparire estremamente schematica e limitata, basterà qualche ora di gioco per rendersi conto delle numerose possibilità di personalizzazione che Etrian Odyssey riesce a offrire.
Ancora, sempre in fase di creazione dei personaggi, è possibile – per la prima volta all’interno della serie – modificare il portrait di ciascuno di essi scegliendo tra un numero determinato di illustrazioni a cui, successivamente, si potranno cambiare alcuni dettagli come la voce o il colore di occhi e capelli. Non aspettatevi chissà quale varietà in termini di scelta ma, quanto meno, il rischio di avere doppioni nella propria gilda che si differenzino soltanto per il nome si riduce drasticamente. Vero anche che, in fin dei conti, parliamo di semplici illustrazioni che ci si limita a osservare esclusivamente nei menù: infatti, come avviene in Persona Q, altro dungeon crawler per 3DS di casa Atlus o nella serie Dragon Quest, durante gli scontri la telecamera inquadra esclusivamente i nemici – gli unici, tra l’altro, a possedere dei veri e propri modelli 3D all’interno del gioco, con tanto di animazioni.
I combattimenti, come vuole la tradizione nipponica, sono rigorosamente a turni e vista l’elevata difficoltà che caratterizza il gioco, richiedono ben più di un pizzico di strategia per uscirne vincitori. Il rischio, altrimenti, è quello di incappare nell’ingloriosa fine del sottoscritto che, nonostante le lunghe ore di preparazione, ha finito per farsi annientare il party dal primo scoiattolo volante che gli si è parato davanti.
Ovviamente, in linea con gli altri esponenti del genere di stampo giapponese, non è possibile vedere i nemici sullo schermo prima di ingaggiare il combattimento (salvo i FOE, avversari particolarmente potenti che vi consiglio caldamente di evitare), né tanto meno assistere agli eventi di gioco come la pesca, la raccolta di materiali o le missioni secondarie, perché privi di qualsivoglia rappresentazione visiva. Insomma, se non siete avvezzi alla serie, sappiate che tutto ciò che avviene all’interno del gioco verrà semplicemente raccontato e, in puro stile visual novel, spetterà a voi decidere come affrontare le singole situazioni scegliendo tra due o più linee di dialogo.
Tanto per fare un esempio, non ci è voluto molto prima che mi imbattessi in questo terribile quesito: “Hai trovato delle bacche, che vuoi fare?”. Vista la domanda, e tenendo conto della fame incalzante dettata dall’ora in cui mi sono ritrovato a prendere tale decisione (precisamente le 12:24), potevo scegliere se far mangiare quei piccoli frutti rossi al mio party oppure allontanarmi… ovviamente ho deciso incoscientemente per la prima opzione. Dopo un momentaneo effetto benefico, i malcapitati hanno iniziato a sentirsi male e a perdere punti vita. Morale della favola: prima che una qualche forma di intossicazione mandasse all’altro mondo l’intera squadra, sono riuscito a tornare a stento alla City of the Seven Hills, unico punto di ristoro (e di salvataggio) che separa gli avventurieri dall’ignoto celato all’interno dello Yggdrasil. Insomma, le scelte che verremo chiamati a prendere spesso sono tutt’altro che banali e non si risolvono sempre con un sì o un no dagli effetti immediati, ma potrebbero comportare conseguenze anche particolarmente complesse sul lungo periodo.
Tornando a cose più pratiche, uno degli elementi che più di ogni altro caratterizza questa serie è sicuramente la struttura dei singoli livelli, costituiti da una serie non indifferente di caselle collegate tra loro. Parliamo di aree piuttosto ampie che, prima dell’intervento del giocatore, saranno rappresentate su una mappa completamente spoglia: basterà armarsi, come dei novelli cartografi, di pennino e schermo inferiore del 3DS per tracciare i confini di ogni piano, indicare passaggi nascosti, luoghi di raccolta e persino punti di interesse utili per le missioni secondarie. Insomma, si tratta di una funzione vitale in un titolo del genere, soprattutto considerando la mole di backtracking che, in particolare nelle fasi iniziali dell’avventura, costringerà a fare avanti e indietro tra l’albero Yggdrasil e il villaggio alle sue pendici. Peccato che tutto questo andirivieni sia accompagnato da una (a tratti) tremenda colonna sonora composta da brani che, nella maggior parte dei casi, ricordano le terribili musichette di attesa dei call center.
PRO
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Tante personaggi da creare e modificare
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Gameplay estremamente classico
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Un passo avanti rispetto al precedente capitolo
CONTRO
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Colonna sonora da rivedere
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Gioco disponibile solo in lingua inglese