Dragon’s Crown fa parte di una categoria particolare: da un lato basato su meccaniche arcade, semplici immediate e sempre accessibili e valide per qualche partita spensierata, dall’altro su di una grafica disegnata a mano, che non basandosi su pixel e texture tridimensionali finisce per non sentire l’obsolescenza tecnica rispetto a prodotti più conformi agli standard del loro periodo. E’ così che il picchiaduro a scorrimento di Vanillaware viene riproposto a distanza di 5 anni rispetto il suo debutto senza colpo perire, mantenendo la stessa cosmesi raffinata che lo aveva contraddistinto all’uscita e la stessa giocabilità che lo rende ancora godibile sia da soli che in compagnia.
Dungeons and Games
La grande ispirazione di questo progetto però rimane Dungeons&Dragons, non solo come ambientazione fantasy, ma anche come adattamento videoludico, nello specifico quello prodotto da Capcom negli anni 90 con due giochi (Tower of Doom e Shadow Over Mystara) che seppero rivoluzionare e dare uno spessore inatteso al genere dei picchiaduro a scorrimento. Sebbene quindi lo scopo rimanga quello di avanzare lungo i livelli riempendo di fendenti i numerosi nemici, permane una componente ruolistica che dona maggiore profondità ludica e sostiene la varietà e la rigiocabilità di ogni partita. E’ possibile infatti sbloccare nuove abilità, comprare equipaggiamenti, sia generici che esclusivi di ciascuna classe, lanciarsi in missioni secondarie, salvare eroi in disgrazia, trovare tesori e altro ancora. Non mancano quindi gli spunti per ricominciare anche una volta che l’avventura principale è stata completata. In aggiunta bisogna segnalare anche la presenza di ben sei classi diverse, per cui ogni giocatore può spaziare tra il guerriero, l’amazzone e il nano (qualora preferisca i combattenti) oppure la strega, il mago e l’elfo (più di affiancamento e particolarmente utili nelle partite cooperative).
Fantasy a scorrimento
Il timore che un picchiaduro a scorrimento sia quindi un genere desueto e poco incline ad essere modernizzato viene qui fugato, non solo dalla riuscita implementazione di elementi GDR, ma anche dalla cooperativa (sia online che locale) che esalta l’aspetto multigiocatore su misura delle esigenze contemporanee. Pad alla mano, Dragon’s Crown si mantiene semplice e divertente, ma anche abbastanza stratificato da non essere superficiale. In particolare sorprende come i lavori dello studio Vanillaware abbiano saputo reinterpretare generi passati, rafforzandone la struttura per aggiungere più sostanza e opportunità ludiche rispetto alle versioni arcade più essenziali degli anni 80-90. Nel 2016 era stata la rimasterizzazione di Odin Sphere a sottolineare questa possibilità per gli action-platform GDR. In quel caso però si trattava di una revisione molto corposa di un titolo uscito in bassa definizione e quasi un decennio prima.
Stavolta invece parliamo di una semplice riproposta di un gioco che aveva già esordito su Playstation 3 (ma anche Vita) secondo i canoni qualitativi richiesti dall’alta definizione. Pertanto le uniche novità riguardano una risoluzione stirata verso i 4K e una colonna sonora rieseguita in chiave orchestrale con risultati ottimi. E’ possibile giocare in rete tra tutte e tre le console e importare i salvataggi tra esse, garantendo una compatibilità totale, inoltre è stata aggiunta una traduzione in italiano. Buona la longevità, che supera facilmente le 10 ore e si presta, come accennato, a numerose altre partite.
Il signore delle corone
La qualità grafica è rimasta praticamente inalterata e questo non è un difetto. Dragon’s Crown vantava disegni realizzati a mano già nel 2013, dove ogni singola schermata di gioco appariva come un acquerello dipinto da un pittore. Merce rara, specie considerando l’elevato lavoro richiesto rispetto alla semplice modellazione tridimensionale di una texture. La colorazione presenta numerose sfumature e rifiniture, abbellendo l’insieme, mentre lo stile del character-design dona una personalità bizzarra ma originale, che mostra un’idea di fantasy meno scontata e ripetitiva. In particolare sono le proporzioni anatomiche ad essere enfatizzate oltre il normale, diventando quasi caricaturali, ingigantendo l’armatura del cavaliere per farlo sembrare ancora più massiccio, la barba del nano come fosse un cespuglio o la muscolatura ipertrofica dell’amazzone per evidenziarne la forza bruta. Non tutte le mosse e le combo possono garantire un numero di fotogrammi elevato e le animazioni a volte risultano rigide, tuttavia l’insieme raggiunge dei gradi di eccellenza ancora oggi eguagliati da pochi in questo campo. Anche i mostri e i boss, nella loro foggia e caratterizzazione sono classici ma al tempo stesso particolari, puntando sull’enfatizzare determinati aspetti estetici per porsi in modo accattivante rispetto alla loro raffigurazione tradizionale. Forse l’eccessiva presenza di effetti grafici che accompagnano le magie può creare qualche confusione nelle fasi più concitate della battaglia, specie quando sono presenti quattro personaggi giocanti, tuttavia non è nulla ostacoli la giocabilità.
Pro
- grafica di qualità molto alta
- buona commistione tra picchiaduro e gioco di ruolo
- rigiocabile e longevo
Contro
- animazioni non sempre ricche